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11 dicembre 2010

Prudenza pastorale, o miopia ecclesiastica?

Ci sono notizie che restano confinate all'interno di una piccola schiera di persone, ma che si inseriscono in questioni più grandi. Questa che riporto è una di queste. La riporto integralmente, e poi la commento.

 

PRETI DI UN DIO MINORE. DALLA CEI, NUOVO VETO
ALLA PRESENZA DI CLERO CATTOLICO UXORATO IN ITALIA

35884. ROMA-ADISTA (di Valerio Gigante)

Mons. Bagnasco
 Riconoscimento della testimonianza di fede resa durante la persecuzione comunista; gratitudine per il servizio pastorale svolto dai suoi presbiteri; rinnovata stima e amicizia. Ma il clero uxorato no, di quello la Cei proprio non vuole sentir parlare. Si può sintetizzare così la lettera riservata, di cui Adista è entrata in possesso, inviata il 13 settembre scorso dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, al primate della Chiesa greco-cattolica rumena, mons. Lucian Muresan.


Mons. Muresan
Preti di serie B?
La Chiesa greco-cattolica rumena è una Chiesa cattolica di rito bizantino e di lingua liturgica rumena, presente, oltre che in Romania (specialmente nella regione storica della Transilvania), in altri Paesi dell’Unione Europea e del mondo. Anzi, ormai i fedeli all’estero di questa Chiesa, causa la consistente emigrazione seguita alla caduta del comunismo, sono la parte maggioritaria. Solo in Italia, su circa 1milione di rumeni, circa 800mila sono greco-cattolici. Le celebrazioni e le attività di queste numerose comunità vengono ospitate, un po’ in tutta la penisola, dalle parrocchie di rito latino, all’interno delle quali i preti rumeni possono celebrare ed amministrare i sacramenti...

Tutto bene, sembrerebbe. Se non fosse che il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali dà ai seminaristi, prima di essere ordinati, la possibilità di sposarsi (il celibato è proprio invece dei monaci e dei vescovi). E il clero uxorato è attualmente la maggioranza del clero cattolico rumeno. Ma i preti di rito orientale autorizzati dalla Santa Sede a compiere il loro ministero fuori dalle loro diocesi di provenienza sono solo quelli celibi. Gli altri no, devono restare là dove sono stati ordinati. Il Vaticano teme infatti che essi possano provocare “scandalo”: se loro esercitano legittimamente il loro ministero dentro la Chiesa cattolica pur essendo sposati - potrebbero infatti pensare i fedeli e il clero di rito latino - perché non lo possono essere tutti i preti?
Da tempo, per evitare il rischio di una lento, ma inesorabile, declino dovuto alla impossibilità di garantire un’adeguata presenza all’estero, le Chiese orientali chiedono inutilmente al Vaticano la possibilità di inviare anche clero uxorato nei Paesi di rito latino dove siano presenti i propri fedeli. Una richiesta ribadita anche dal recente Sinodo dei vescovi sul Medio Oriente (10-24 ottobre 2010). Nella proposizione 23 (v. Adista n. 84/10) si legge infatti “Il celibato ecclesiastico è stimato e apprezzato sempre e dovunque nella Chiesa cattolica, in Oriente come in Occidente. Tuttavia, per assicurare un servizio pastorale in favore dei nostri fedeli, dovunque essi vadano, e per rispettare le tradizioni orientali, sarebbe auspicabile studiare la possibilità di avere preti sposati fuori dai territori patriarcali”.
Del resto, fu il Concilio Vaticano II, nel decreto Orientalium Ecclesiarum, a sancire il ripristino dei diritti e dei privilegi dei patriarchi orientali, “vigenti al tempo dell’unione dell’Oriente e dell’Occidente” (cioè fino al 1054, l’anno dello scisma), “quantunque - aggiunsero i padri conciliari - debbano essere alquanto adattati alle odierne condizioni”. Un’affermazione, quest’ultima, che aveva avviato un aspro contrasto tra i patriarchi e la Santa Sede, per la quale gli antichi diritti potevano essere rivendicati solo all’interno del tradizionale territorio patriarcale, cioè in Medio Oriente o in Europa orientale. Una vexata quaestio che aveva lambito anche la Polonia di papa Wojtyla, dove c’è una vasta regione, la Galizia (passata alla Polonia dopo la II Guerra Mondiale), al cui clero (di rito orientale) sin dal XVII secolo il Vaticano aveva concesso la possibilità di sposarsi. Nonostante ciò, nel 1998, l’allora segretario di Stato, il card. Angelo Sodano, tentò senza successo di obbligare i preti sposati ad emigrare in territorio ucraino, sebbene essi fossero sempre vissuti in Galizia (semmai a spostarsi erano stati i confini), perché la loro presenza non era gradita alla Chiesa polacca.
Il 20 febbraio 2008, la sessione ordinaria della Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito la vigenza della norma che vincola all’obbligo del celibato i preti delle Chiese Orientali cattoliche che esercitano il ministero al di fuori dei territori canonici. Il papa ha però attribuito alla Congregazione per le Chiese Orientali la facoltà di concedere una dispensa da tale norma, previo benestare della Conferenza Episcopale interessata.

Primo: tutelare il celibato
È per questa ragione che mons. Lucian Muresan si era rivolto al card. Bagnasco. Il presidente dei vescovi italiani ha però risposto picche, spiegando che la Cei, “dopo aver attentamente esaminato la questione anche alla luce dei dati numerici relativi alla consistenza delle comunità etniche provenienti da Paesi dell’Est europeo e alla situazione del clero nelle diocesi italiane, ritiene che, al presente e in linea generale, non esista la ‘giusta e ragionevole causa’ che giustifichi la concessione della dispensa. La convenienza di tutelare il celibato ecclesiastico – ha spiegato Bagnasco – e di prevenire il possibile sconcerto nei fedeli per l’accrescersi di presenze sacerdotali uxorate prevale infatti sulla pur legittima esigenza di garantire ai fedeli cattolici di rito orientale l’esercizio del culto da parte di ministri che parlino la loro lingua e provengano dai loro stessi Paesi”.
Insomma, i preti cattolici sposati di rito orientale restano confinati nelle uniche due diocesi italiane dove è da secoli permesso loro esercitare il ministero, Piana degli Albanesi (Sicilia) e Lungro (Calabria). Fuori di lì, evidentemente, non sono graditi.

Il prete ortodosso rumeno Iulian Stoica, con la moglie Raluca
e, in braccio a una fedele, il figlio Andrea, dopo il terremoto in Abruzzo.

Sono davvero così sconcertanti? A me pare una bella famiglia!
Mah... secondo me la CEI si sta arrampicando un po' sugli specchi, e le scuse che il card. Bagnasco adduce sono abbastanza discutibili. Senza spirito di polemica: mi pare che su queste questioni abbiamo tutti da maturare un po'. Purtroppo siamo tutti un po' debitori del passato, nel quale la geopolitica ci ha tenuti un po' separati (la maggior parte delle Chiese non latine era infatti confinata (e martirizzata) nel blocco sovietico.
Oggi però stiamo vivendo un periodo di grande mobilità, di comunicazione globale... periodo che magari ci obbliga a crescere nella comunione, e non nell'esclusione.
Mi chiedo, e lo chiedo anche ai nostri vescovi:
che senso ha questa chiusura, non suffragata da motivazioni razionali, teologiche o ecclesiali, ma dettata solo dalla paura?
Questa chiusura è solo paura per un eventuale sconcerto dei fedeli, o nasce da qualche retropensiero culturale? Che cioè quelli non sono veri preti, perchè il vero prete è quello celibe?

a) "Conviene tutelare il celibato ecclesiastico": son più importanti le persone o i princìpi? Siamo ancora qui... Non importa che ci siano 800 mila persone che chiedono di essere seguite, non importa che ci siano sacerdoti disponibili a seguirle: quello che importa è tutelare un principio! Fosse almeno un dogma...


b) "Conviene prevenire il possibile sconcerto nei fedeli per l'accrescersi di presenze sacerdotali uxorate": a parte il linguaggio non propriamente cristiano, leggermente offensivo nei confronti di questi sacerdoti, che sono fratelli sposati col sacramento del matrimonio e ordinati con quello dell'ordine (nessuno chiama mai i sacerdoti italiani "presenze sacerdotali non uxorate...), mi chiedo se i nostri amici della CEI hanno mai chiesto il parere ai fedeli.
Se le "presenze episcopali non uxorate" della CEI sono sconcertate e hanno paura che venga intaccato il mito del celibato, non è automatico che i fedeli abbiano lo stesso sconcerto. La maggior parte dei fedeli che conosco io non solo non ne rimarrebbe sconcertata, anzi: molti, soprattutto i più giovani, vorrebbero che tutti i preti si sposassero! I fedeli sono più sconcertati da altre cose...
I fedeli sono rimasti sconcertati dai casi di pedofilia dei preti celibi (e da come venivano trattati).
I fedeli sono sconcertati dallo stile di vita di certi prelati celibissimi (residenze sontuose, autista personale, sfarzi vari, ricevimenti, soldi, soldi, soldi)
I fedeli sono sconcertati dagli intrallazzi e dai maneggi di certi prelati.
Non saranno certo le mogli di quattro sacerdoti romeni a turbare il sonno dei cristiani italiani!!!
Speriamo che anche la CEI aderisca presto al trattato di Schenghen!
Almeno per la libera circolazione dei fedeli e dei pastori...

PS: Cosa direbbe la CEI se la Conferenza Episcopale Romena
vietasse l'ingresso e l'esercizio del ministero in Romania ai sacerdoti celibi italiani?

PS2: e comunque la realtà cammina comunque:
sacerdote greco-cattolico sposato a Crema...
sacerdote greco-cattolico sposato a Milano...
sacerdote greco-cattolico sposato a Forlì...
sacerdote greco cattolico sposato a Palermo...
accadeva nel 2003...
accadeva nel 2001...

4 commenti:

  1. Desidera il parere di una Sua ex-parrocchiana? La CEI fa benissimo a cautelarsi. Rispetto la tradizione greco-cattolica, ma per noi cattolici romani, il Sacerdozio è (e deve rimanere) sinonimo di celibato. Il celibato sacerdotale non è un “mito”: è donazione totale di se stessi – anima e corpo – al servizio di Dio, della Chiesa e dei fratelli. È consacrazione sacramentale al Signore del proprio essere e della propria vita. È abnegazione, annullamento di sé, atto di rinuncia libera e volontaria in nome di un fine più elevato: il progetto di Dio e della Chiesa. È un voto.
    La risposta sul perché la CEI si sforzi in tutti i modi di tutelare il celibato ecclesiastico se l’è data da solo affermando: “Molti, soprattutto i più giovani, vorrebbero che tutti i preti si sposassero”. Mi sembra un’affermazione figlia della superficialità dei nostri giorni, del non sapersi donare in toto e del voler tenere, in ogni occasione, "il piede in due scarpe".
    Chieda a chi fa questa affermazione di motivarla. Le verrà risposto (l’ho sentito dire troppe volte), “che così, almeno, i sacerdoti potranno ‘sfogare’ gli istinti umani e non cadranno più in tentazione “, oppure, che “siccome ci sono sempre meno preti, aprendo a quelli sposati, se ne aumenterebbe il numero…” o ancora, che “sperimentando di persona la vita coniugale, i Ministri di Dio capirebbero meglio certi problemi”. Le sembrano argomentazioni valide? Le sembrano ragionamenti da cristiano?
    Se è vero che ai Ministri protestanti è concesso sposarsi, ricordo quanto sia più impegnativo il ministero di un sacerdote cattolico e come questo vada al di là della canonica oretta in cui ufficiare una funzione per poi tornarsene a casa a fare il papà: Confessioni, Sacramenti, conduzione della parrocchia, assistenza spirituale, visite agli anziani e ai malati, benedizioni natalizie per le case, viaggi in missione… I nostri sacerdoti affermano di essere in perenne lotta con il tempo: dunque, come concilierebbero questi impegni con quelli di una famiglia? Trascurando moglie e figli o trascurando il ministero pastorale?
    Senza contare il rischio che tutti, con preoccupante leggerezza, sottovalutano: scivolando giù per la china dell’attuale vuoto di valori, le unioni coniugali dei “sacerdoti uxorati” non tarderebbero a manifestare gli stessi identici problemi che affliggono le famiglie laiche: tradimenti, divorzi…. scandali che andrebbero ad aggiungersi a quelli gravissimi, che Lei cita, della pedofilia, degli sfarzi e degli intrallazzi…. Che ne direbbe di un prete sposato e separato? Magari, scoperto con l’amante? E su questa falsariga, crede che prima o poi nessuno invocherebbe la par condicio di un’unione omosessuale anche per i sacerdoti, “che in fondo sono uomini come tutti”?
    Non si tratta di “mobilità”, né di “maturazione”: si tratta di essere o meno in grado di mantenere gli impegni presi davanti a Dio e alla Chiesa. Rispetto il ministro greco-cattolico nella foto, ma da parte mia, non lo considererò mai un “prete vero”.
    L’equivoco nasce da una mentalità pericolosa e contagiosa, caratterizzata dalla superficialità di pensiero, da una manica allargatasi fino a toccar terra e soprattutto, da un allontanamento dai princípi-cardine del Cristianesimo. Ecco perche la CEI, giustamente, cerca di arginarne il dilagare.

    Monica (Parrocchia S. Maria Goretti, Milano)

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  2. lucio.ant@alice.it07 febbraio, 2011

    -- terza parte--
    RITI E CHIESA. Sappiamo che la liturgia è una azione di Dio che si manifesta tramite l’assemblea dei chiamati, quindi un atto in cui il sacro irrompe nella storia e gli uomini lodano il loro Dio, con quelle manifestazioni che sono loro più consone e vere, quindi espresse con parole e gesti intellegibili ai partecipanti. Ritengo tuttavia che un rito non possa esser esaustivo di un’espressione religiosa: è il miglior modo in cui, in quel luogo ed in quel momento, ci si pone davanti a Dio. Cosa che in un contesto di mobilità e globalizzazione odierna è soggetta a scossoni robusti. Se si cambia paese e si trova un’altra cultura, un’altra lingua, altre persone, c’è certamente qualcosa da aggiustare per stabilire un rapporto pieno. Il modo di esprimere non può prevalere sul senso espresso, anche se ci vuole del tempo per adeguarsi ad una nuova situazione. Mi si consenta un po’ di polemica: la lingua inglese è nata per fare degli affari con genti lontane: nessuno si offende o si sente sminuito se deve adeguarsi. Se sono un imprenditore e vengo in Italia dall’Africa, non necessariamente mi porto dietro quelli del mio villaggio, ma mi do da fare con quel che trovo! Anche in ambito ecclesiale, l’importante che io trovi la Chiesa, al di là dei riti, delle lingue, delle forme espressive; non vanno bene i campanilismi di paese, ma neanche di nazione o (senza offesa) di radice apostolica: Gesù ha mandato i 12, non a fare chiese diverse, ma un'unica chiesa con un unico pastore (LUI). Perciò esprimo perplessità di fronte ad aspetti che assomigliano gelosie o infantilismi: il prete, o meglio qualunque ministro ordinato mi rimanda ad unico Gesù, ed il popolo che mi può essere affidato, non è mio e, sicuramente, non è il mio territorio di caccia.
    Chiedo scusa del finalino un po’ scabroso, ma forse il mio ministero mi spinge a guardare oltre l’orizzonte, a contemplare che tutto è chiamato a ricapitolarsi in Gesù, e che ognuno di noi ha un abbraccio personale che lo attende. Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. (Ap 21,1)
    Milano, 7 febbraio 2011
    --fine--

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  3. lucio.ant@alice.it15 febbraio, 2011

    vedo che è passata solo la terza parte del mio commento. ora invio le due parti precedenti
    PRUDENZA O MIOPIA.
    Mi lascio provocare e mi accosto con timore e tremore ad un tema delicato, talmente delicato che rischi di sciuparlo solo a parlarne, che divampa e dilaga in tutti gli aspetti della vita. Mi sembra che se ne parli da due mila anni, tra cristiani, e da sempre nel genere umano, almeno fin da quando c’è una società anche solo di fatto in cui il sacro fa irruzione.
    SACRAMENTI E LORO GRADUALITA’. Parto da una considerazione: ogni sacramento (ed in particolare i sette indicati dal Concilio di Trento) è un incontro diretto del singolo (seppur nell’ambito di un cammino ecclesiale) con Gesù, vero Uomo e vero Dio. Credo di poter affermare, senza diffondermi in dimostrazioni, che ciò che compete a Dio, ogni atto in cui Egli interviene direttamente, non può essere che totalizzante nella sua perfezione; detto altrimenti non vedo come due atti divini che accadono nella storia, ancorché coinvolgano uno o più esseri umani, possano essere tra di loro in conflitto. A meno che sia l’uomo a contaminare tutto: comunione eucaristica in stato di peccato grave, matrimonio contratto essendo vivente altro coniuge, sono evidentemente atti disordinati, ma lì c’è solo l’uomo che tenta di piegare un atto sacro, mentre Dio non c’entra niente, anzi! In più c’è la contemporaneità paradossale del cristiano, per cui gli atti storici sono in realtà tutti contemporanei all’evento fondante della morte e risurrezione N.S. Gesù Cristo. Pertanto, parlare di sacramenti si serie A o di serie B è assolutamente sbagliato; tanto per essere chiari: non ci sono preti di serie A o B, né celebrazioni eucaristiche grandi o di tutti i giorni (la cosiddetta messa bassa); e se la comunione me dà una modesta donna ministro straordinario non vale di meno che me la dia il papa.
    CLERO. Riprendo il discorso, facendo presente che chi scrive è un diacono permanente, ordinato nel 2001 dal card. C.M. Martini, e felicemente coniugato dal 1966, attualmente pensionato e responsabile di una cappella sita in un grande cimitero di Milano. Chiunque legge può facilmente immaginare quanto mi sia chiaro il tema di una supposta gerarchia di dignità attribuita ai vari ministri ordinati, da parte del popolino cui si perdona la grigia ignoranza, ma purtroppo anche da parte di persone più acculturate. È assolutamente scorretto confondere il livello sacro delle cose con la loro manifestazione storica, sociale, terrena. È assolutamente scorretto valutare in termini di potere così come lo intende il mondo, cioè quello di farsi servire, discostandosi dal potere che ci indica e testimonia Gesù, che è SERVIRE. La gradualità dell’Ordine Sacro è nel mandato o nella sua pienezza, non nel sacramento di conformazione a Cristo. Il diacono Lorenzo non è meno importante di papi che umanamente non hanno reso onore alla loro vocazione, anche se nessuno di essi è mai venuto meno all’ortodossia della fede. (Ecclesia casta meretrix)
    fine prima parte, segue la seconda

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  4. lucio.ant@alice.it15 febbraio, 2011

    seconda parte di Lucio.ant
    CONTESTO CULTURALE. Proprio perché siamo nella storia e concepiti nel peccato (salmo 50) ci sono condizioni marginali, per cui affermare la correttezza di una scelta o di un comportamento è certamente arduo; assistiamo ad una evoluzione di costumi, e soprattutto di comprensione della verità, per cui c’è rischio di scandalizzare categorie più deboli: non sarebbe un atto di carità, che è il criterio aureo di discernimento. Già nell’anno 50, la chiesa si riunì per discutere sul tema del mangiare le carni offerte agli idoli, i quali non esistono, perciò non sarebbe vero che sono sacre. Per non dare scandalo, gli apostoli rispondono: 28 Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29 astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete cosa buona perciò a guardarvi da queste cose. State bene”. (At 15,28-29)
    Analogamente, quando si parla di preti sposati o di comunione ai divorziati risposati, bisogna stare attenti a non essere occasione di inciampo per i fratelli che potrebbero non capire ed averne grave nocumento. D'altronde i santi padri Abramo, Isacco e Giacobbe ebbero più mogli e concubine… non è così immediato capire com’è la faccenda! Certamente eravamo in un contesto culturale diverso da quello di Milano, oggi. Suggerirei pertanto di andarci piano ad emetter sentenze, spesso volte espresse con il criterio soggettivo del “secondo me”: non sarebbe una scelta libera, di non sbagliare, specialmente.
    PRETI SPOSATI. Venendo alla questione di uomini coniugati e con impegni sociali importanti: non è solo un problema dei preti (o diaconi, o vescovi). Perché non applicarla ad un uomo politico votato con forza ad una causa? Oppure, un dirigente o un imprenditore, chiamato a “sposare l’azienda”, che quindi non ha tempo per prendersi cura della sua sposa e dei suoi figli? Si profila certamente una questione di compromesso da definire, per rispondere, ossia per servire, a segmenti così assorbenti, per cui non basta una vita per ciascuno di essi! Se uno si “consacra” ad una causa e lo vuole fare con forza totalizzante, potrebbe avere motivazione sufficiente per rinunciare ad altri aspetti, altrettanto degni; a maggior ragione lo può fare per questioni più transitorie o limitate a dimensioni solo intellettuali o emotive o fisiologiche (piaceri, svaghi, pulsioni ecc.): Mt 19,12 eunuchi per il Regno di Dio. Gesù, Giovanni Battista, Geremia, e molti altri erano o celibi o avevano lasciato tutto! C’è quindi un contesto storico, culturale, importante alla base di un discernimento, capace di demolire anche il mito di onnipotenza! Nella chiesa cattolica, ricordiamolo, la motivazione per cui si chiede il celibato è “perché non è conveniente” (un convegno in proposito ebbe luogo nel seminario di Seveso, qualche anno orsono). Se il criterio di valutazione è la “sponsalità”, esso si applica nel rapporto esclusivo, fedele e fecondo tra due, è quindi una consacrazione reciproca, che si pone tra un uomo ed una donna, o tra un singolo ed il suo Dio. Ancor più luminoso è questo concetto se si pensa che questo è il senso profondo della verginità. Rapporto che Paolo ci indica come sacramentale del rapporto tra Cristo e la Chiesa (Ef 5, 32).
    fine seconda parte

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