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14 agosto 2011

Bulgaria 1738: "Mamma, li Turchi!!!"

Martiri dimenticati nella Bulgaria del 1700
don Michele Dobromiri
(n. Calaclie/Rakovsky 1694 - + Adrianopoli/Edirne 1738)
don Nicolò Boscovich
(n. Ragusa/Dubrovnik 1707 - + Adrianopoli/Edirne 1738

In questi tranquilli giorni estivi, sto leggendo con molto interesse e curiosità le Visite pastorali fra i Pauliciani Bulgari del XVIII secolo, pubblicate recentemente nella rivista Ricerche Slavistiche[1].


Tra le mille cose raccontate in esse dalla viva voce dei vari vescovi o delegati che compirono queste Visite Pastorali, davvero molto affascinanti, mi ha colpito particolarmente una notizia: la decapitazione avvenuta nel 1738 ad Adrianopoli (l’odierna Edirne) di due sacerdoti, cioè don Michele Dobromiri e don Nicolò Boscovich, insieme alla tortura e uccisione di un ex cristiano, divenuto musulmano, che voleva rientrare nella Chiesa. Queste vicende mi hanno colpito non solo per la loro cruenta fine, ma anche perché il primo, don Michele, fu parroco di Belene intorno nel 1728-1729.

Voglio brevemente riportare qui le notizie che ho trovato fin qui su questi due sacerdoti: non sono un esperto di Cause di Canonizzazione… ma secondo me qualche estremo per il martirio c’è, non fosse altro che “hanno perso la testa” per mano di un politico Ottomano che odiava la Chiesa Cattolica e per aver cercato di accompagnare la conversione di una persona. Approfondirò la questione in seguito… sarebbe bello avere un ex parroco di Belene “beato e martire”, accanto al beato martire Eugenio Bossilkov…


Le prime notizie su don Michele Dobromiri risalgono al 1721, quando in tutta la Bulgaria del Sud operavano solo due sacerdoti cattolici, e cioè don Pietro Miloscevich, cugino del vescovo, e il nostro don Michele: “Dopo la mancanza del quondam don Giovanni Rodi, assiste a questa Missione per modum provisionis don Michiele Dobromiri, Alunno del Collegio dei Santi Pietro e Paolo di Fermo, Sacerdote della sua età d’anni 30, il quale è stato determinato dal mio predecessore ai Christiani soli di Soffia, Filippopoli, Iambol et Eschisagara, che pure sono fra di loro molto distanti; adesso però per necessità e penuria di Missionari, assiste a tutti i predetti luoghi; ma pluribus intentus non può mostrare nella sua missione quel frutto che si bramerebbe, se bene si spera che quando gli saranno sminuite le fatighe con l’accrescimento dei Missionari, mostrerà ancor egli maggior saggio della sua carità nell’officio della sua vocatione coll’insegnare alla gioventù la Dotrina Christiana”[2].



Qualche anno dopo, nel 1728, lo ritroviamo come prete prete bulgaro espulso “per errore” insieme a mons. Andriasci e ad altri missionari stranieri: “Furono fin dal 1725 espulsi dopo un' aspra persecuzione l’arcivescovo Monsignor Marco Andriasci e i suoi missionarii (…). [Il nuovo firmano stabilito dal Governo Turco] é contrario unicamente agli operai estranei, ma non già ai sudditi, e molto meno ai nazionali; onde a suo giudizio non é vietato il ritomo al Teodori, e al Dobromiri, ambedue nazionali Bulgari, e per consequenza anche sudditi, i quali intanto furono carcerati ed espulsi con gli altri missionari forestieri, in quanto che furono anche essi creduti Ragusei, come infatti erano per privilegio lor conceduto da quella republica, che li rendeva esenti dal tributo e da altre gravezze; che però egli stima, che quando si assoggettassero a tali pesi, avrebbero la stessa liberta di esercitare il loro ministero, quale godono in Turchia tutti gli altri cattolici, sudditi ed indipendenti dai Ragusei. (…) Quindi é, che animato da tali motivi, dei quali dice esser persuasissimo anche il missionario Dobromiri suddetto, consiglia, che si spedisca per ora questo solo, il quale per essere, a suo dire, uomo prudente et operaio degno anche della mitra, saprà insinuarsi ed aprire la strada al compagno, per che però si sovvenga da questa S. Congregatione con un sussidio straordinario di quaranta scudi, essendo povero e privo di habiti e di viatico per lungo viaggio”[2].

Effettivamente pare che don Michele sia riuscito a rientrare, e a svolgere l’incarico di parroco a Belene per un anno, dal 1728 al 1729, come testimonia il suo successore don Luca Biaggi nel 1729: “La robba della chiesa l’altro dì mi fu dal vicario consegnata; ma non mi è consegnato l’inventario lasciato dal Sacerdote Don Michele Dobromiri…”[3].

L'antica Repubblica di Ragusa
Di questi due giovani sacerdoti parla lo stesso don Niccolò, nella sua relazione sulla Visita Pastorale del 1737, fatta da lui in qualità di Vicario Generale di Sofia: “Li missionari al presente sono soli due, cioè il signor Don Michiele Dobromiri nativo di Bulgaria, alunno del Collegio di Propaganda Fide di Fermo, d’anni 43, di sua missione 21, et io Nicolò Boscovich, nativo di Ragusa, alunno del Collegio di Propaganda Fide di Roma, d’anni 30 e mia missione il primo. Senza esagerazione viviamo una vita fuori dall’espressiva penosa, alli occhi di tutti siamo obrobrium et abiectio, basta che siamo conosciuti per sacerdoti, dal più villano Turco obrobrii non mancano, ingiurie sorpassano, bastonate rare volte si scappano, perciò in abscondito et in tenebris conviene evangelizzare (…). La missione di Calasclie tiene per suo presente missionario il signor don Michiele Dobromiri, nativo di Bulgaria, d’anni di sua età 43, di missione 21, comme mi riporta”[4].



Il documento principale che ci informa sulla loro vicenda è l’ampia e dettagliatissima Relazione della Visita delle Diocesi di Sofia e Nicopoli, di mons. Giovanni Nicolovich del 1742[5].
Lo stato delle due Diocesi è piuttosto desolante: “Non c’è bisogno d’aggiustamento di liti dei Vescovi, non di riforma del clero o dei Regolari, non delle chiese o dei Monasteri, non dei beni e delle loro entrate: perché non vi sono né Vescovi, né clero, né Regolari, né chiese, né monasteri, né entrate, né beni alcuni”.
Accanto a questa completa assenza di pastori e di strutture, il Visitatore fa notare il clima pesante di disprezzo nei confronti dei cristiani cattolici, “stimati per gente la più infelice, la più derelitta, mentre continuamente gli stessi Turchi vanno insultandoli” e rinfacciano ai cristiani che ogni gruppo religioso (musulmani, Armeni, Greci, Ebrei, Zingari) ha i propri pastori, a voi Cristiani vivete e morite come bestie, e siete di peggiore condizione che li Greci, che gli Ebrei, che gli stessi Zingari”.
Il Visitatore poi, sconsolato, descrive gli onori che i prelati possono ottenere in Bulgaria: “dover esporsi ad immensi sacrifici ed evidenti pericoli continuamente, dovendo sostenere pericoli dai Turchi, pericoli dai Greci, pericoli dagli assassini, pericoli dalla peste, pericoli nelle nevi, nei ghiacci, nei freddi, in frequenti e grandi fiumi. Tutti li Vescovi e sacri ministri che sono stati e saranno, sempre si trovano in questi pericoli, e più. E poi finalmente finiscono la loro vita o uccisi dai Turchi o dagli assassini o estinti dalla peste nell’assistere i fedeli, o se sono stranieri, non potendo più resistere, fuggono altrove: e questo è il fine che ordinariamente fanno i Sacri Ministri in queste diocesi dopo aver menata una vita piena di stenti e di travagli, pochissimi morendo di morte propria”.

Il visitatore accenna una prima volta alla morte violenta dei due missionari dopo questa ampia introduzione sullo desolazione della Chiesa Cattolica in Bulgaria, disastrosa “in Nicopoli per cagione delle ultime guerre ed in Filippopoli per la persecuzione mossa contro l’ultimo Arcivescovo Monsignor Andreasci[6], e poi per l’occisione degli ultimi due missionari don Michele Dobromiri e don Niccolò Bascovich, alunni della Propaganda uno di Fermo e l’altro in Roma; i quali, per essere intercettate le loro lettere che mandavano alla Sacra Congregazione, furono presi e legati condotti da Filippopoli in Adrianopoli al Visir, che marciava contro l’esercito dell’Imperadore, furono decapitati ambedue con grandissima rassegnazione, come mi fu riferito dai Signori Francesi in Adrianopoli, testimoni di vista”.
Il Visitatore sconsiglia quindi di creare un nuovo Vescovo con sede a Plovdiv, perché “sarebbero insorti i Greci, e sarebbe mossa di nuovo la persecuzione più fiera e più irrimediabile che prima: essendo che tutte le persecuzioni sono fatte prima in Filippopoli, e con tanta rabbia ed odio implacabile hanno procurato l’esterminio totale dei missionari cattolici”.


Poi riprende il racconto: “Dopo l’uccisione delli due sopraddetti missionari, don Michele Dobromiri (unico sostegno della Diocesi di Soffia e di Filippopoli dopo l’espulsione di mons. Andriasci) e don Niccolò Boscovich, i quali furono uccisi nel 1738, ed anche un anno avanti, quando questi due stavano ritirati in Filippopoli per il bollore della guerra, non potendo girare le lor cure ad amministrare li Sagramenti, se non di rado ed occultamente, sino all’anno presente, tutti quei popoli erano rimasti affatto privi di pastori sagri, e senz’assistenza spirituale, senza confessione, senza comunione, senza mai ascoltar la messa, senza mai udir parola di Dio, senza battesimo, senza matrimoni (…). Onde per mancanza di Sagri Pastori, nella Diocesi di Nicopoli eran passati vari nel rito dei Scismatici, e nell’una e nell’altra diocesi molti morti senza la confessione, senza il battesimo, e senza gli altri Sagramenti. Sicchè quei poveri Cristiani ridotti in tal stato, si stimavano già persi e disperati, e stimavano che già la Sagra Congregazione gli avesse abbandonati, e che mai per loro non pensasse più (…). Stimavano di esser ormai abbandonati dal Santo Padre Papa, come lor dicevano, e dalla sagra Congregazione. Perciò mi affaticai molto a persuaderli e confortarli, dicendoli che il Papa e la Sagra Congregazione non si erano scordati di loro, né mai abbandonati: ma ecco che a posta, da tanti lontani paesi, mi ha mandato per provedere le vostre necessità, ed a posta per ora vi ha mandato un sacerdote, e poi vi manderà degl’altri, e vi provederà dell’Arcivescovo e del Vescovo”.

Anfiteatro romano di Filippopoli-Plovdiv
Il racconto continua con la descrizione dei segni di gratitudine dei cattolici bulgari nei confronti del Visitatore, dopo di chè riprende dall’inizio, raccontando giorno per giorno la visita, iniziata da Iacova in Serbia il 13 febbraio 1742.
Mentre si trova a Sofia, il Visitatore chiede il Permesso presso le autorità Ottomane per poter continuare il viaggio, ma il medico del Supremo Comandante (un cattolico di padre Greco e madre Francese, tal “Onofrio Monsù della Rocca, nipote dell’abate della Rocca che si trova a Roma”) gli consiglia “che assolutamente non potevo andar altrimenti per ora a far la visita se non sotto il nome di mercante francese, né potersi domandar licenza al Bassà per sacerdote alcun cattolico, stante le turbolenze successe per la morte dei due ultimi missionari, i quali furono uccisi dal Visir come se avessero procurato tradimento dello Stato, per le lettere intercettate nelle quali fu trovato che loro pregavano Dio di veder inalberata la Croce in quelle parti, e che l’armi Cristiane si muovessero anche dall’altra parte, giacchè l’Imperador faceva degli acquisti. Per questo effetto erano tanto in odio i cattolici, ed anche il nome solo delli Sacerdoti Latini e del Rito Latino era esoso ed esiliato dal Visir e da tutti, aggiungendosi anche l’istigazioni dei Greci”.


La visita continua, e mons. Nicolovich incontra ad Adrianopoli un mercante francese, che gli “raccontò la morte ivi seguita dei due sacerdoti prefati uccisi”. A Filippopoli “erano anche molti libri della buon’anima di don Michele Dobromiri, ucciso come sopra riferimmo, sommamente benemerito di quella chiesa, nativo di questa diocesi, il quale indefessamente e con molta attenzione e zelo aveva governato quelle chiese, massime quando era solo, facendosi a tutti tutto, ed aveva fatto anco il libro dei Battesimi e dei Matrimoni, che prima non si trovava, ripescando alla memoria delli più vecchi sino da 40 anni per avnti”.
Dopodichè egli visita tutti i villaggi cattolici della Bulgaria meridionale e nel mese di aprile sale per visitare la Diocesi di Nicopoli e quindi torna a Sofia, quindi a Skopije.
Prima di concludere racconta che a Plovdiv ha incontrato un medico cattolico raguseo di nome Matteo Milisavich, il quale chiede un contributo per aver assistito i due sacerdoti e aver custodito le suppellettili della chiesa; presso di lui sono conservati i paramenti e i libri ecclesiali, compresi quelli “di don Michele Dobromiri”; questo medico poi afferma di aver provveduto durante la guerra e fino alla loro morte “li due sacerdoti, massime don Niccolò Boscovic, nipote del monsignor Andreasci”; inoltre dice che “quando furon loro presi dai Turchi, anche Egli dice di esser preso per la loro cagione mentre stavano insieme in una casa, e condotto per molto spazio”, dopodiché versò una forte somma di denaro per essere liberato; conclude suggerendo che “li paramenti di don Michele Dobromiri, cioè la Pianeta col calice e Patena, e certi libri di don Niccolò Boscovich di poca valuta si debbano devolvere a lui per aver per loro speso”.


Poco più avanti c’è un ulteriore accenno ai due sacerdoti uccisi: “In Calasclija vi è la chiesa, poveramente a guisa di casa, e malamente coperta. In questa risiedeva l’ultimo don Michele Dobromiri ucciso, il quale con gran zelo e diligenza avea governato non solo questa parte, ma ancora molto tempo tutta quanta la Diocesi di Soffia e di Filippopoli, e si vedeva la sua attenzione dalli libri dei Battesimi, che aveva fatti raccogliendo dalla memoria delli vecchi tutti li battezzati fino dai 40 anni per avanti, oltre quei ch’egli stesso aveva battezzati. L’istessa sua attenzione si vedeva in varie altre memorie, che aveva lasciate scritte, che si trovano in Filippopoli appresso il suddetto Matteo raguseo. Egli anche era nativo propriamente di Calasclija don Michele, e mi fu detto che alle volte, quando il bisogno lo richiedeva, andava vestito come li Paesani con un bastone su le spalle per accorrere alli bisogni delli Fedeli: ed incontrando i Giannizzeri, lo interrogavano dove abita il prete. Ed in questo modo la passò continuando molti anni in quelle missioni”.


Nelle sue conclusioni della Visita, mons. Nicolovich fornisce a Propaganda Fide i suoi suggerimenti, basati sulle esperienze precedenti; dopo aver raccontato nuovamente la persecuzione suscitata dalla Chiesa Ortodossa contro mons. Andriasci, costretto all’esilio per non restar “sacrificato al furor della barbarie”, egli scrive un intero capitoletto intitolato “Come debbano guardarsi di non ingerirsi nelle cose dello stato”, breve sunto di real politik, basato proprio sulle vicende dei due missionari uccisi:
Giannizzeri Ottomani
“Con le altrui disgrazie possiamo approfittarsi tutti noi altri, che siamo sotto il dominio dei Turchi, ed imparare alle spese loro a non cascare in simili inavvertenze. Di questo siamo avvertiti dal doloroso caso occorso ultimamente del 1738, nelle persone dei due degnissimi ed unici missionari di Filippopoli don Michele Dobromiri e don Niccolò Boscovich, i quali fuono condotti legati a Filippopoli e poi dal Visir decapitati, non di altro rei che per essere trovati dai Turchi le lor lettere, che mandavano alla Sagra Congregazione, le quali lette in presenza del Gran Visir in Adrianopoli, si trovò in esse che mandavano un Rinnegato e poi convertito di nuovo alla fede, acciò nella Cristianità potesse pubblicamente professar la nostra fede, e che pregavano Dio che quei Paesi del Turco venissero nelle mani dei Principi Cristiani, e che fosse in essi piantata la Croce, come speravano potesse in breve succedere per le mosse che già aveva fatto l’Imperadore. Da ciò inorridito il Visir li fece decapitar, e similmente con molti strazzi fu tolto di vita anche l’istesso rinnegato. Occorse poi che il giorno seguente, o il giorno stesso, giunse in Adrianopoli l’Ambasciador di Francia, e mentre meditava avanzare le sue doglianze al Visir, ed il dispiacere che provava per la morte data ai sacerdoti senza esserne avvisato, gli furono presentate le lettere intercette, le quali vedute che l’ebbe, cadde in tanta costernazione non solo l’Ambasciatore, ma tutti i Francesi, che si ammutolirono, né ardivano comparir fuori, né anche a veder quel giorno i lor cadaveri, né vollero saper di loro csa alcuna, mentre di se stessi temevano (…) Perciò saranno avvertiti dalla S. Congregazione tutti Sacerdoti, Missionari e Vescovi, a non dover mai scriver ad alcuno da quelle parti, circa le Guerre, o ingerirsi nelle cose dei Stati”.

Un ulteriore accenno a don Michele Dobromiri si trova nella Relazione di mons. Antonio Becich, scritta a Belene nel 1745; parlando del parroco di Oresh, don Stanislas Dulov, il visitatore afferma che egli “con tutto che sia di qua nativo, va sotto il nome di Raguseo col fermano del quondam D. Michele Dobromiri, che fu trucidato da’ Turchi in Adrianopoli, e gli sucederebbe gran male, se dalli mercanti Ragusei venisse accusato dell’inganno che prattica col falso Fermano verso li Turchi”[8].


Un altro accenno si ha nella Relazione di mons. Radovani del 1749: “La Protezione e l’essere nazionale Raguseo nulla ha giovato al quondam Monsig. Andriasci e ai suoi Missionari ragusei, come apparisce nella visita spedita dal medesimo a quella S. Congregazione del 1731, fatta per ordine del suddetto Andriasci dal missionario Don Michaele Dobromiri[9].

L’ultima volta che viene menzionato don Michele, prima di entrare nel dimenticatoio della storia, è nella visita di mons. Zuzzei del 1757: “Queste missioni sono state in vari tempi diversamente distribuite. Ai tempi di mons. Andriasci, che risedeva a Filippopoli, erano quattri i missionari. Quello di Calaclie aveva cura di Filippopoli, dove erano allora pochissimi cattolici dispersi al servizio dei Turchi, di Eschisagara, di Jambol, dove non vi sono più cattolici, di Soffia e di detta Calaclie, e vi era missionario il sacerdote don Michele Dobromiri”[10].

Il “martirio” di questi due sacerdoti, se per ignoranza non mi sbaglio, pare non abbia lasciato tracce nei posteri. Si trova soltanto un breve riferimento in una lettera del missionario Assunzionista p. V. Galabert, direttore della scuola cattolica di Filippoli: “On sait que deux d’entre eux, don Michel Dobromiri, de Philippopolis, élève de la Propagande, et don Nicolas Boscovich, de Raguse, vicaire général de Mgr. Andriasci, archeveque de Sophia, en exil, furent décapités à Adrianople en 1738, en haine de la foi, et certains relations mentionnent que leurs corps ayant été jetés dans la rivière de la Maritza, on observa pendant trois nuits une lumière éclatante sur les eaux”[11].
Per il resto, nulla.


Chissà… forse un giorno avranno anche loro gli onori degli altari, e riceveranno almeno la riconoscenza di una grata memoria.
Per ora, hanno l’onore di aver lavorato in queste terre dove nessuno voleva lavorare, dove non si raccolgono onori e lodi, dove magari eri vescovo di una diocesi con due preti… e questa terra ha avuto l’onore di essere bagnata dal loro sudore e dal loro sangue.


[1]Cfr. i numeri RS 4 (L), 2006, pp. 85-205; e: RS 5 (LI), 2007, pp. 45-190.
[2] Cfr. Relazione di mons. Andriasci del 1721, RS 4 (L), 2006, p. 135
[3] Cfr. Relazione del Card. Zandarini del 1728, in ABE, pp. 341-343.
[4] Cfr. Lettera di don Luca Raffaele Biagi del 23 giugno 1729, in Acta Bulgaria Ecclesiastica, Zagabria 1887, pp. 347-349.
[5] Cfr. Relazione di N. Boscovich del 1737, in: RS 4 (L) 2006, pp. 157-165.
[6] RS 4 (L) 2006, pp. 165-205. Dal 1740 al 1743 la Diocesi di Nicopoli fu vacante. L’autore è mons. Giovanni Nikolović Casali da Iacova, a quel tempo Vicario Generale della Serbia, poi vescovo di Skopije dal 1743 al 1752.
[7] Mons. Marko Andrijašević, fu parroco a Belene e Vescovo di Nicopoli dal 10 maggio 1717 al 20 dicembre 1723; venne poi nominato Arcivescovo di Sofia dal 20 dicembre 1723 fino alla morte nel 1743.
[8] Cfr. Relazione di mons. A. Becich del 5 agosto 1745, in: RS 5 (LI) 2007, p. 55.
[9] Cfr. Relazione di mons. Radovani del 6 novembre 1749, in: RS 5 (LI) 2007, p. 67.
[10] Cfr. Relazione di mons. B. Zuzzei dell’8 maggio 1757, in: RS 5 (LI) 2007, p. 138.
[11] Lettera pubblicata in Annales franciscaines, vol. 5, Poissielgue 1868, p. 209.

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