Ripropongo qui, papale papale, l'intervista a me medesimo che oggi è stata pubblicata su www.santalessandro.org, settimanale online della Diocesi di Bergamo, in occasione dell'imminente visita di Papa Francesco in Bulgaria.
Che legami ha questa Visita Apostolica con Bergamo???
Senza dubbio Papa Giovanni XXIII: i cari bulgari amano chiamarlo il Papa Bulgaro... ma è anche un po' Bergamasco, no?!? Buona lettura!
E poi.. un saluto dall'unico prete bergamasco in Bulgaria!
Dal 5 al 7 maggio Papa Francesco visiterà le comunità cattoliche in Bulgaria e Macedonia del Nord, che hanno rispettivamente circa 70mila e 20mila fedeli. Il comune passato sotto i regimi comunisti ha segnato la storia dei due Paesi balcanici distruggendo le strutture ecclesiastiche e impedendo fino al 1989 qualsiasi forma di apostolato.
Un’altra trasferta internazionale del pontefice argentino dalla grande valenza simbolica, i cui momenti significativi saranno la visita di un campo profughi a Sofia e una preghiera al memoriale dedicato a Santa Teresa di Calcutta a Skopje, città natale della fondatrice delle Missionarie della Carità.
“Non temere, piccolo gregge!” (Lc 12,32), scritto in lingua macedone e inglese, è il motto della tappa che Papa Francesco farà nell’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia. La mappa e i colori simbolizzano la Nazione e la sua bandiera, mentre una parte dell’immagine rappresenta l’arrivo del Santo Padre che benedice il Paese. Il sari di Madre Teresa, e il colore azzurro che lo caratterizza, è il simbolo del logo, perché il Papa visiterà Skopje.
“Pace sulla terra”, con la scritta in latino e in bulgaro, è il motto del viaggio apostolico del Santo Padre in Bulgaria, che richiama la storica enciclica di San Giovanni XXIII, “Pacem in terris”, primo Visitatore e Delegato Apostolico in Bulgaria, e la preghiera per la pace che farà il Papa. Nel logo con il mondo campeggia la bandiera bulgara e viene focalizzata la regione balcanica in cui si trova la Bulgaria.
E proprio del ricordo indelebile che San Giovanni XXIII ha lasciato nella comunità cattolica bulgara e dell’importanza ancora oggi della “Pacem in terris” parliamo con il missionario passionista padre Paolo Cortesi, nato il 31 marzo 1974 a Cicola, frazione di Carobbio degli Angeli (BG). Padre Cortesi, Rettore del Santuario Beato Eugenio Bossilkov, dall’ottobre 2010 vive a Belene, in Bulgaria, dove l’8 settembre 2012 è diventato parroco.
Padre Paolo, quanti sono attualmente i cattolici che vivono in Bulgaria? E’ molto estesa la Sua parrocchia?
«È difficile sapere quanti siano i cattolici in Bulgaria al momento, perché moltissimi di loro, soprattutto i più giovani, vivono continuamente o saltuariamente all’estero. Le comunità cattoliche si trovano quasi tutte nei paesi di provincia, e da decenni c’è una fortissima emigrazione a causa della mancanza di lavoro. Penso che al momento vivano in Bulgaria circa 50mila cattolici di rito latino e di rito orientale, compresi gli stranieri che son qui per motivi di lavoro. La comunità cristiana di Belene, affidata a me, è composta da due parrocchie (Natività di Maria e Sant’Antonio da Padova), e con i suoi 5mila fedeli è la più numerosa della Bulgaria del Nord. È situata in una posizione bellissima, sulle sponde del Danubio, all’interno del Parco Naturale Persina. Venti anni fa la città di Belene aveva 15mila abitanti, ora solo circa 6mila, la maggioranza dei quali anziani. Per capirci, lo scorso anno abbiamo avuto 150 funerali, solo 10 battesimi, nessun matrimonio, nessuna prima comunione e nessuna cresima».
La visita di Papa Francesco avverrà sotto il motto “Pacem in terris” richiamando l’ultima enciclica pubblicata da San Giovanni XXIII in data 11 aprile 1963, quando il Papa Buono era già gravemente segnato dai sintomi della malattia, che l’avrebbe portato alla morte in meno di due mesi. Il documento del magistero della Chiesa ebbe un’eco grandissima anche per il suo valore innovativo?
Il ritratto di Papa Giovanni donato da mons. Francesco Beschi alla comunità di Belene, insieme alla reliquia e alla Pacem in Terris in bulgaro. |
«Certamente potremmo definire questa Enciclica, insieme al Concilio stesso, un bellissimo canto del cigno di un uomo benedetto da Dio. Quando uscì, destò sicuramente una grande attenzione, dovuta anche al pesante clima di guerra fredda, alla crisi dei missili cubana, alla paura collettiva di una guerra nucleare. Mi piace però pensare, ed è anche ben documentato nella vita e negli scritti di Angelo Giuseppe Roncalli, che questa Enciclica è maturata in lui fin dalla giovinezza. Nella sua esperienza di giovane sacerdote, in mezzo ai conflitti dei lavoratori, il contatto diretto con i feriti e le vittime della Grande Guerra, la gestione dei conflitti interni alla chiesa in Bulgaria, la seconda Guerra Mondiale vissuta nei Balcani, l’incontro coi profughi ebrei, le tensioni poi in Francia nel dopoguerra, tutte queste esperienze fanno maturare in Roncalli quel desiderio grande di pace che poi troviamo sbocciato nella “Pacem in Terris”».
Qual è l’attualità della “Pacem in terris”?
«Penso sia molto attuale, e sarà sempre attuale. Prima di tutto perché la pace non è solo assenza di guerra e di conflitto, ma come scrive papa Giovanni “è un anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi”, è il lavoro continuo e assiduo di tutti (singoli, comunità, istituzioni) per custodire e favorire “l’ordine mirabile dell’universo” voluto e creato da Dio, vivendo in “una convivenza ordinata e feconda”. Per Roncalli la pacifica convivenza si fonda prima di tutto sui diritti e sui doveri delle persone, che vanno favoriti e tutelati dalle istituzioni. Nell’enciclica troviamo poi temi di grandissima attualità: la dignità del lavoro, i migranti e i profughi, le minoranze, la giustizia, la solidarietà, la sussidiarietà, la libertà, il disarmo, la ricerca del bene comune. Anche oggi le persone desiderano vivere in pace. Questa pace però non si può raggiungere chiudendosi in una guerra di difesa egoistica. Alla scuola di papa Giovanni possiamo imparare a costruire ponti di pace, partendo come lui dalla ricchezza di ogni singola persona, convivendo e collaborando insieme, nella reciproca stima e accoglienza, costruire una società fraterna. È questa la sfida attualissima che ancora ci propone la “Pacem in terris”».
Nominato arcivescovo da Pio XI nel 1925, Monsignor Roncalli fu inviato in Bulgaria in qualità di Visitatore e Delegato Apostolico con il compito di provvedere ai gravi bisogni della piccola e disastrata comunità cattolica. Il futuro Giovanni XXIII rimase in Bulgaria per ben dieci anni. Papa Roncalli fu un importante protettore dei cattolici bulgari?
Mons. Roncalli con i Missionari Passionisti in Bulgaria. |
«Come scrisse Don Angelo in quei giorni: “La Chiesa mi vuole vescovo per mandarmi in Bulgaria a esercitare come Visitatore Apostolico un ministero di pace”. Oggi possiamo dire che si dedicò con tutto se stesso a questo ministero di pacificazione, soprattutto all’interno dei cattolici bulgari che da decenni stavano vivendo situazioni molto conflittuali. Come testimoniato nel cospicuo epistolario “Il lupo, l’orso, l’agnello” (curato da me insieme alla Fondazione Papa Giovanni XXIII), il decennale lavoro nascosto di Mons. Roncalli portò a una generale riappacificazione qui a Belene e nella Diocesi di Nicolpoli. Riuscì poi anche a calmare le acque tra i cattolici di rito orientale, contribuendo alla creazione dell’Esarcato. Interessante fu poi il suo approccio fraterno ai fratelli della Chiesa Ortodossa».
Cura il blog www.storiebulgare.blogspot.com dal 2011, dedicato ai dieci anni di Monsignor Roncalli in Bulgaria. Per quale motivo San Giovanni XXIII per tutta la vita nutrì un grande affetto per questo popolo e la sua Nazione?
Mons. Roncalli nel seminario minore dei Passionisti a Svishtov |
«Questa predilezione di Papa Giovanni XXIII per la Bulgaria e i bulgari, molto ben documentata e anche raccontatami più volte da Mons Capovilla, penso sia legata a tre motivi. Da una parte don Angelo aveva sempre desiderato tantissimo fare il pastore in mezzo alla gente: purtroppo non fu mai parroco, e qui in Bulgaria per la prima volta, a 44 anni, sperimentò l’essere vescovo in mezzo alla gente, e non in un ufficio o in un’aula. Dall’altra, venendo in Bulgaria gli si aprirono gli occhi su un altro mondo, molto diverso dalla bellissima provincia bergamasca o dalle anguste stanze di Roma. In Bulgaria sperimenta una chiesa di minoranza, incontra altre esperienze, altri popoli, altre storie e altre culture. Da ultimo, amava la Bulgaria, perché qui soffrì molto. Come scrive lui: “La Bulgaria è la mia croce… Il Rosario della vita, in questa Bulgaria che per le sollecitudini che mi impone finisce coll’essermi cara, ci trattiene sempre sui misteri dolorosi. Continuiamo a recitare e a meditare bene questi, nell’attesa che il Signore ci dia la grazia di passare ai gaudiosi ed ai gloriosi”. E questa passione di Roncalli, fatta da tante delusioni, incomprensioni e anche fallimenti (molto soffrì, per esempio, per non aver potuto creare un seminario…), legò per sempre la Bulgaria al suo cuore».
Giovanni XXIII fu anche promotore instancabile del dialogo interreligioso in Bulgaria, perché nel Paese da secoli, ortodossi, cattolici, musulmani, protestanti, armeni ed ebrei convivono in pace. Ce ne vuole parlare?
«È impressionante vedere come nei vent’anni trascorsi nei Balcani (10 in Bulgaria, 10 in Turchia e Grecia), Mons. Roncalli abbia incontrato e fatto amicizia con migliaia di persone di ogni provenienza. Il suo stile positivo e amichevole, la valorizzazione di ogni persona, la sua grandissima capacità di ascolto, la cura della corrispondenza, lo hanno portato a superare muri secolari. Certamente questo dialogo nel “privato” lo aiutò ad avere quel cuore grande e quello sguardo universale che sboccerà nel Concilio. A livello pubblico e istituzionale, però, i risultati non furono così vistosi. I tempi non erano ancora maturi, per esempio, per celebrazioni comuni e per collaborazioni. Anche questa convivenza tra le diverse confessioni e religioni, tanto lodata in Bulgaria, allora come oggi, non è il massimo della vita, in quanto basata sulla “tolleranza” reciproca. La sfida di Roncalli e i credenti di allora, è ancora la sfida per Bergoglio e noi credenti di oggi: passare da una semplice tolleranza da vita condominiale (“Siamo diversi, e purtroppo dobbiamo vivere insieme cercando di non litigare”), alla positività e fecondità della vita tra fratelli: “Che bello, siamo diversi, facciamo qualcosa di bello insieme!”.
Riproponendoci la “Pacem in terris “di Giovanni XXIII, penso che Papa Francesco voglia invitarci a salire i gradini della fraternità: da una semplice tolleranza tra religioni e un timidissimo dialogo istituzionale, allo slancio missionario di uscire insieme a seminare la gioia del vangelo e creare un mondo di pace».
Nessun commento:
Posta un commento