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24 novembre 2019

C'era una volta un Re...

I dieci cresimati di oggi a Belene
Stamattina, in occasione della solennità di Cristo Re, abbiamo celebrato qui a Belene la cresima di 10 ragazzi. E siccome, per motivi di salute, il Vescovo non è potuto venire, mi è toccato a me segnare il sigillo dello Spirito Santo sulla fronte di questi dieci ragazzi. Ecco, più o meno, quello che ho detto loro, raccontando qualcosa del Re, dello Spirito e dei suoi doni, e di qualche altra cosetta annessa e connessa.

C'era una volta, tra Svishtov e Nikopol, un regno, nè grande nè piccolo, diciamo medio, e comunque con tutto quello che serve ad un regno, sia piccolo che grande.
La capitale di questo regno si chiamava Belene, gli abitanti del regno belenciani, ed in mezzo alla capitale c'era il castello, dove abitava il Re.
Era un regno unico e speciale, dove tutte le strade erano asfaltate d'oro.
Non c'erano ospedali, nè farmacie e dottori: tutti erano belli, giovani e sani, e non si ammalavano mai.
Tutti erano disoccupati, non c'erano fabbriche, nè negozi e neppure muratori. Ma non era una tragedia, anzi. Era una pacchia, perchè tutti erano milionari e ricchissimi, ed il Re provvedeva a tutto.
I frigoriferi e le dispense di ogni casa erano strapiene di ogni ben di Dio, e nessuno andava a fare la spesa. Ogni mattina il Re spediva cibo, bevande e dintorni, gratis, a tutti, nessuno escluso.
Tutte la famiglie avevano in garage una Ferrari per le feste, una Mercedes per i giorni feriali, ed una Jeep per le gite fuori porta.
In cucina c'erano poi tre rubinetti. Da uno usciva acqua, da un altro vino, e dal terzo, a scelta, o birra o grappa.
Ovviamente nessuno pagava le bollette dell'acquedotto, in quanto tutto era gratis. E neppure quelle della luce e del telefono: tutto gratis, offerto dal Re.
Un regno paradisiaco, insomma, dove tutti vivevano felici e contenti, mangiando, ballando e cantando giorno e notte, ovviamente pieni di gratitudine, lode e riconoscenza per il Re.
Finchè...

Finchè giunse il Censimento. Che avrebbe dovuto essere la solita bazzecola.
Infatti nel Regno di Belene, da secoli, vivevano esattamente 1 milione di persone:
NOVECENTONOVANTANOVEMILANOVECENTONOVANTANOVE cittadini, più il Re. Nessuno mai era morto, nessuno mai era nato, nessuno mai era emigrato da questo paradiso, e nessuno mai era immigrato, essendo riservato solo ai belenciani.
E ogni anno si faceva per tradizione questo censimento, e ogni anno il risultato era lo stesso: UN MILIONE, cioè 999.999 cittadini, più il Re.
Ma quell'anno una bazzecola non fu, perchè quando riferirono i risultati al Re, il Re rimase sconvolto:
"Come? Controllate di nuovo! Non è possibile!!! NOVECENTONOVANTANOVEMILANOVECENTONOVANTA????!? Ne mancano DIECI!!!".
Mentre il Re era sconvolto, controllarono e controllarono, rifecero il giro di tutte le case, e poi riferirono di nuovo: "Niente da fare, o Re. 999.990. Ne mancano dieci!".
Allora il Re disse: "Andate in tutti gli angoli del Regno, andate in ogni angolo del mondo, andate fino ai confini della terra, e trovate questi dieci belenciani!!!".
Partirono. Dopo sette settimane, durante le quali il Re non mangiò e non dormi, ed un velo di tristezza scese su tutti gli abitanti del Regno, un inviato ritornò pieno di gioia, urlando per le strade che li aveva trovati.
Un'ondata di gioia primaverile allora attraversò tutto il Regno, per questi dieci belenciani che si erano perduti ma erano stati ritrovati. Ma durò poco, perchè subito dopo arrivò una invernale gelata siberiana.
Ecco la foto mostrata al Re, che mostra i belenciani
che raccolgono fragole come schiavi in Giappone.
"Mio Signore - riferì l'inviato ritornato al Re, - Ho ritrovato i 10 belenciani dispersi in Giappone. Ma sono schiavi del Re del Giappone, e sono costretti a raccogliere fragole tutti i giorni!".
Il Re allora si alzò e disse: "Radunate tutti i soldati del Regno! Aviazione, Marina, Artiglieria e Fanteria. Andiamo immediatamente in Giappone a liberarli, salvarli e portarli a casa!".
Il Re, messosi lo zaino in spalla, salì sul suo aereo e partì in formazione coi caccia dell'Aviazione. Sotto di loro, la flotta fece vela verso oriente via acqua, mentre i carri armati e la fanteria partirono via terra.
Non si era mai vista una potenza di Fuco simile partire per Aria, Acqua e Terra.
Ma una violenta tempesta boreale elettromagnetica fece precipitare tutti gli aerei dell'Aviazione. Il Re si salvò per un pelo, lanciandosi col paracadute.
Fu raccolto dai battaglioni dell'Artiglieria. Ma mentre i carri armati percorrevano le sterminate pianure asiatiche, un terremoto fece crollare le dighe del Tigri e dell'Eufrate, e l'acqua inondò il deserto e tutto si trasformò in un pantano paludoso, ed i carri si impiantarono e restarono bloccati nel fango.
Il Re proseguì allora a piedi, insieme ai battaglioni della Fanteria. Ma arrivati sulle sponde del Mar della Cina, una terribile epidemia di dissenteria colpì tutti i soldati, non abituati alla fatica ed ai cibi stranieri. Il Re allora si imbarcò sull'Ammiraglia, e con tutta la flotta si diresse verso il Giappone. Ma un violento tifone fece naufragare tutte le navi, adatte più ai fiumi che agli oceani.

Il Re, emaciato, ferito, ricoperto di lividi, mezzo nudo,
aggrappato ad un tronco di legno dell'albero maestro.
E così il Re, emaciato, ferito, ricoperto di lividi, mezzo nudo, aggrappato ad un tronco di legno dell'albero maestro, ammarò sulle spiagge del Giappone. Solo. Ma con ancora il suo zaino sulle spalle.
E solo si diresse verso il campo di fragole, pieno di schiavi che raccoglievano le fragole per il Re del Giappone.
"C'è qualche belenciano qui?", continuava a chiedere, nella belenciana lingua materna. Ma nessuno capiva.
Finalmente, dopo ore, una voce rispose: "Ehi! Siamo qui!".
E così il Re trovò i dieci belenciani dispersi, che lo guardarono un po' di traverso, visto che era messo peggio di loro.
"Sono venuto a salvarvi! Sono il vostro Re! Andiamo, torniamo a casa", disse loro raggiante.
Ma il primo rispose: "A salvare noi? Salva te stesso, pezzente". E se ne andò.
Il secondo aggiunse: "E tu saresti il Re? Senza corona, scettro e nudo come un verme?!? Ma non farmi ridere!". E se ne andò.
E così il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo e l'ottavo. Ad uno ad uno, deridendolo, se ne andarono. Restò solo il più piccolo.
"E tu come ti chiami"? gli disse un po' sconsolato il Re.
"Mario".
"Mario... - sussurrò un po' titubante il Re - E tu non mi prendi in giro?".
"No. Io ti prendo sul serio. Noi siamo qui condannati come schiavi giustamente. Abbiamo voluto andarcene di nascosto dal nostro Regno in cerca di avventure, per capriccio, e giustamente ci siamo meritati questa punizione. Tu invece sei venuto qui, come dici tu, per salvarci. Io ti prendo sul serio. Andiamo".
"Bene. Oggi ti riporto nel mio Regno".
Partirono ed arrivarono alla spiaggia.
Mario, guardando l'immenso oceano, disse un po' sconsolato: "E adesso, che facciamo? Sei un Re senza Marina e senza Aviazione, e senza Navi e senza aerei come attraverseremo questo mare???".
"Non preoccuparti, Mario. Io sono qui con te, e attraverseremo questo mare", gli disse con un sorriso il Re. Ed estrasse dal suo zaino un canotto gonfiabile e due remi. Soffiò dentro e gonfiò questa barchetta improvvisata, poi diede un remo a Mario e disse: "Tu rema a destra, io a sinistra".
E partirono remando verso il Regno di Belene.
"Avrei un po' sete", bofonchiò Mario.
" Eccoti - disse il Re, estraendo dallo zaino una borraccia di acqua del Regno - Se bevi quest'acqua che io ti do, non avrai più sete".
Dopo un po', Mario disse: "Avrei anche un po' di fame..."
"Eccoti - disse il Re, porgendogli un panino estratto dallo zaino - Se mangi di questo pane del Regno, non avrai più fame, piccolo uomo".
Passarono i giorni...
"Ma quando arriveremo? Quanti giorni mancano?", borbottò una mattina il sonnecchiante Mario.
"Boh. Nessuno lo sa. Quello che so è che arriveremo, e che ogni giorno che passa è un giorno in meno da aspettare. Su, andiamo. Io sono con te fino all'ultimo giorno".
Sbarcarono, e continuarono a piedi.
Quando Mario si lamentò per il mal di piedi, il Re estrasse dallo zaino un paio di scarponi del Regno, e glieli fece indossare: "Ecco, con questi non volerai di certo, perchè non hanno le alette di Mercurio, ma certamente camminerai meglio".

Un ricordo di quando la nebbia si tagliava a fette...
Quando scese una nebbia che si tagliava a fette, e Mario si lamentò per paura di perdersi, il Re estrasse una corda dallo zaino, e se la legò alla vita e poi alla vita di Mario: "Ecco, con questa non ti perdi, neanche se mi perdi di vista. Io vado avanti, tu continua solo a camminare".
Quando iniziò a piovere, e Mario si lamentò della pioggia, il Re estrasse dal suo zaino una bella mantella cerata: "Ecco, mettiti questa. Non farà smettere di piovere, ma almeno non ti bagni e non ti ammali".
Quando scavalcarono l'Himalaya, e Mario iniziò a lamentarsi per la neve ed il freddo, il Re estrasse una bella felpa imbottita dallo zaino e gliela diede: "Ecco, mettiti questa bella felpa imbottita di lana di pecora del Regno, e non avrai più freddo".
Quando attraversarono il deserto dell'Iraq e della Siria, pieno di serpenti e scorpioni e sciacalli e leoni, e Mario cominciò a tremare di paura, il Re estrasse un bastone dallo zaino e glielo diede: "Non è certo il bastone di Harry Potter che fa scomparire le bestie, ma se glielo picchi in testa o sul sedere, le bestie se ne andranno con la coda fra le gambe. A parte i serpenti, che son senza gambe! Quelli se ne strisceranno via".
E passarono i giorni. E passarono le notti. E giorno dopo giorno, notte dopo notte, passo dopo passo...
Mario ed il Re, dopo aver attraversato mari e monti, freddo e caldo, pioggia e sole, pianure e colline... arrivarono finalmente nel Regno di Belene.
Potete solo immaginare la gioia e la festa che si scatenò tra i belenciani, quando riabbracciarono il loro Re e il piccolo redivivo Mario, che era dato per morto e perduto, ed invece rieccolo vivo e vegeto.
Ma pur in mezzo alla gioia ed alla festa, un velo di tristezza avvolgeva ancora il volto emaciato del Re.
E nel bel mezzo della festa, il piccolo Mario (che era proprio piccolo, ma mica scemo, e perciò aveva capito tutto), si avvicinò al Re e gli disse: "Eccomi, manda me!"
(Il Re infatti soffriva ancora per gli altri nove che erano rimasti in Giappone, e non era riuscito a salvare perchè non avevano voluto essere salvati...)
"Sicuro? Guarda che non avrai nè aviazione, nè artiglieria, nè flotta...".
"Beh... se mi presti il tuo zaino... mi sarebbe un po' di aiutino..."
"Bene, amico mio. Eccoti lo zaino. Buona fortuna! La strada la sai.".
E così Mario ripartì verso il Giappone.

Ecco Mario che riparte da Belene x il Giappone, zaino in spalla, contornato dalle tipiche montagne del Regno di Belene.

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