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12 luglio 2020

Sopra la gerra l’aberrante guerra che ogni schifo sotterra, sotto la gerra la bella terra che il bel granello afferra


Quando Paolino il Contadino, rimasto senza un soldino e non trovando nessun lavorino, neanche come facchino e neppure come imbianchino, lesse l’annuncio sul giornale serale, non credeva ai propri occhi:


“R.R.R. REGALASI 100 ETTARI!
Il paese di Belene,
nella fertilissima pianura di Belene,
sulla sponda del bel Danubio Blu,
regala 100 ettari di terreno
al primo contadino che si presenta!
Che aspetti? Corri!
Ed il terreno sarà tuo!”.

Paolino, che era un contadino, non ci pensò su neppure una volta.
Zaino in spalla, zappa in mano, cintura ai fianchi e sandali ai piedi, e via, come un fulmine a ciel sereno verso Belene. Chi prima arriva, meglio aalloggia, no?
Per strada però l’entusiasmo cominciò a scemare, ed i dubbi a crescere.
“Qui gatta ci cova – si diceva tra se e se Paolino – Nessuno regala così la terra… Cosa mai può uscire di buono da Belene? Dev’esserci un trucco… Sicuramente il trucco c’è e non si vede… Non è tutto oro quel che luccica… E se fosse uno specchietto per le allodole? Sento puzza di gatto e di volpe e di Campo dei Miracoli… Gratta, gratta e sarà certo una fregatura…”, e via di seguito.
Arrivato a metà strada, nel mezzo del cammino di questa avventura, Paolino si sedette sotto un kikajon, ed estratto il suo palmare apri Gugol e digitò Belene. E non poteva credere ai propri occhi: questo paese di Belene esisteva davvero, ed aveva ben 285 km quadrati (per capirci: il Comune orobico di Carobbio degli Angeli è esteso solo 6,82 km2, cioè ci sta 42 volte in quel di Belene) di terreni di prima categoria, cioè terra nera nerenta, senza un sassolino, frutto dei depositi alluvionali del Danubio (cugina povera del ben più famoso limo d’Egitto). Ed oltre a ciò Gugol diceva che ormai il paese era spopolato ed in via di estinzione, e molti campi e case erano abbandonati.
Da non credere! Allora era vero! Parola di Gugol! La terra era lì che aspettava!
E così Paolino il Contadino, ringalluzzito, rincuorato e rianimato da questa insindacabile conferma, si rialzò pieno di desiderio e si fiondò in quel di Belene.
Arrivò a Belene per primo (a dir la verità… fu anche l’unico ad arrivare… Mica tutti credono a quello che dice Gugol o alle feik nius, neh!), e si presentò allo sportello dove regalavano i terreni. Firmò tutti i documenti d’uopo, e corse nei suoi nuovi campi. E dopo averli girati tutti in lungo ed in largo, non potendo più stare nella pelle, chiese in giro dove poteva acquistare semi da seminare.
“Ah, si vede che lei è forestiero! C’è solo il negozio del Meme Trireme, il signore del seme, come lo chiamiamo qui. Destra, sinistra, sinistra, destra, e lo trova”!
Paolino il contadino segui le indicazioni, ed entrò nel negozio di Meme Trireme.
“Salve, avete dei semi?”, disse all’omone grosso e barbuto dietro il bancone.
“I migliori dell’universo!”, rispose col suo vocione quell’omone, cioè il Meme Trireme.
“Beh… mi servirebbero un quintale di semi di formentù, uno di melgù e uno di ravissù”.
“Lei è fortunato: li abbiamo tutti. Però ci son diverse qualità. Guardi lì: ci sono le sementi cinesi… costan poco, però rendono anche poco, solo un 20%; poi quelle verdi, sono le sementi tedesche, un pelino più care, ma rendono il 60%. Se proprio vuol fare un affare… ci sono poi le sementi belenciane locali, quelle qui di Belene, le migliori dell’universo, selezionate da secoli ed adattissime a questa nostra nera terra: costano il triplo delle altre, ma rendono il 100%, a volte pure il 150%”.
“Usti! Le prenderei subito… ma non si offenda: son Paolino il contadino, e son rimasto senza un soldino… per cui… prendo quelle cinesi, che costan meno”.
E, conclusa la compravendita, Paolino se ne tornò ai suoi campi coi suoi nuovi cinesi sacchi pieni di semi cinesi. Nei giorni successivi arò, erpicò, seminò, rullò, e poi bagno, disinfestò, bagnò, concimò… e attese il raccolto.
Solo che… non nacque niente, solo erbacce e porcherie del genere. Non riuscì a raccogliere neppure una pannocchia di granoturco, neppure un chicco di frumento, neppure un sacchettino di ravizzone. Un anno di lavoro buttato nel cesso, come si dice.
Ancora pieno di entusiasmo, nonostante la delusione del mancato raccolto, tornò da Meme Trireme, signore del seme, per tentare una nuova semina.
“Senta… secondo me il seme cinese non vale una cicca… Può darmi qualche quintale di semi, stavolta mi dia solo sementi tedesche!”
“Affare fatto, ecco a lei”, disse sornione il Meme Trireme, tringendo la mano a Paolino il contadino ed ovviamente incassando i soldini.
Paolino il contadino, tornò nei sui campi e ripetè, da bravo contadino, tutte le precedenti ed abituali operazioni: arare, fresare, concimare….
Ma anche stavolta, nonostante la professionalità, l’impegno, il sudore ed il lavoro quotidiano di Paolino il Contadino… nulla! Solo erbacce, spine, rovi ed aria fritta.

“Vabbè… son cose che capitano… proviamo ancora una volta”, si disse, sconsolato, il Paolino.
E tornò dal Meme, e stavolta si giocò tutto quello che gli era rimasto ed in un colpo di follia comprò sementi belenciane, quelle che sicuramente avrebbero reso il 100%, o addirittura il 150%.
Paolino il contadino, tornò nei sui campi e ripetè, da bravo contadino, tutte le precedenti ed abituali operazioni: arare, fresare, concimare….
E stavolta, a differenza delle due volte precedenti… non spuntarono neppure le erbacce! Solo arida terra polverosa. Peggio del deserto dei Gobbi!.

Affranto, umiliato, deluso, amareggiato, sconfortato, disilluso, rassegnato, frustrato, offeso, a terra, senza un soldo, spiantato, schiantato, sfracellato, morto dentro, sull’orlo di una crisi di nervi, sul punto di farla finita una volta per tutte, con un rimasuglio proprio ugli di speranza, Paolino il Contadino tornò nel negozio di Meme Trireme, ed iniziò ad inveire:
“Imbroglione! Traditore! Sfruttatore! Mi aveva promesso che il di lei seme era il migliore dell’universo! Lei… il signore del seme? Ma va là! Chi si crede di essere? Lei è il re degli imbroglioni! Lei è un Lestofante di prima categoria! Mi ha fregato tutti i soldi, e mi ha venduto pan per focaccia! La sua semente fa schifo! Lei fa schifo! Che schifo! Ma si vergogni! Ma cambi mestiere! Ma vada a zappare la terra, zoticone! Cafone! Io la porto in tribunale! Io la faccio condannare e frustare! Vedrà adesso cosa le faccio! Io la metto in croce, lei! Truffatore dei miei stivali!....
Continuò così per mezz’ora (tralascio le parolacce, che non sono adatte ai banbini!).
Meme Trireme lo lasciò sfogare, avendo gran compassione per le sfortune agricole di quel povero immigrato. Poi, quando Paolino restò senza fiato e non sapeva più a che dio rivolgersi, gli disse:
“Ascolti, caro Paolino. Sulla qualità del seme ci metto la mano sul fuoco: il seme che distribuisco io produce sempre qualcosa, in qualunque situazione. Secondo me il problema non sta nel seme… forse sta nel suo lavoro…”
“Ma come si permette? Io sono un contadino da una vita, da cento generzioni! Io ho fatto tutto quello che si doveva fare e come Dio comanda!”
“Beh… allora il problema è nel terreno! Ovvio.”
“Ma come? La pubblicità diceva che il terreno era terra nera, la migliore… e pure Gugol lo dice!”
“Eh… ma lei crede alla pubblicità e a quello che scrivono su Gugol? Non la facevo così credulone…”
“Ma…”
“Ascolti. Ecco cosa facciamo. Adesso chiudo il negozio. Usciamo insieme, e andiamo a dare un’occhiata ai suoi campi”.
E così fecero.
Quando furono nei campi di Paolino, Meme Trireme scoppiò a ridere. E rise per mezz’ora.
“Scusi, neh! Perché ride? Non mi sembra una situazione ridicola… Direi tragica. Non c’è niente da ridere”, sbottò un imbronciato Paolino.
“Scusa. Ma ridevo perché è così ovvio perché qui non cresce niente… Ti hanno imbrogliato alla grande! Ma guarda tu, che imbroglioni! Ma adesso li freghiamo noi, ben bene! Pan per focaccia!”.
“Imbroglio?!? Ma che imbroglio… la terra qui è nera come il carbone! Sei tu l’imbroglione: mi hai venduto un seme farlocco!”
“Già: proprio nera come il carbone! Perché qui, proprio sotto i tuoi campi, c’era una Centrale Atomica a Carbonella. Cioè, per quarant’anni dicevano che qui avevano costruito una Centrale Atomica, ma in verità ci bruciavano carbone. E ti han fregato ben bene: han steso venti centimetri di terra sopra i resti della Centrale a Carbone. Prova a scavare un po’, e vedrai, e poi mi crederai! Ecco perché non cresce nulla…”.
Paolino si mise a fare buche a destra e a sinistra, lungo tutto il campo, e trovò come gli aveva detto Meme Trireme; sotto venti centimetri di terra… c’erano lastre di cemento, strati di carbone, macerie contaminate, rifiuti di ogni tipo, tutto ben solidificato e compresso.
E pianse amaramente.
Sia per la truffa subita. Sia per tutti i suoi soldi buttati al vento. Sia per aver dato del bugiardo all’onesto Meme. Sia per essersi fatto abbindolare come un cretino. E per essere ormai al lastrico, in tutti i sensi. E un’ondata di disperazione cominciò a travolgerlo da dentro. E piangeva amaramente.
“Su! Dai, Paolino, perché piangi? Non tutto è perduto. Siediti lì, adesso ci penso io”, gli disse il Meme, abbracciandolo per consolare quell’inconsolabile.
Estrasse il cellulare, fece una telefonata, e si sedette accanto a lui.
Dopo mezz’ora, erano circa le tre del pomeriggio, la terra si mise a tremare, e dall’orizzonte iniziarono ad emergere strane ombre.
Meme sorrideva, felice come una pasqua.
Paolino invece era basito: “Cosa diavolo succede adesso?”
“Non preoccuparti… Stanno arrivando i mie amici… sai, quella telefonata di poco fa….”
E arrivarono decine di ruspe e pachere e camion da cantiere e centinaia di operai, e si misero subito all’opera: scoperchiarono quel vaso di Pandora, rimuovendo i venti centimetri di terra buona. Poi cominciarono a demolire le lastre di cemento e a caricare le macerie ed i rifiuti. I camion partivano poi pieni per la discarica (che è il posto adatto per i rifiuti, neh!).
E così, in quattro e quattrotto, dopo tutto questo quarantotto, emerse la pura terra vergine, nera come la pece, ma stavolta di quel nero che si deve, come Dio comanda.
E gli amici di Meme Trireme arrivarono coi trattori ed ararono, concimarono, fresarono, seminarono (“Ah! Non preoccuparti! Questo seme lo offro io!”, disse il Meme a Paolino, che stava pensando a chissà quale fattura gli sarebbe stata addebitata).”
Finito il lavoro, dopo aver rullato ben bene ed annaffiato il tutto, stesero una lunga tavolata, ed una enorme griglia, e si fecero una solenne grigliata e mangiata ed una ancor più solenne bevuta. Tutto a spese del Meme, ovviamente.
E fu così che quando venne il tempo del raccolto, i campi di Paolino produssero il 1000 per cento: un raccolto di proporzioni bibliche, mai visto prima, da che mondo è mondo.
E così pure per gli anni a venire.
E come pensate che visse da allora in poi Paolino il Contadino? Felice e contento?
No… felice e contento è solo un eufemismo.
Visse con il cuore che gli scoppiava di gratitudinezza: aveva trovato il campo, aveva trovato il tesoro, aveva trovato l’amico e soprattutto aveva trovato il seme celestiale!
E visse scoppiettante di gioisa gratitudine, per tutti i secoli dei secoli. Amen!
(PS: La “gerra” è semplicemente la “ghiaia”, in lingua bergamasca.)

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