Arrivato a
Lisbona, fatto rifornimento di vettovaglie, cambiato la ciurma, imbarcato
cartografi, antropologhi, astrofisici, geologi, agronomi ed esperti vari,
partì.
Passate le
colonne d’Ercole si diresse ad Est, costeggiando prima le coste della Spagna, poi
quelle della Francia, sostando a Montecarlo per vedere il Gran Premio degli
asini da corsa, scese poi lungo le rive dello stivale italiano, risalì lo
stivale dall’altra parte, poi scese lungo la croazia, la dalmazia, la grecia e
finalmente giunse ad Istambul. Fatta una visita alla moschea di Santa Sofia,
con la sua Santa Maria attraversò i Dardanelli e risalì verso la Crimea.
Ma in Crimea non ci giunse mai, perché ad un certo punto disse al timoniere: “Eccoci, finalmente! Svolta decisamente a sinistra!”. E quello fece come gli aveva detto il Cristoforo.
Cristoforo
Colombo, dopo aver radunato l’equipaggio e tutti gli esperti sulla tolda,
raggiante in volto disse:
“Ragazzi, oggi è
un giorno storico! Prendete tutti in mano un cucchiaino di zucchero ed
affacciatevi dalle murate!”.
Pur non capendo a
cosa servisse questo rito, fecero come Colombo aveva detto. E mentre tutti
erano affacciati verso l’acqua col loro bel cucchiaino in mano, l’Ammiraglio
disse:
“Bene, ragazzi! Gettate
lo zucchero nella foce! Bene, così! Bene! Bravi! Adesso che abbiamo imboccato
il Danubio gli abbiamo addolcito le fauci, avanti! Questo mostruoso fiume non
ci potrà mangiare. Avanti, verso l’Allemagna! Vedrete, sbucheremo a Rotterdam e
da lì a Lisbona, e così tutto il mondo saprà che l’Europa è un’isola che si può circumnavigare!”.
Al grido di “Urrà!
Urrà! Urrà” e “Viva Colombo!”, tutti tornarono entusiasti ai loro posti, e la
Santa Maria, pur vecchiotta e malconcia, scattò con entusiasmo e scavalcò l’onde.
Ma la realtà a
volte non corrisponde coi sogni, e fu così che giunta nei pressi di Belene, in
una notte senza luna e con la nebbia densa come polenta, la caravella
colombiana si arenò nelle secche, in mezzo al Danubio, proprio di fronte al
villaggio dei belenciani.
Quando al mattino
del giorno dopo la nebbia si diradò, i belenciani accorsero in massa sulla riva
per vedere quella grande casa galleggiante spuntata dal nulla.
E siccome nei
fiumi non ci sono le maree, semmai le fiumee (che non esistono), pur in mezzo a
mille sforzi i marinai non riuscirono a disincagliare la caravella. E così i
sogni di Colombo naufragarono sulle rive di Belene.
Dopo inutili
settimane di sforzi, Colombo, consegnando stipendi e liquidazione (cioè tutto
quello che aveva), lasciò liberi tutti. E tutti sbarcarono, e visto che non c’erano
ancora aerei per tornare a casa, si ammogliarono con le belle belenciane, e si
stabilirono lì.
Sbarcando
portarono con sé tutti gli oggetti e le suppellettili della nave, lasciandone la
carcassa spoglia adagiata sulle sabbie in mezzo al Danubio.
Cristoforo
Colombo non scese con loro, restò sulla Santa Maria, e nessuno da allora lo
vide più.
Passarono gli
anni. Passarono i secoli. Ed il relitto era sempre lì, deteriorandosi sempre
più.
I belenciani
accompagnavano i loro figli sulla sponda, e di padre in figlio si raccontavano
immense storie su quella nave arenata.
E giungiamo a
tempi più recenti. Gente più moderna, esigenze diverse.
Ad un certo punto
si decise: “Ma perché non sfruttiamo questo relitto, e ne facciamo un’attrazione
turistica? Un museo galleggiante… cioè spiaggiante…”.
E fu così che
iniziarono a tappare i buchi, a restaurare la carcassa della nave, a
raccogliere dentro di essa oggetti per il museo marinaro e fiuminaro, etc etc.
Alla fine,
nominarono un custode di questo museo, e di anno in anno, e di custode in
custode, da tutto il mondo venivano turisti a visitare il museo Santa Maria,
dedicato a Cristoforo Colombo ed ai suoi viaggi nei sette mari. E per decine di
anni tutto filò liscio, finchè…
Finchè qualcuno
scoprì la tecnologia, e con l’avvento del digital, fecero pure un museo
virtuale dedicato a Colombo, ci mancherebbe. E la gente, comodamente in
poltrona, ci navigava dentro. Che senso aveva percorrere tutto il mondo, a
rischio della vita, per andare a vedere un vecchio ammuffito relitto in mezzo
al Danubio?
E fu così che i
visitatori iniziaron a calare come la marea, finchè cessarono del tutto.
E per molti anni
più nessuno arrivò a Belene. Gli amministratori, per risparmiare, licenziarono
tutte le guide ed i dipendenti, e per pura pietà nominarono lo scemo del
villaggio custode di quel museo vuoto.
E fu così che
Paolino il Cicolino, di vocazione birichino, venne nominato custode del museo
navale.
E salito con
entusiasmo sul pennone centrale, già il primo giorno fu contagiato da una noia
mortale. Fosse stata almeno una nave piena di fantasmi! Invece era una nave
vuota, piena solo di ragnatele, di antichi oggetti.
“Che pizza questi
vecchi merletti!”, sbuffò Paolino, alla sera, al termine del suo primo giorno
di lavoro, contemplando il sole tramontare ad ovest ed arrossare le acque
placide del Danubio.
“O sole mio! A
questo scempio, rimedio ci pongo io!”, sussurro al sole tramontante Paolino,
facendo il suo classico ghigno birichino, come ogni bambino in procinto di
realizzare una marachella.
“Per mille
balene! Io la faccio volare, questa benedetta caravella!”.
Detto ciò,
afferrò una tavola, e la gettò in acqua.
Poi si gettò pure
lui in acqua, e si sdraiò a pancia in giù sulla tavola.
E a bracciate e
sgambate inizio a risalire, controcorrente, il Danubio.
Sbracciò e sgambò
senza sosta, come uno scemo, tutta la notte, chiedendosi ogni tanto: “O mia
bella caravella, quanto resta della notte?”.
Passò Nikopol, sorpassò
Lom e Vidin, e giunse davanti alle Porte di Ferro.
Sogghignando, si
avvicinò alla maniglia della grande porta che bloccava il Danubio, e… mettendosi
in piedi sulla tavola aprì la porta gridando: “All’arrembaggio!!!”, e, apriti
cielo! Una valanga d’acqua sgorgò come tsunami dalle porte aperte.
E Paolino, cavalcando
l’onda venne proiettato in avanti.
La piena improvvisa
travolse tutto e tutti sulle sponde, e questo fiume impetuoso si diresse verso
est. Arrivato in un battibaleno rombante fino a Belene, Paolino saltò sulla
tolda della Santa Maria, urlando: “Mollate gli ormeggi, bucanieri di oggi e di
ieri!”, ma non ce ne fu bisogno: l’ondata impetuosa sollevò la nave di almeno
venti metri e strappò le ancore arrugginite.
E così la Santa
Maria volò via da Belene.
E capitanata da Paolino il Cicolino, novello Capitan Uncino, da allora solca impavida ed intrepida i sette mari, e quando attracca nei porti del mondo, è una festa, e migliaia di persone si riversano in quel redivivo veliero, per ammirare la bella caravella, ed ascoltar dalle labbra del fiero Paolino le fantastiche marinare avventure del Colombo Cristoforo.
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