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7 novembre 2020

Uffa! Che truffa e che puzza star qui a far la muffa, mentre tutto il mondo s’abbuffa!

Ammuffito di qualità... pronto per deliziare i fini palati
Lo so, lo so, miei cari gattini... Di solito li agguantate senza tanti problemi e senza tanti scrupoli li divorate, leccandovi poi ben bene i baffi. E non parlo dei topolini… 
Ma… in un sussulto di felina coscienza, vi siete mai chiesti come si sentano i formaggi, soprattutto prima di arrivare tra le sgrinfie delle vostre spire, dove di certo a lor non è dolce il perire, e dopo essere stati concepiti e creati, nel ventre degli a voi proibitissimi paradisiaci caseifici? No?!? Mai!?! Beh… allora mettetevi comodi nei vostri lettini, lasciate riposare un po’ i vostri ferini canini, ed ascoltate, vi prego, un po’, mie car gattini… la voce dei poveri formaggini! 

(N.d.A.: I bulgari chiamano il caseificio “MANDRA”). 

Quella notte lo scantinato della famosissima e rinomatissima Mandra Cassandra di Belene era buio e silenzioso come sempre (a dire il vero era silenzioso e buio pure di giorno, essendo sotto terra e senza né luci né finestre). Però… ad un certo punto, prima pian piano, e poi un po’ più forte, si sentì una voce. Beh… più che una voce, sembrava più un miagolio. 

Ma non era un gatto che miagolava! Impossibile! Quando mai si è visto un gatto scodinzolare allegro e senza guinzaglio nel sancta sanctorum di un caseificio?!? Mai! Sarebbe un miracolo, ciumbia! Ma i miracoli non accadono mai, mondo felino! No. Era un miagolio, piuttosto un lamentoso mugugnio, sì, un mugugnoso lamento. Quando dopo mezz’ora tale lamentio s’era fatto ormai molto lamentoso e fastidioso, una forma di Parmigiano Reggiano adagiata tranquilla nel sesto scaffale a destra non ce la fece più, e sbottò: “Ma che cavolo! Ma la vogliamo smettere?!? A quest’ora della notte! Ma per tutte le mucche da latte del circondario: la vogliamo smettere? Basta! Lasciaci dormire in pace!”. E scese un silenzio tombale. 

Dopo cinque minuti però, il lamento ricominciò: “Ahhhhhhhh… Ohhhhhhhh…. Uhhhhhhhh…. Ehhhhhhh…. Uuuuuufffaaa…. Che truuuuffaaa…. Che puuuuzzzaaaa…. Pooooveeeerooo meeee… Poooveeeeriii noi…..”…. 

Il povero Parmigiano Reggiano, non potendone allora proprio più, fece una voce più dura, da vero duro: “Ma allora?!? La smetti di lamentarti? Ma chi ti credi di essere, pappamolla? Ma lo sai chi sono io, ah?!? Vuoi che vengo lì e ti spiaccico?”. 

“No, no… ti prego… cioè, sì, sì, lo so chi sei! Anche tu sei ancora qui?!? Pensavo di esser rimasto solo io… O nobile Giano Regiano… mi ricordo di te… ti ricordi di me?! Sono il povero Gonzo Zola… rinchiuso qui con te lo stesso giorno di tre anni fa…”. 

“Ma guarda un po’! Il vecchio Zola Gonzo! Come ti butta, amico? E perché ti lamenti?”. 

“Perché mi lamento?! Ma non ti rendi conto? E’ stata tutta una truffa! Ci hanno riempito le orecchie con belle parole, e poi ci hanno abbandonato qui!”. 

“Beh… certo… l’ho già capito anch’io da tempo che è stata tutta una truffa… ma perché lamentarsi e mangiarsi il fegato? Pazienza! Accetta anche tu, come ho fatto io, il nostro amaro destino: nessun grande destino per noi, nessuna missione unica e speciale… solo tanto buio e silenzio, dimenticati da tutti, a marcire in questa cantina”. 

“Accettare?!? Mai! Mai e poi mai!”. 

“Ma come sei ostinato, vecchio Gonzo!”. 

“No, Giano mio: non sono ostinato! E’ solo che… che magari c’è stato uno sbaglio… magari non abbiamo capito bene… magari… forse… forse un giorno la porta si riaprirà e torneremo fuori a veder la luce… Non sono ostinato… ho solo ancora un barlume di speranza… ma mi sembra tutto così assurdo… Ti ricordi? Ti ricordi il giorno in cui il casaro Lacezaro ci ha creati?”. 

“Eccome! Come dimenticare quella stanzona enorme, tutta bianca e luminosa, con quegli angeli candidi che mescolavano e rimescolavano enormi pentoloni di latte candido… e, uno alla volta, ci tiravano fuori dalle bianche acque, e ci stendevano sui tavoli… e noi, lì, pargoli gocciolanti, coi nostri primi vagiti…”. 

“Eh, sì… bei tempi, neh? E poi il gran discorso di Lacezaro, te lo ricordi? Io mi ricordo ancore parola per parola: ‘Piccole creature, formaggini miei! Benvenuti al mondo! Siete stupendi, meravigliosi! Ognuno di voi è unico! Io, il grande Lacezaro, il casaro di Belene, vi ho creati candidi ed immacolati perché svolgiate la missione più importante e preziosa del mondo: rendere felici le persone, di una felicità piena, profonda, celestiale! Siete pronti per svolgere questa missione”?!? 

“Eccome se me lo ricordo! E noi rispondemmo tutti in coro, entusiasti, ammaliati, motivati: ‘Sì! Quello che hai detto, lo faremo!”. 

“Appunto. E quello… quello scelse per prime le femmine, le solite fortunate e privilegiate. Ti ricordi? Prese la Fiorenza Crescenza, la Isotta Ricotta, la Viola Robiola e la Raffaella Mozzarella… e disse loro: ‘Ragazze mie, siete stupendissime, freschissime, morbidissime… I bambini e gli anziani saranno estasiati da voi… Su, andate, fino ai confini della terra! E rendete squisite e gioiose le giornate delle persone!’. E quelle partirono con gioia… e certamente hanno reso felici molte persone…”. 

“Eh, sì… e poi dopo qualche giorno, uno alla volta, sono partiti pure Rino il Pecorino, il Giorgio Taleggio, Caio Cavallo, Tone il Puzzone, Tiago l’Asiago, Tina la Fontina, Adone il Provolone, la Cesca Morza, Tino lo Stracchino, Paolino Marzolino, Carlotta la Caciotta, Rosa la Camuna… e tutti gli altri, uno per uno… E siamo rimasti solo noi due…”. Concluse la carrellata dei gioiosi ricordi lo scoraggiato Gonzo Zola. 

“E siamo rimasti solo noi due…”, ripete sconsolato Giano Reggiano. 

Seguì un lungo silenzio, interrotto da sommessi singhiozzi. 

Poi, dopo un po’ di tempo, quasi per miracolo la porta della cantina della Mandra di Cassandra di Belene, chiusa ormai da anni, si aprì… ed un raggio di luce colpì proprio Giano Reggiano e Gonzo Zola, i quali restarono attoniti e paralizzati da quell’inaspettata visione: dal cono di luce emerse, avvolto in bianche vesti, il loro creatore, Lacezaro il casaro, dicendo: “Oh, miei cari, unici, ed amati topolini…! Pensavate che mi ero dimenticato di voi? Eccomi, eccomi…”. 

E picchiettando con un martelletto sulla schiena di Giano, disse: “Bene, bene: tu sei pronto! Una missione unica ti aspetta… sarai sale della terra e luce del mondo: vedrai, vedrai, ragazzo mio… renderai tutto quello che incontrerai più gustoso….”, e presolo, se lo mise sottobraccio e fece per uscire. 

Il povero Gonzo, ignorato del tutto, avrebbe voluto gridare: “E io? Prendi anche me! Eccomi… manda me! Sono stufo di star qui nell’inedia e nella noia totale a far la muffa!!!”, ma aveva un groppo in gola. 

Lacezaro il casaro, quasi sentendo questo silenzioso grido, tornò indietro, diede un’annusata a Gonzo, e scuotendo il capo, uscì, lasciandolo lì e borbottando: “No… no… non sei ancora pronto… sei troppo giovane… sei troppo molle… sei ancora inaffidabile…”. 

E la porta si richiuse, e la luce sparì di nuovo, e così ogni voce. 

E Gonzo Zola si ritrovò di nuovo nel fragoroso silenzio, nel buio abbacinante, e più solo della solitudine precedente, stavolta proprio solo soletto. 

Ed il tempo passò, e pure i lamenti cessarono, e le lacrime si prosciugarono, ed i sogni di missioni impossibili evaporarono, ed il ricordo della entusiastica creazione lasciò il posto alla più totale delusione e frustrazione. 

Quel povero cristo di Gonzo Zola perse ogni durezza, implose s se stesso, spappolato da quella sua inutile esistenza. E fece la muffa, dimenticato da Dio e dagli uomini in quel buco nero. 

Finchè… 

Finchè un giorno il casaro Lacezaro tornò. 

E, sollevando i resti ammuffiti del povero Gorgo Zola, uscì fuori, alla luce, e gli sussurrò queste parole: “E’ giunta la tua ora, Gonzo caro! Alla fine… è tempo dei migliori! Chiedi a quelli di Cana di Galilea: le cose migliori, si passano alla fine! Bene… vai: tocca a te! Benvenuti a tutti in paradiso!”. 

Erano in una grande sala, con una moltitudine incalcolabile di gente vestita di bianco, di ogni popolo, lingua e nazione. 

E Gonzo Zola si fece in quattro, in quarantaquattro, in quarantaquattro mila, in centoquarantaquattromila e più, e lasciò un pezzettino di sé nel piatto di ogni persona. I quali, assaggiandolo, andarono tutti in celestiale visibilio, esclamando parole simili: 

“Squisito! Indescrivibile! Celestiale! Formidabile! Eccezionale! Super! Ineguagliabile! Inestimabile! Superlativo! Perdindirindina!”, etc. etc 

E fu così che Gonzo Zola portò tutti al settimo cielo della felicità, e compì la sua missione, quello per ci era stato creato. Starsene anni al buio a far la muffa non era stata una buffa truffa, ma solo il tempo necessario perché maturasse a puntino.

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