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8 dicembre 2020

Provo e riprovo, mi muovo e rinnovo o trovo qualcosa di nuovo, a volte pure mi commuovo, ma alla fine non scovo nessun uovo nuovo.


In quel tempo, quando tutto era normale e non c’era niente fuori dal comune, nel comune di Belene vivevano tre comunissime vecchiette, che trascorrevano una comunissima vita da vecchiette, e si chiamavano con tre comunissimi nomi in Bulgaria:

baba Vera (battezzata Viara, che tradotto in italico si dice Fede),

baba Luba (battezzata Liubka, che tradotto in italico sarebbe Carità),

baba Desca (battezzata Nadeshda, che tradotto significa… Speranza).

Queste simpatiche ed arzille nonnette, oltre allo stesso comune, avevano in comune molte altre cose, tra cui il fatto che tutte e tre allevavano galline.

Una mattina, come al solito, si sedettero sulla solita panchina sotto la solita pianta, e cominciarono a raccontarsi le solite cose che solitamente si dicevano.

Dopo gli aggiornamenti sul parentado, sull’evoluzione dei vari ortaggi e la solita rapida carrellata sugli acciacchi di ginocchia, schiena e dintorni, baba Vera introdusse un nuovo argomento, fino ad allora mai affrontato:

“Ehi, lo sapete? Ieri, per la prima volta da che mondo è mondo, neppure una delle mie galline ha fatto l’uovo! Neppure una, neh!”.

“Dici davvero? – esclamò stupita la baba Luba - Ma lo sai che neanche le mie ieri han fatto le uova!”.

“A te scoppia! – si inserì la baba Desca – Neanche le mie”!

E cominciarono a disquisire su questo sciopero aviario, giungendo dopo qualche ora alla, ragionevole, conclusione, con cui liquidarono questa stranezza fuori dal comune: “Che strano caso! E’ proprio una coincidenza interessante!”.

E ritornarono alle loro case.

Il giorno dopo, si svolse la stessa identica scena, compreso il fatto che le galline di tutte e tre di nuovo non avevan fatto nessun uovo.

E la cosa continuò anche nei giorni successivi, cioè il fatto che pur beccando, ruspando e crocchiando… nessun coccodè, e nessun uovo.

Le babe cominciarono a preoccuparsi.

Probabilmente qualche strano virus le aveva contagiate.

Dopo due settimane di totale assenza di uova, la baba Vera fu la prima che perse la fede, e comunicò decisa alle sue colleghe:

“Ragazze, basta. Ormai è lapalissiano che queste bipedi pennute non faranno mai più un uovo, per cui… sapete che vi dico, ragazze mie?!”.

“No… non lo sappiamo… se non ce lo dici…”, risposero entrambe.

“Vi dico che… Basta! E’ meglio una gallina oggi, che un uovo domani. Per cui mò vado a casa, tiro loro il collo e le metto nel frigo!”, disse decisa baba Vera, e si alzò ed ando dritta a casa e fece come aveva detto.

 

Il giorno dopo, fu la volta della baba Liuba, che frustrata da quella prolungata carestia di uova, mentre era sulla panchina con le altre, andò su tutte le furie (dovevate vederla: era proprio fuori dalla grazia di Dio!), si mise ad urlare isterica, a prendere a calci le piante, a sragionare, finchè appena prima di andarsene urlò alle altre:

“Sapete cosa vi dico, ragazze?”.

“No… non lo sappiamo… se non ce lo dici…”, risposero entrambe.

“Vi dico che… Basta! adesso vado a casa, e rompo il paniere delle uova! Lo faccio a pezzi, lo sbriciolo, lo disintegro coi raggi fotonici! E tiro pure io il collo a tutte quelle vecchie galline spelacchiate”. Detto, fatto.

 

Il giorno dopo, toccò alla baba Desca, l’unica ancora in possesso di galline viventi, pur non ovanti:

“Ragazze, sapete cosa vi dico?”.

“No… non lo sappiamo… se non ce lo dici…”, risposero entrambe.

“Vi dico che… Basta! E’ ora di farla finita! Così non si può più andare avanti! Ragazze! La speranza… è l’ultima a morire! Per cui… ora vado a chiamare il vecchio parroco, e gli faccio dar giù una belle benedizione alle mie pollastrelle, e vedrete che uova faranno!”.

E così fece, ed il vecchi parroco venne, e venne pure il giorno dopo, e venne per trenta giorni di fila, ma… pur essendo ormai annegate nell’acqua santa, quelle dannate galline non sfornavano neppure un ovettino kinder.

Ovviamente baba Vera e baba Liuba iniziarono un po’ a prendere in giro la baba Desca, e cercavano di dissuaderla. E quest’ultima stava ormai perdendo la speranza, quando il vecchi parroco la riattizzò con questa proposta:

“Babo Desco… mi spiace, ma le mie benedizioni non funzionano.. però… però… è appena stato nominato il nuovo vescovo… magari la sua benedizione funziona giù meglio della mia…”.

E fu così che il vecchio parroco chiamò il nuovo vescovo, che repentinamente si recò a Belene per provare a risolvere questa tragica situazione pastorale.

Ma neppure le benedizioni e gli esorcismi del nuovo vescovo riuscirono a srappare un coccodè a quelle disovizzate galline.

La speranza di baba Desca stava per esalare infine l’ultimo respiro, quando il nuovo vescovo, da vero saggio, suggerì:

“Mah… Secondo me… questo è un caso serio, che nessun parroco o vescovo può risolvere… Come dice il proverbio: tutte le galline portano a Roma. Per cui… chiamiamo il Papa. Lui sì che può far miracoli!”.

E fu così che il Papa stavolta venne a Belene, ed andò dritto dritto nel pollaio della baba Desca. Tutto il comune si era riunito intorno alla casa di baba Desca, per vedere questa cosa fuori dal comune: il Papa che benediceva le galline di baba Desca!

E, secondo voi, le galline fecero l’uovo?!?

Macchè! Neppure al Papa diedero ascolto, e continuarono a razzolare tranquille e pacifiche. Ed il Papa se ne tornò a Roma.

Baba Desca allora perse ogni speranza.

Dopo che tutti se ne furono andati, andò in cucina, prese un coltellaccio, tornò nel pollaio, afferrò una delle galline, le appoggiò il collo sul ceppo, alzò il coltello in alto, e come Abramo si preparò a sferrare il ferale colpo sulla propria creatura, iniziò a sferrarlo e…

“Ferma!”, si sentì una voce gridare. “Ma sei impazzita?”.

Baba Desca si paralizzò, col braccio armato fermo a mezz’aria e col collo della malcapitata gallina nell’altra mano. E chiese tremante, all’uomo barbuto ed affannato che si era affacciato nel pollaio: “E tu chi diavolo sei?!?”

“Beh… Salve, baba Desca! Non sono un diavolo… son solo un povero diavolo di un pescatore. Sono il Piero… Non mi riconosci? Quello di Cafarnao… Mi scuso per il ritardo… Ma per arrivare qui a Belene è proprio un traffico! Non c’avete l’aeroporto, il treno non funziona da vent’anni, neppure un’autostrada… solo una specie di gruviera piena di buche… Comunque il Papa ha chiesto al Grande Capo di intervenire per questa faccenda devastante e terribile, e Quello mi ha detto di venire qui alla svelta, prima che qualcuno si facesse male… Mi scusi ancora per il ritardo… ma son contendo di essere arrivato in anticipo, prima dell’irreparabile gallinicidio. Sa, babo Desco… viene prima la gallina, e poi l’uovo: quindi… niente gallina… niente uovo…”

“Eh! La fa semplice lei! Qui ci son le galline… ma niente uova! Come la mettiamo allora? Se prima vien la gallina e poi l’uovo… perché qui non vengono le uova!??!”.

“Lasci fare a me, babo!”.

“Va bene. Facci pure come le pare. Tanto ormai… la frittata è quasi fatta”, disse rassegnata una scettica e cinica baba Desca, avendo ormai lasciato ogni speranza dopo esser entrata nel pollaio. E si avviò verso casa, lasciando san Pietro solo nel pollaio.

Stava per varcare la soglia della propria casa, quando la baba Desca, non credendo ai propri orecchi, risentì l’amato suono da tempo immemorato ormai dimenticato:

“Coooocccccodè! Cooocccodè! Coooccodè!” (penserete voi, no?).

Invece il suono che sentì fu:

“Chiiiccchrichììì! Chiccchhhirichì! Chicchirichìììì!”.

E si precipitò nel pollaio.

E qui, quasi quasi mi commuovo, a raccontarti la scena di baba Desca che riceve un bell’uovo fiammante, dorato, quasi pasquale, dalle mani di san Pietro.

E la baba Desca, raggiante, guardare ora l’uovo in mano di san Pietro, ora il gallo ai piedi di san Pietro.

Il quale disse: “Cara baba Desca… mi spiace dirle, che le sue galline purtroppo non faranno mai più le uova, son ormai troppo vecchie, e neanche il Padreterno può far questo miracolo! Per cui… tiri pure loro il collo, e le metta in frigo, e si ricordi che… gallina che becca…. Cioè, che gallina vecchia fa buon brodo!”.

“Sì… beh… mah… Ma allora da dove viene quest’uovo?!?”

“Dal mio gallo, ovviamente! Perché, su, dai, lo san tutti, che prima dell’uovo e della gallina, viene il gallo! Lassù eravamo un po’ commossi per la vostra tragedia, per cui il Principale, commosso profondamente, mi ha detto di regalarvi il mio gallo, che farà del suo meglio per darvi qualche uovo al giorno”.

E fu così, che da quel giorno, non essendoci più galline nei pollai di baba Vera, baba Liuba e baba Desca, il gallo di San Pietro iniziò a sfornare per loro delle gustosissime e celestiali uova.

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