Il Regno dei Sivovi Grigiopallidi di Belene, nel suo massimo splendore, si estendeva da Belene sud fino a Belene nord, e da Belene est fino a Belene Ovest.
Era un regno immmenso e prosperoso, che nel suo apogeo contava un castello e ben 46 case, secondo i dati dell’annuario dell’epoca.
Secondo la tradizione locale, in onore della casata regnante dei Sivovi Grigiopallidi, tutte le case erano pitturate di grigio, tutte le strade e le piazze erano lastricate di granito grigio, tutti i lampioni e le cassette della posta erano verniciati di grigio, ed erano stati banditi da tempo i fiori e gli alberi (da che mondo è mondo purtroppo non esistono piante e fiori grigi… probabilmente quel disgraziato che ha creato il mondo si è dimenticato di questo colore…), sostituiti ovviamente con alberi e fiori di plastica grigi.
Per fortuna quindi era un regno tutto grigio: una piccol macchia di altri colori sarebbe stata una grande macchia ed una grave offesa all’onore della casata dei Sivovi Grigiopallidi.
E la grigia e bigia vita dei Belenciani scorreva nel suo quotidiano grigiore quotidiano. Ed erano pieni di gioia, neh! Capitava spesso di sentirli esultare, tipo: “Ma che bello! Hai visto qui? In questa stupenda giornata di nebbia grigiosa… ci sono ben cinquanta sfumature di grigio… stupendo!”.
Fu così che durante l’epico mitico tranquillo regno plurisecolare della casata dei Sivovi Grigiopallidi Belenciani, proprio quando purtroppo il regno raggiunse il suo vertice apogeotico e la sua massima espansione e prosperità… accadde il patatrack.
Il re Topo Gigio Grigio e la regina Benedetta Bigina Grigina, mentre facevano il solito monotono giretto sulla regale grigia barchetta sullle placide acque del Danubio, non si sa come, la barchetta si capovolse e… ciao! Nessuno più li vide.
Ed in base alle usanze allora salì al trono il loro piccolo figlio, l’infante Cesco Grigioglio.
Il quale, stufo di tanto grigiore, esordì nel suo discorso inaugurale:
“Cari sudditi… buongiorno!
Siccome mi son stufato di tutto questo grigiore… invito tutte e quarantasei le famiglie del nostro immenso regno a pitturare le loro quarantasei case di verde. Ovviamente sarebbe bello anche se ogni famiglia mettesse qualche fiore giallo, rosso, viola in giadino… Comunque, niente fretta, neh! Io vado a farmi un giro per il mondo per un anno, quindi vi invito a fare ciò per il mio ritorno. Così avete ben 365 giorni a disposizione… Vediamo: in cinque giorni una casa si pittura… quindi avete 360 giorni per fare convegni sui pennelli, tavole rotonde sulla scala cromatica, mostre ed esposizioni sullo sviluppo dei colori nei secoli, uorksciòp sulla tinteggiatura a spruzzo e a caldo… Penso che bastino. Ciao, e buon lavoro, neh!”
E detto questo, partì.
I Belenciani, un po’ perplessi da queste parole e questo gesto, se ne tornarono a casa un po’ perplessi.
Qualcuno mormorando: “Ah! Questi giovani coi loro grilli in testa…! Vedrai che gli passerà e metterà la testa a posto….”
Altri sussurrando: “Ah! La vita continua. Figurati se ci mettiamo a dipingere di verde la casa…! In fondo… ha fatto solo un invito, mica un decreto o una legge!”.
I più borbottando: “Comoda la vita, neh? Lui se ne va a spasso, bello bello, e noi qui dovremmo metterci a far giù la pittura, insozzarci ed insozzare tutto… Ma che se la pitturi lui la sua casa!”
E fu così che, passata la festa gabbato lo santo, dopo una settimana dalla partenza del Re, tutti tornarono al tran tran del loro grigiore quotidiano. Sì, fecero qualche piccolo convegno e tavola rotonda sui colori, ma ci andarono i soliti perditempo. Praticamente tutti lasciarono le cose così come stavano. Tutti… tranne uno.
La famiglia di Michele e Angela, coi figli Raffaello, Leonardo, Artemisia, Giorgione, Peggy, Giottino e Pablo, infatti, appena rientrati a casa dopo la cerimonia di intronizzazione, entusiasmati dall’invito del nuovo Re, si tuffarono a staccare la coda al loro cavallo, e dopo aver fatto su dei pennelli (da tempo non se ne trovavano, neppure dalla Cina), si misero a pitturare di verde la loro casetta, cantando e facendosi sscherzi con la pittura (tipo i baffi da gatto sulla faccia…). Si divertirono un mondo a far giù di verde la loro casa, ed ancor di più a piantar giù rose, violette, anemoni, orchidee e decine di altri fiori colorati in giardino.
Ed alla sera, stanchi sporchi e soddisfatti, dopo una bella cenetta, si addormentarono satolli.
Al mattino… apriti cielo!
Furono svegliati dall’isterico glogottare dei vicini di casa, la famiglia di Crazymiro Tacchini:
“Ma siete impazziti!? Ma siete glupazzi?! Gluardate che schifo! Ma come vi permettette!!! Gluai a voi! Glu… glu… gluai a voi!!! Molto glave… molto glave! Riplittulate subito tlutto di gligio!!!”.
La famigliola di Michele ed Angela, stupiti di questa invasione della loro privacy (in fondo, ognuno si faccia le case sue come vuole, o no?), non diedero peso a questo malumore dei tacchini, e fecero una tranquilla colazione.
Ma verso pranzo fuori di casa loro ci fu un tumulto, e la casa circondata. Una folla enorme furente di ben dieci persone, armate di bandiere russe e bombolette spray di grigio… tentava di entrare in giardino e rigrigizzare tutto.
(Mentre loro facevano tranquillamente colazione, infatti, Crazy Tacchino era andato in giro a rompere i campanelli a tutti, dicendo che quegli squilibrati di Michele ed Angela volevano pitturare di verde tutte le case, volevano piantare fiori in ogni centimetro quadrato del regno, volevano stravolgere la Legge ed i Profeti, e distruggere in regno in 72 ore, ed altre strunpidate del genere). (Ovviamente, quei rimbibambi presero per grigio oro colato tutti i gloglottii del tacchino… la qual cosa causò in loro seri problemi gastrointestinali…).
Papà Michele e mamma Angela provarono ad uscire in giardino per ragionare con quei quattro scalmanati che sembravano aver un diavolo per capello… ma niente da fare.
“Signori, su, calmiamoci… Non l’ha detto forse il re che ognuno deve pitturare la casa di verde?”.
Nulla da fare. Continuando ad urlare e minacciare, ai bambini asserragliati in casa venne paura, e chiesero ai loro genitori di metterli in salvo.
E fu così che la povera famigliola di Michele e Angela, coi figli Raffaello, Leonardo, Artemisia, Giorgione, Peggy, Giottino e Pablo, fece fagotto e se ne andò, cacciata via dai loro concittadini. I quali, senza perder tempo, ripitturarono di grigio tutta la loro casetta ed ovviamente con gli spray ingrigirono tutti i fiori appena piantati.
Quando un anno dopo tornò il re Cesco Grigioglio, e vide ancora tutto grigio e seppe della cacciata dell’unica famiglia che aveva fatto la sua volontà… che cosa fece?
Prese le 45 famiglie rimaste, rase al suolo le loro case con le ruspe, e dopo averli fatti tutti neri li spedì tutti in Katanga a spaccare le pietre.
Quindi andò a cercare la povera famigliola di Michele e Angela, coi figli Raffaello, Leonardo, Artemisia, Giorgione, Peggy, Giottino e Pablo, ed una volta trovatili, si inginocchiò davanti a loro e disse: “Vi chiedo scusa, benedetta famiglia! Vi ho lasciati soli, come agnelli in mezzo ai lupi… Ma ora, venite, benedetti! Farò di voi dei grandi pittori di muri!”.
E fu così che dette loro il regno, ed il permesso di pitturare a loro piacimento, con fantasia e con la libertà di usare tutta la scala cromatica. E tutti diventarono famosi pitturatori.
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