La chiesa della Natività di Maria a Belene (1905) |
Dal libro "Lettere dai confini d'Europa":
Il
1803 è un anno travagliato per i due sacerdoti rimasti, don Mattia e p.
Bonaventura:
“Io sono ancora a Svishtov e curo tre
villaggi: Oresh, Belene e Petocladentzi. Gli abitanti di Oresh, prima di
rifugiarsi qui in città, hanno dovuto sopportare il passaggio dell’esercito
turco; la nostra chiesa è stata trasformata in una stalla per i cavalli. Belene
ha dovuto sopportare per due settimane quasi 1400 turchi, che hanno mangiato
tutte le provviste, mentre i kargheli erano accampati a due ore di distanza.
Mentre fuggivano verso Svishtov, 15 belenciani sono morti per strada (…). Che
le dirò di Petikladentzi? I petiklanceni sono fuggiti tutti a Svishtov, dopo
essere stati saccheggiati e bastonati come animali. Molti sono stati torturati col
fuoco, uno è stato ammazzato e ad un altro hanno tagliato le orecchie. I
Trancioveni sono ancora imprigionati in un metiris (метирис), ed il povero don
Mattia è rinchiuso con loro”[1].
Nonostante
questa situazione molto drammatica e precaria, i due sacerdoti fanno quello che
possono per garantire un minimo di assistenza religiosa alle comunità cristiane
disperse tra i villaggi, o rifugiatesi in città o in Valacchia. Ed è proprio
tornando da uno di questi viaggi in Valacchia che l’inverno successivo p. Bonaventura,
contrae una violenta polmonite; il 27 dicembre 1803 riesce a fatica ad
attraversare il Danubio e gravemente ammalato trova ospitalità nella casa di
una famiglia ortodossa a Svishtov; qui il giorno dopo muore, all’età di 39 anni
e viene sepolto ad Oresh, accanto a p. Michele Hirschenauer. Verso la fine del
1803 arrivano altri due passionisti, p. Antonio Giordani[2] e p.
Fortunato Ercolani[3],
che sono destinati da mons. Dovanlia alla cura dei bulgari rifugiati in
Valacchia.
Il
6 luglio del 1804 muore mons. Dovanlia.