Quando Paolino il
Contadino, rimasto senza un soldino e non trovando nessun lavorino, neanche
come facchino e neppure come imbianchino, lesse l’annuncio sul giornale serale,
non credeva ai propri occhi:
“R.R.R. REGALASI 100 ETTARI!
Il paese di
Belene,
nella fertilissima pianura di Belene,
sulla sponda del bel Danubio Blu,
regala 100 ettari di terreno
al primo contadino che si presenta!
Che aspetti?
Corri!
Ed il terreno sarà tuo!”.
Paolino, che era
un contadino, non ci pensò su neppure una volta.
Zaino in spalla,
zappa in mano, cintura ai fianchi e sandali ai piedi, e via, come un fulmine a
ciel sereno verso Belene. Chi prima arriva, meglio aalloggia, no?
Per strada però l’entusiasmo
cominciò a scemare, ed i dubbi a crescere.
“Qui gatta ci cova
– si diceva tra se e se Paolino – Nessuno regala così la terra… Cosa mai può
uscire di buono da Belene? Dev’esserci un trucco… Sicuramente il trucco c’è e
non si vede… Non è tutto oro quel che luccica… E se fosse uno specchietto per
le allodole? Sento puzza di gatto e di volpe e di Campo dei Miracoli… Gratta,
gratta e sarà certo una fregatura…”, e via di seguito.
Arrivato a metà
strada, nel mezzo del cammino di questa avventura, Paolino si sedette sotto un
kikajon, ed estratto il suo palmare apri Gugol e digitò Belene. E non poteva
credere ai propri occhi: questo paese di Belene esisteva davvero, ed aveva ben
285 km quadrati (per capirci: il Comune orobico di Carobbio degli Angeli è
esteso solo 6,82 km2, cioè ci sta 42 volte in quel di Belene) di terreni di
prima categoria, cioè terra nera nerenta, senza un sassolino, frutto dei
depositi alluvionali del Danubio (cugina povera del ben più famoso limo d’Egitto).
Ed oltre a ciò Gugol diceva che ormai il paese era spopolato ed in via di
estinzione, e molti campi e case erano abbandonati.
Da non credere!
Allora era vero! Parola di Gugol! La terra era lì che aspettava!
E così Paolino il
Contadino, ringalluzzito, rincuorato e rianimato da questa insindacabile
conferma, si rialzò pieno di desiderio e si fiondò in quel di Belene.
Arrivò a Belene
per primo (a dir la verità… fu anche l’unico ad arrivare… Mica tutti credono a
quello che dice Gugol o alle feik nius, neh!), e si presentò allo sportello
dove regalavano i terreni. Firmò tutti i documenti d’uopo, e corse nei suoi
nuovi campi. E dopo averli girati tutti in lungo ed in largo, non potendo più
stare nella pelle, chiese in giro dove poteva acquistare semi da seminare.
“Ah, si vede che
lei è forestiero! C’è solo il negozio del Meme Trireme, il signore del seme, come
lo chiamiamo qui. Destra, sinistra, sinistra, destra, e lo trova”!
Paolino il
contadino segui le indicazioni, ed entrò nel negozio di Meme Trireme.
“Salve, avete dei
semi?”, disse all’omone grosso e barbuto dietro il bancone.
“I migliori dell’universo!”,
rispose col suo vocione quell’omone, cioè il Meme Trireme.
“Beh… mi
servirebbero un quintale di semi di formentù, uno di melgù e uno di ravissù”.
“Lei è fortunato:
li abbiamo tutti. Però ci son diverse qualità. Guardi lì: ci sono le sementi
cinesi… costan poco, però rendono anche poco, solo un 20%; poi quelle verdi,
sono le sementi tedesche, un pelino più care, ma rendono il 60%. Se
proprio vuol fare un affare… ci sono poi le sementi belenciane locali,
quelle qui di Belene, le migliori dell’universo, selezionate da secoli ed
adattissime a questa nostra nera terra: costano il triplo delle altre, ma
rendono il 100%, a volte pure il 150%”.
“Usti! Le
prenderei subito… ma non si offenda: son Paolino il contadino, e son rimasto
senza un soldino… per cui… prendo quelle cinesi, che costan meno”.
E, conclusa la
compravendita, Paolino se ne tornò ai suoi campi coi suoi nuovi cinesi sacchi
pieni di semi cinesi. Nei giorni successivi arò, erpicò, seminò, rullò, e poi
bagno, disinfestò, bagnò, concimò… e attese il raccolto.
Solo che… non
nacque niente, solo erbacce e porcherie del genere. Non riuscì a raccogliere
neppure una pannocchia di granoturco, neppure un chicco di frumento, neppure un
sacchettino di ravizzone. Un anno di lavoro buttato nel cesso, come si dice.
Ancora pieno di
entusiasmo, nonostante la delusione del mancato raccolto, tornò da Meme
Trireme, signore del seme, per tentare una nuova semina.
“Senta… secondo
me il seme cinese non vale una cicca… Può darmi qualche quintale di semi,
stavolta mi dia solo sementi tedesche!”
“Affare fatto,
ecco a lei”, disse sornione il Meme Trireme, tringendo la mano a Paolino il
contadino ed ovviamente incassando i soldini.
Paolino il
contadino, tornò nei sui campi e ripetè, da bravo contadino, tutte le
precedenti ed abituali operazioni: arare, fresare, concimare….
Ma anche
stavolta, nonostante la professionalità, l’impegno, il sudore ed il lavoro
quotidiano di Paolino il Contadino… nulla! Solo erbacce, spine, rovi ed aria fritta.
“Vabbè… son cose
che capitano… proviamo ancora una volta”, si disse, sconsolato, il Paolino.
E tornò dal Meme,
e stavolta si giocò tutto quello che gli era rimasto ed in un colpo di follia
comprò sementi belenciane, quelle che sicuramente avrebbero reso il 100%, o
addirittura il 150%.
Paolino il
contadino, tornò nei sui campi e ripetè, da bravo contadino, tutte le
precedenti ed abituali operazioni: arare, fresare, concimare….
E stavolta, a
differenza delle due volte precedenti… non spuntarono neppure le erbacce! Solo
arida terra polverosa. Peggio del deserto dei Gobbi!.
Affranto,
umiliato, deluso, amareggiato, sconfortato, disilluso, rassegnato, frustrato,
offeso, a terra, senza un soldo, spiantato, schiantato, sfracellato, morto
dentro, sull’orlo di una crisi di nervi, sul punto di farla finita una volta
per tutte, con un rimasuglio proprio ugli di speranza, Paolino il Contadino
tornò nel negozio di Meme Trireme, ed iniziò ad inveire:
“Imbroglione!
Traditore! Sfruttatore! Mi aveva promesso che il di lei seme era il migliore
dell’universo! Lei… il signore del seme? Ma va là! Chi si crede di essere? Lei
è il re degli imbroglioni! Lei è un Lestofante di prima categoria! Mi ha
fregato tutti i soldi, e mi ha venduto pan per focaccia! La sua semente fa
schifo! Lei fa schifo! Che schifo! Ma si vergogni! Ma cambi mestiere! Ma vada a
zappare la terra, zoticone! Cafone! Io la porto in tribunale! Io la faccio
condannare e frustare! Vedrà adesso cosa le faccio! Io la metto in croce, lei!
Truffatore dei miei stivali!....
Continuò così per
mezz’ora (tralascio le parolacce, che non sono adatte ai banbini!).
Meme Trireme lo
lasciò sfogare, avendo gran compassione per le sfortune agricole di quel povero
immigrato. Poi, quando Paolino restò senza fiato e non sapeva più a che dio rivolgersi,
gli disse:
“Ascolti, caro
Paolino. Sulla qualità del seme ci metto la mano sul fuoco: il seme che
distribuisco io produce sempre qualcosa, in qualunque situazione. Secondo me il
problema non sta nel seme… forse sta nel suo lavoro…”
“Ma come si
permette? Io sono un contadino da una vita, da cento generzioni! Io ho fatto
tutto quello che si doveva fare e come Dio comanda!”
“Beh… allora il
problema è nel terreno! Ovvio.”
“Ma come? La
pubblicità diceva che il terreno era terra nera, la migliore… e pure Gugol lo
dice!”
“Eh… ma lei crede
alla pubblicità e a quello che scrivono su Gugol? Non la facevo così credulone…”
“Ma…”
“Ascolti. Ecco
cosa facciamo. Adesso chiudo il negozio. Usciamo insieme, e andiamo a dare un’occhiata
ai suoi campi”.
E così fecero.
Quando furono nei
campi di Paolino, Meme Trireme scoppiò a ridere. E rise per mezz’ora.
“Scusi, neh! Perché
ride? Non mi sembra una situazione ridicola… Direi tragica. Non c’è niente da
ridere”, sbottò un imbronciato Paolino.
“Scusa. Ma ridevo
perché è così ovvio perché qui non cresce niente… Ti hanno imbrogliato alla
grande! Ma guarda tu, che imbroglioni! Ma adesso li freghiamo noi, ben bene!
Pan per focaccia!”.
“Imbroglio?!? Ma
che imbroglio… la terra qui è nera come il carbone! Sei tu l’imbroglione: mi
hai venduto un seme farlocco!”
“Già: proprio
nera come il carbone! Perché qui, proprio sotto i tuoi campi, c’era una Centrale
Atomica a Carbonella. Cioè, per quarant’anni dicevano che qui avevano costruito
una Centrale Atomica, ma in verità ci bruciavano carbone. E ti han fregato ben
bene: han steso venti centimetri di terra sopra i resti della Centrale a
Carbone. Prova a scavare un po’, e vedrai, e poi mi crederai! Ecco perché non
cresce nulla…”.
Paolino si mise a
fare buche a destra e a sinistra, lungo tutto il campo, e trovò come gli aveva
detto Meme Trireme; sotto venti centimetri di terra… c’erano lastre di cemento,
strati di carbone, macerie contaminate, rifiuti di ogni tipo, tutto ben
solidificato e compresso.
E pianse
amaramente.
Sia per la truffa
subita. Sia per tutti i suoi soldi buttati al vento. Sia per aver dato del
bugiardo all’onesto Meme. Sia per essersi fatto abbindolare come un cretino. E
per essere ormai al lastrico, in tutti i sensi. E un’ondata di disperazione
cominciò a travolgerlo da dentro. E piangeva amaramente.
“Su! Dai,
Paolino, perché piangi? Non tutto è perduto. Siediti lì, adesso ci penso io”, gli
disse il Meme, abbracciandolo per consolare quell’inconsolabile.
Estrasse il
cellulare, fece una telefonata, e si sedette accanto a lui.
Dopo mezz’ora,
erano circa le tre del pomeriggio, la terra si mise a tremare, e dall’orizzonte
iniziarono ad emergere strane ombre.
Meme sorrideva,
felice come una pasqua.
Paolino invece
era basito: “Cosa diavolo succede adesso?”
“Non preoccuparti…
Stanno arrivando i mie amici… sai, quella telefonata di poco fa….”
E arrivarono decine
di ruspe e pachere e camion da cantiere e centinaia di operai, e si misero
subito all’opera: scoperchiarono quel vaso di Pandora, rimuovendo i venti centimetri
di terra buona. Poi cominciarono a demolire le lastre di cemento e a caricare
le macerie ed i rifiuti. I camion partivano poi pieni per la discarica (che è
il posto adatto per i rifiuti, neh!).
E così, in
quattro e quattrotto, dopo tutto questo quarantotto, emerse la pura terra
vergine, nera come la pece, ma stavolta di quel nero che si deve, come Dio
comanda.
E gli amici di Meme
Trireme arrivarono coi trattori ed ararono, concimarono, fresarono, seminarono (“Ah!
Non preoccuparti! Questo seme lo offro io!”, disse il Meme a Paolino, che stava
pensando a chissà quale fattura gli sarebbe stata addebitata).”
Finito il lavoro,
dopo aver rullato ben bene ed annaffiato il tutto, stesero una lunga tavolata,
ed una enorme griglia, e si fecero una solenne grigliata e mangiata ed una
ancor più solenne bevuta. Tutto a spese del Meme, ovviamente.
E fu così che
quando venne il tempo del raccolto, i campi di Paolino produssero il 1000 per
cento: un raccolto di proporzioni bibliche, mai visto prima, da che mondo è
mondo.
E così pure per
gli anni a venire.
E come pensate
che visse da allora in poi Paolino il Contadino? Felice e contento?
No… felice e
contento è solo un eufemismo.
Visse con il
cuore che gli scoppiava di gratitudinezza: aveva trovato il campo, aveva
trovato il tesoro, aveva trovato l’amico e soprattutto aveva trovato il seme celestiale!
E visse scoppiettante
di gioisa gratitudine, per tutti i secoli dei secoli. Amen!
(PS: La “gerra” è semplicemente la “ghiaia”, in lingua bergamasca.)