13 maggio 2020

Correva l'anno diciannovesimo...

Il giovanissimo padre Paolo di diciannove anni fa,
insieme al suo parroco di allora, don Ettore.
Lo so, lo so: il 19 di solito non significa niente, specialmente per gli anniversari. Di solito si celebrano i numeri pieni (5, 10, 15, 20, 25... 50... 75... 100). Lo so, non si è mai visto dare importanza al "diciannovesimo". Tutti di solito aspettano un annetto in più e... zac, eccoti un bel Ventesimo.

Fatto sta che oggi mi tocca, senza speciali giubilei e feste, ricordare il diciannovesimo della mia ordinazione sacerdotale e della mia prima messa.
Ben 19 anni fa, correva l'anno 2001, quasi nel secolo scorso, e quel sabato 12 maggio, nella chiesa di Santa Maria Goretti a Milano, per mano di mons. Piergiorgio Nesti, un timido giovane passionista bergamasco diventava sacerdote per sempre, al modo di Melchisedek.
Ed il giorno dopo, il 13 maggio del 2001, nella Tenda del popolo di Dio in cammino di Cicola (così è pensata l'architettura della chiesa parrocchiale di questo paesucolo orobico), celebravo la mia prima messa...
E pensando proprio al biblico Melchisedecco, vado a cercare nella Bibbia se per caso c'è qualcosa di speciale legato al diciannovesimo anno, tanto per far illuminare dalla Parola di Dio questo afasico giubileo in quarantena da coronavirus.


Con mia grande sorpresa, scopro che in tutta la Bibbia, che è bella grande, solo una volta si parla del "diciannovesimo anno".
E fu davvero un memorabile diciannovesimo anno! Traumatico, direi, tant'è che molti ancora oggi vanno a dondolarsi e piangere davanti ad un pezzo di muro sopravvissuto a quel diciannovesimo anno. Il racconto di quel diciannovesimo anno lo troviamo nella piccola appendice del libro di Geremia, quel piccolo capitoletto 52 appeso nell'ultima pagina, come un post-it (c'è pure nel Secondo Libro dei Re, al capitolo 25, per chi preferisce).
Eccolo:

Era l'anno diciannovesimo del re Nabucodònosor, re di Babilonia.
Nabuzaradàn, capo delle guardie, che prestava servizio alla presenza del re di Babilonia, entrò a Gerusalemme.
Egli incendiò il tempio del Signore e la reggia e tutte le case di Gerusalemme; diede alle fiamme anche tutte le case dei nobili. 14Tutto l'esercito dei Caldei, che era con il capo delle guardie, demolì tutte le mura intorno a Gerusalemme. 15Nabuzaradàn, capo delle guardie, deportò il resto del popolo rimasto in città, i disertori che erano passati al re di Babilonia e quanti erano rimasti degli artigiani. 16Nabuzaradàn, capo delle guardie, lasciò parte dei poveri della terra come vignaioli e come agricoltori.


Francesco Hayez, "La distruzione del Tempio di Gerusalemme", Gallerie dell'Accademia (Venezia)

17I Caldei fecero a pezzi le colonne di bronzo che erano nel tempio del Signore, i carrelli e il Mare di bronzo che erano nel tempio del Signore e ne portarono tutto il bronzo a Babilonia.
18Essi presero anche i recipienti, le palette, i coltelli, i vasi per l'aspersione, le coppe e tutti gli oggetti di bronzo che servivano al culto.
19Il capo delle guardie prese anche i bicchieri, i bracieri, i vasi per l'aspersione, i recipienti, i candelabri, le coppe e i calici, quanto era d'oro e d'argento. 20Quanto alle due colonne, all'unico Mare, ai dodici buoi di bronzo che erano sotto di esso e ai carrelli, che aveva fatto il re Salomone per il tempio del Signore, non si poteva calcolare quale fosse il peso del bronzo di tutti questi oggetti. 21Delle colonne poi l'una era alta diciotto cubiti e ci voleva un filo di dodici cubiti per misurarne la circonferenza; il suo spessore era di quattro dita, essendo vuota nell'interno. 22Su di essa c'era un capitello di bronzo e l'altezza di un capitello era di cinque cubiti; tutto intorno al capitello c'erano un reticolo e melagrane, e il tutto era di bronzo. Così pure era l'altra colonna. 23Le melagrane erano novantasei; tutte le melagrane intorno al reticolo ammontavano a cento.

Molto interessante mi è il meditare su questa pagina del diciannovesimo anno di Nabucodonosor in questo mio diciannovesimo anno del mio sacerdozio.
Partiamo dalle melagrane.
Mi ricordo che spesso il mio reverendo parroco a Milano padre Giuseppe Serighelli (che ebbe la fortuna di trascorrere i suoi studi teologici in Terra Santa), ricordava come fosse importante il melograno da quelle parti, dove lo chiamano RIMMON.
Wikipedia ci insegna che, oltre ad essere sui capitelli del Tempio e ricamate sulle vesti dei Sacerdoti, le melagrane sono simbolo di santità, onestà e correttezza.
Interessante legame questo tra capitelli di melagrane... sacerdozio... tempio in demolizione...
Proprio ieri il capocantiere degli operai che mi stanno restaurando la chiesa (dopo averla ben ben spogliata, quasi come i Babilonesi fecero col Tempio), mi ha chiesto se volevo conservare uno dei capitelli invece di mandarlo in discarica...
L'appena ordinato prete diciannove anni fa, padre Paolo,
insieme a mons. Piergiorgio Silvano Nesti.

Ecco, nel diciannovesimo anno un tempio spogliato, una chiesa spogliata, si son presi proprio tutto, hanno demolito e fatto terra bruciata...
Che coincidenza (anche se non così tragicamente visivamente simile) tra quel diciannovesimo loro anno e questo anno mio diciannovesimo...
Lo tsunami della pandemia del kitaisco Covid19 (pure lui diciannovesimo!?! Speriamo non arrivi un Covid ventesimo!), entrato come un'armata babilonese nelle nostre Gerusalemmi, oltre ad aver demolito e raso al suolo molte vite, molte attività, molte cose... ha saccheggiato, spogliato, raso al suolo la chiesa, lasciando una parte di poveracci della terra ad aggirarsi nostalgici ed affranti tra le rovine ed i ricordi.
E come non pregare, in questa desolazione, in questa waste land di eliotiana memoria, col salmo 35 (il mio salmo preferito durante il 2017...):

Fino a quando, Signore, starai a guardare?
Libera la mia vita dalla loro violenza,
dalle zanne dei leoni l'unico mio bene.

Oppure, unirmi alla preghiera del giovane (deportato da Gerusalemme a Babilonia proprio in quel diciannovesimo anno...) Azaria nella fornace (pure questa una delle mie preferite durante il mitico anno 2017...):
Non ci abbandonare fino in fondo,
per amore del tuo nome,
non infrangere la tua alleanza;
35non ritirare da noi la tua misericordia,
per amore di Abramo, tuo amico,
di Isacco, tuo servo, di Israele, tuo santo,
36ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare
la loro stirpe come le stelle del cielo,
come la sabbia sulla spiaggia del mare.
37Ora invece, Signore,
noi siamo diventati più piccoli
di qualunque altra nazione,
oggi siamo umiliati per tutta la terra
a causa dei nostri peccati.
38Ora non abbiamo più né principe
né profeta né capo né olocausto
né sacrificio né oblazione né incenso
né luogo per presentarti le primizie
e trovare misericordia.

39Potessimo essere accolti con il cuore contrito
e con lo spirito umiliato,
come olocausti di montoni e di tori,
come migliaia di grassi agnelli.
40Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito,
perché non c'è delusione per coloro che confidano in te.
41Ora ti seguiamo con tutto il cuore,
ti temiamo e cerchiamo il tuo volto,
non coprirci di vergogna.
42Fa' con noi secondo la tua clemenza,
secondo la tua grande misericordia.
43Salvaci con i tuoi prodigi,
da' gloria al tuo nome, Signore.

Beh, pare proprio che il diciannovesimo anno sia un anno all'insegna dello spogliamento, del rimpicciolimento, della depauperazione, della mistica kenotica, dell'annichilimento.
Niente strutture, niente attività, niente iniziative, niente incontri, niente di niente.
Dove alla fine della fiera resti tu, solamente tu, come Giobbe lo spogliato di tutto, ed il tuo Dio, pure lui spogliato di tutto.
E non resta che far quattro chiacchere con Lui, e ripartire da Lui, o più meglio ancora, lasciar che Lui riparta e faccia nuove tutte le cose.
Visto che noi sappiam molto bene trasformare i giardini in deserti...
Mentre Lui i deserti li fa fiorire.
Nel giardino fiorente l'ignudo e pavido Adamo si nasconde...
... si mostra l'Adamo terrestre poveraccio nel desolato deserto.

Il novello sacerdote passionista, insieme a mons. Nesti ed ai suoi familiari, diciannove anni fa.

E mi ritrovo qui, dopo questo diciannovesimo anno, parroco quasi raso al suolo di una comunità quasi al suolo radente, prete senza chiesa, chiesa senza attività, attività di pura sopravvivenza, o al massimo di vivacchiare alla giornata e tirar sera oggi, e poi tirar sera domani.
Me, poveraccio vignaiolo della terra, con questa vigna arida ed inaridita che mi è affidata.
La prospettiva di aggirarmi per i prossimi duemila anni desolato e dondolarmi piangente davanti a rimasugli di mura del passato... direi che non mi alletta molto.
Piuttosto sbircio, come primaverile marmotta, dai cumuli delle rovine,
sbircio curioso cercando di stanare qualche nuovo germoglio,
sbircio per intuire da che parte tira il vento (quello dello Spirito, ovvio).
Sbircio impaziente, pronto allo scatto per spingere in acqua la barca,
e prendere il vento (quello dello Spirito, ovvio).
E so già che non soffierà all'indietro, da diciannove a diciotto a diciassette...
ma soffierà in avanti, avanti tutta, verso il venti, il ventuno, il ventidue...
Il buon Dio penso che non infrangerà la sua alleanza,
e dicono che porti a compimento le opere che inizia...
Quindi, Capo, porta a compimento l'opera che in me hai iniziato.

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