28 aprile 2018

28 aprile 1918. Tu sei sacerdote per sempre. In memoria di Massimiliano Kolbe

Giusto giusto cento anni fa, il 28 aprile 1918, al tramonto della "inutile strage" della Prima Guerra Mondiale, veniva ordinato sacerdote a Roma un giovane ventiquattrenne polacco, Massimiliano Kolbe. Che tutti conosciamo per il gesto eroico del suo martirio ad Auschwitz, all'alba dell'altra inutile e tremenda strage della Seconda Guerra Mondiale.
Si può dire che il suo ministero sacerdotale si è compiuto all'interno di queste due tremende vicende del XX secolo, che hanno sconvolto la vita di milioni di persone.

Ho avuto la fortuna, da giovane seminarista, di "incontrare e conoscere" questo santo sacerdote, visitando a 18 anni la Città dell'Immacolata a Niepokalanow, e conoscendolo (andando un po' oltre la mitologizzazione del suo eroico finale sacrificio)... ne sono rimasto affascinato, soprattutto dal suo modo di vivere la propria consacrazione ed il proprio sacerdozio: con gioia e creatività.


Invito davvero tutti a leggere una biografia completa di questo bel sacerdote, che ha vissuto una vita intensa e creativa tra Italia, Polonia e Giappone. Creando, con la sua esuberante creatività, non pochi grattacapi ai suoi amati superiori e confratelli, che ora lo venerano come santo.

Essere infiammati d’amore (dagli scritti di san Massimiliano Kolbe)

Qualunque cosa noi facciamo, fosse anche un atto più che eroico, in grado di sconvolgere le basi di ogni male esistente sulla terra, ha qualche valore unicamente se, facendo tale atto, la nostra volontà si mette in armonia con la volontà dell’Immacolata e, attraverso lei, con la volontà di Dio.
Una cosa soltanto, quindi, vale a dire la fusione della nostra volontà con la Sua, ha un certo valore, anzi un valore totale.
Questa è l’essenza dell’amore (non il sentimento, benché esso pure sia buono ), che ci deve trasformare, attraverso l’Immacolata, in Dio, che deve bruciare in noi e, per mezzo nostro, incendiare il mondo e distruggere, consumare in esso ogni forma di male. È quel fuoco di cui il Salvatore diceva: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso”(Lc 12, 49 ).
Dopo di esserci infiammati noi stessi di questo amore divino (ripeto che non si tratta qui di lacrime dolci e di sentimento, ma di volontà, pur tra l’avversione e la ripugnanza ) faremo ardere il mondo intero.
Tuttavia, siamo noi che ci dobbiamo infiammare, noi che non dobbiamo raffreddare, ma avvampare sempre più fortemente, ci dobbiamo fondere, divenire una cosa sola con Dio, attraverso l’Immacolata.
Dobbiamo, quindi, concentrare tutta la nostra attenzione in questo, unicamente in questo, unirci in modo stretto e fonderci con la mano della nostra Maestra, della nostra Condottiera, affinché Ella possa fare con noi quello che vuole.
Allora, attraverso Lei, uniremo, fonderemo il mondo intero e ogni singola anima con il sacratissimo Cuore di Gesù, mediante il fuoco dell’amore.

Massimiliano Kolbe. Patrono del nostro difficile secolo
Giuseppe SIMBULA, Frati Minori Conventuali di Roma

“Questo sacerdote è proprio un galantuomo. Finora uno simile qui non l’abbiamo avuto”. Le guardie del campo di concentramento di Auschwitz, profondamente scosse, commentavano così il gesto compiuto da san Massimiliano Kolbe (1894-1941) chiedendo di sostituirsi ad un padre di famiglia condannato ingiustamente a morire di fame e di sete, in un buio bunker del famigerato campo di concentramento nazista. Tale morte venne preparata attraverso tutta la vita vissuta all’insegna dell’amore verso Dio e verso il prossimo. È quanto vorrei sottolineare in questa conversazione.

Molti del Kolbe conoscono solo la morte eroica; pochi sanno che è stata eroica anche l’intera sua esistenza: solo nei romanzi o nei film si può essere “eroi per caso”. Nella realtà si affronta la morte con gli stessi atteggiamenti interiori con cui si è vissuto; nell’esistenza concreta cioè, la vita prepara la morte e il modo con cui si va incontro alla morte rivela lo spirito che ha sostenuto e animato la vita di ogni giorno.
San Massimiliano Kolbe è stato autorevolmente e a ragione definito “patrono dei nostri difficili tempi”, evidentemente perché ha vissuto nel suo spirito le migliori aspirazioni dell’uomo contemporaneo, ha reinterpretato cristianamente quelle poco chiare e non si è lasciato abbattere o irretire dagli aspetti negativi. La mostra che stiamo presentando illustra stupendamente tutta l’esistenza del Kolbe e i nostri difficili tempi che possiamo identificare con il secolo XX e che rappresentano anche i tempi di san Massimiliano. Egli, è vero, del secolo XX ha vissuto solo 41 anni, ma il suo ricordo e la sua opera hanno continuato ad essere presenti anche nei restanti 59 e, ne siamo sicuri, continueranno ad esserlo ancora a lungo nella storia dell’uomo. Forse nessun periodo della storia umana è stato esente da difficoltà, ma, al di là di ogni confronto con le epoche precedenti, i nostri sono certamente tempi difficili, anche se, proprio per questo, stimolanti.

In questo contesto contraddittorio, perché tragico ma anche aperto a tanti segni di speranza, san Massimiliano, sostenuto da una visione cristiana della realtà e della storia, attraverso tutta la sua vita, lascia un chiaro messaggio all’uomo di oggi; un messaggio che può prendere varie direzioni per la molteplicità dei suoi interessi, ma che è anche facilmente riconducibile a unità; in primo luogo al principio da lui espresso con le seguenti parole: “L’odio non è forza creatrice. Solo l’amore crea”.

Tutta la vita, così come è stata ricostruita anche dalla presente mostra, è una chiara e convincente dimostrazione di come l’amore, anche nell’uomo, racchiuda in sé una grande forza creativa. Per amore a 23 anni, nel 1917, san Massimiliano, ancora studente a Roma, in compagnia di sei compagni, fonda la Milizia dell’Immacolata, un movimento ecclesiale di spiritualità e apostolato mariani per la difesa della Chiesa e la conversione dei suoi nemici. Il 1917 è l’anno in cui la massoneria celebrava il secondo centenario della Grande Loggia d’Inghilterra.
A Roma, tra l’altro, fu organizzato un corteo blasfemo che, dopo aver sfilato per le vie della città, si concluse in piazza san Pietro sventolando sotto le finestre del papa “un vessillo nero con l’effigie di san Michele arcangelo sotto i piedi di Lucifero” e con striscioni inneggianti a Satana; in particolare una scritta recitava: “Satana regnerà in Vaticano e il Papa lo servirà in veste di guardia svizzera”. Il 1917 è l’anno dell’avvento al potere dei bolscevichi in Russia che, se da un lato rivendicarono i giusti diritti delle classi povere, dall’altro si macchiarono, come tutti sanno, di eccidi efferati e assurdi. Il 1917 è pure l’anno delle apparizioni della Vergine Maria a Fatima con i materni richiami alla conversione per evitare almeno alcuni pericoli incombenti sul mondo.
Per amore della Chiesa dunque e dei valori evangelici che vede minacciati da tanti nemici e per amore degli stessi massoni e degli altri avversari del cristianesimo che egli vuol portare a Cristo perché in lui trovino il significato profondo della propria vita, nel 1917 padre Kolbe istituisce la Milizia dell’Immacolata.
Negli anni di studio ricerca le finalità della Milizia dell’Immacolata soprattutto con la preghiera e l’offerta delle sue sofferenze. Nel 1919, ordinato sacerdote e rientrato in Polonia, nonostante le sue fragili condizioni di salute – ha un solo polmone e per di più ammalato –, l’amore lo spinge ad un’esplosione apostolica: insegna storia ecclesiastica nel seminario teologico di Cracovia, attende alle confessioni, va a predicare nelle parrocchie vicine, fonda circoli di Milizia dell’Immacolata ovunque: nei seminari, nelle scuole e nelle stesse caserme, tiene conferenze catechetiche, organizza una biblioteca circolante. Inevitabile, dopo dodici mesi di intensa attività, un lungo ricovero nel sanatorio di Zakopane, dove nonostante l’assoluto divieto dei medici ad intraprendere qualsiasi attività, non riesce a tirarsi indietro di fronte alla richiesta di una serie di conferenze a sfondo religioso all’interno del sanatorio, fatta da alcuni universitari.
Tra ricovero in sanatorio e convalescenza si giunge al mese di ottobre del 1922. Nel suo grande amore per tutti i fratelli egli sente il bisogno di far giungere il messaggio evangelico al più gran numero di persone; per questo, in un momento di grave crisi economica, quando gli altri giornali sospendevano la pubblicazione, padre Kolbe dà inizio ad una rivista: il Cavaliere dell’Immacolata, modesta nella veste tipografica, ma ricca di contenuti catechetici. La rivista trova buona accoglienza, la tiratura aumenta gradualmente, padre Kolbe rileva una vecchia tipografia, fa il giornalista e il tipografo. Intanto, attratti dal suo fervore apostolico, giungono numerosi giovani che vogliono associarsi a lui nell’apostolato mariano attraverso la stampa, consacrandosi a Dio con i voti religiosi.

Gli ambienti del convento di Cracovia prima e di Grodno dopo non sono sufficienti per far posto ai macchinari, ai magazzini per la carta ed altro materiale e alle stesse abitazioni dei frati, per cui nell’autunno del 1927, con il permesso e la benedizione dei superiori, padre Kolbe fonda una città-convento, Niepokalanów: costruita con materiale poverissimo, ma concepita e realizzata per una numerosa comunità religiosa, nel 1939 ospita circa mille religiosi ed è dotata di tutte le officine e i reparti indispensabili per l’apostolato dei mezzi di comunicazione sociale, di un’attrezzata infermeria, di un reparto di vigili del fuoco, della panetteria, della sartoria, di una centrale elettrica e altro ancora. A Niepokalanów nell’attività apostolica si fa ricorso ai diversi mezzi di comunicazione sociale, ma si privilegia soprattutto la stampa.
Al Cavaliere dell’immacolata, che nel 1937 raggiunge la tiratura di 750.000 copie, si aggiungeranno presto altri mensili: il Piccolo Cavaliere (180.000 copie), il Miles immaculatae (10.000 copie), l’Informatore M.I. (42.000 copie: organo di informazione per i gruppi Milizia dell’Immacolata) e soprattutto il quotidiano Piccolo giornale (Mali Dzienik, 130.000- 150.000 copie). Ma la carità apostolica di san Massimiliano non può limitarsi alla Polonia. Agli inizi del 1930, quando sono trascorsi appena due anni dalla fondazione di Niepokalanów e la città convento avrebbe avuto ancora tanto bisogno di lui per consolidarne l’organizzazione, per formare i giovani religiosi, egli si reca a Roma per chiedere l’autorizzazione di Propaganda Fide e dei superiori dell’Ordine per aprire una missione della Milizia dell’Immacolata nell’estremo Oriente.
Inizialmente la destinazione è indeterminata; dopo vari contatti si orienta verso il Giappone, a Nagasaki, dove il vescovo cerca un docente di filosofia per i seminaristi ed è pronto, in cambio, ad autorizzare l’apertura di una nuova comunità religiosa dedita all’apostolato missionario-mariano attraverso la stampa. Padre Kolbe va bene al suo caso: è infatti laureato in filosofia e teologia. Il nostro santo abbandona la sua città-convento per recarsi in una terra lontana e sconosciuta spinto non tanto dall’impulso dato alle missioni, in quegli anni, dal Papa Pio XI, quanto dalla considerazione che la MILIZIA DELL’IMMACOLATA è per sua natura missionaria e per il fatto che egli appartiene all’ordine francescano; e san Francesco, per il Kolbe, è l’esempio dell’autentico missionario.
Giunto a Nagasaki egli non perde tempo: un mese dopo il suo arrivo in tale città, a Niepokalanów giunge questo sorprendente telegramma: “Oggi spediamo il primo numero del Cavaliere dell’Immacolata in lingua giapponese. Abbiamo tipografia. Gloria all’Immacolata”. Gli articoli erano stati scritti da lui in latino e tradotti in giapponese dai seminaristi. Ma nonostante questo felicissimo esordio i sei anni trascorsi in Giappone per san Massimiliano furono anni irti di difficoltà, sofferenze e incomprensioni: difficoltà di carattere canonico, perché non giungevano mai il beneplacito di Propaganda Fide e il consenso della Congregazione dei religiosi per l’apertura della casa religiosa e qualcuno prese ad accusarlo di essere un avventuriero; inoltre uno dei giovani religiosi condotti da lui in Giappone per ultimarvi gli studi di teologia fu espulso dal seminario di Tokio per una grave colpa, con rilevante danno al buon nome di tutta la comunità e con il rischio che ne venisse compromessa tutta l’opera. Infine molti sacerdoti mossero delle obiezioni contro il Cavaliere dell’Immacolata.

San Massimiliano fu convocato dal nunzio apostolico e dal vescovo di Nagasaki: al vescovo già suo amico, ma che in seguito a tante difficoltà incominciava a perdere la fiducia nel Kolbe, questi rispose che la rivista poteva avere tanti limiti, soprattutto di carattere linguistico; egli infatti, per la traduzione degli articoli in giapponese, doveva affidarsi a persone di buona volontà, ma che grazie ad essa le conversioni al cattolicesimo erano tante e gli consegnò numerose lettere di lettori che dicevano di avere conosciuto la fede cattolica e di aver ricevuto il battesimo grazie al Cavaliere dell’Immacolata. Di fronte a tale affermazione il vescovo, che riportava più che altro obiezioni raccolte dal clero, cessò di lamentarsi con il Kolbe.

Difficoltà di carattere economico: ogni sua attività apostolica era realizzata esclusivamente grazie ai contributi che gli giungevano dai confratelli della Polonia. Era stata concordata una certa somma mensile, ma non sempre questa giungeva puntuale, per disguidi postali ed altri motivi; se qualche volta chiedeva un contributo straordinario, constatava che venivano decurtati quelli ordinari; di conseguenza riusciva difficilissimo attuare i programmi stabiliti. I frati da parte loro vivevano nella più estrema povertà: dormivano in un soffino, sotto il tetto senza intonaco, e d’inverno poteva succedere che le coperte la mattina, al risveglio, si ritrovassero bianche di neve; per cucina inizialmente avevano un solo fornello, poi due, all’aperto; i muri della casa erano in legno con uno spessore che non raggiungeva il centimetro e senza intonaco, con grosse fessure che lasciavano passare dei pericolosi insetti; un alto terrapieno, che non poteva essere rimosso per mancanza di tempo da parte dei fratelli e di soldi per pagare degli operai, toglieva il sole al dormitorio e alle sale di lavoro Ma tutto ciò non portava tristezza e non spegneva lo zelo apostolico.

Ecco come il Kolbe commenta la situazione: “Tuttavia il nostro stato d’animo non è affatto divenuto triste. Per l’Immacolata si fa e si sopporta tutto con gioia: ebbene noi siamo in missione! In Cina i missionari superano difficoltà ancora maggiori. Gloria all’Immacolata”. Angosce e sofferenze gli provenivano dal fatto che qualche confratello non riusciva ad inserirsi nello stile di vita della comunità con il rischio di provocare scandalo nei giovani giapponesi che intendevano entrare nell’ordine.

Altre difficoltà nascevano infine dalle sue sempre precarie condizioni di salute, che male si conciliavano con il molto lavoro. Le sue giornate, infatti, erano intensissime secondo quanto egli racconta in un articolo per la rivista Misje Katolickie: “Subito dopo la meditazione del mattino, la santa messa, il divino ufficio e la colazione, bisogna prepararsi a lasciare il nostro ‘villaggio’ di montagna per raggiungere, dopo una ventina di minuti di marcia, la fermata del tram. Da qui il viaggio prosegue più comodamente e, dopo aver cambiato due volte il tram, si arriva al seminario diocesano, dove mi do da fare per imbottire il cervello dei buoni “filosofi” dagli occhi a mandorla di definizioni, di divisioni, di tesi e via dicendo. E poi c’è il ritorno. Sui tram il caldo non si sente ancora molto, ma quando, dall’ultima fermata del tram, bisogna arrampicarsi verso l’alto, anche se lungo una strada più larga e più comoda, tra gli squilli delle biciclette e i clacson e il frastuono degli autoveicoli, alloro il sole cocente esaurisce quel poco di forze che era rimasto nelle gambe e la persona, in una parola, si trascina in avanti. Dopo un ritorno di quel genere, ognuno può immaginarsi con quale “elasticità” la mente riesce ad applicarsi all’attività. E poi è indispensabile che io stesso dia almeno un’occhiata a qualche libro, perché sono passati ormai diciotto anni da quando sudavo su di essi e ormai più di un particolare è svanito dalla mente. E il Kishi? Se si dovesse redigere in polacco, i fastidi sarebbero appena un quarto e forse meno; invece, se, ad esempio, tu scrivi in latino, allora senza farlo apposta ti capita quello che traduce dal francese; oppure scrivi in italiano e proprio in quel momento arriva quello che traduce dal tedesco; e così datti da fare per preparare una seconda traduzione. Buon per noi che ci è capitato un bravo pastore protestante, che per amore verso san Francesco… si presta costantemente e senza pretendere nulla, ma unicamente per l’Immacolata, a tradurre dall’italiano. Ma le fonti ci sono? Certamente: in inglese, in francese, ma qui è possibile procurarsi con molta abbondanza notizie scritte in geroglifici cinesi, che uno dei nostri fratelli ha definito: “zampette di gallina””.

Padre Kolbe però non si accontenta mai di quanto fa. Egli anela sempre a qualcosa di più, per cui cuore e mente sono sempre in attività per progettare e programmare nuove iniziative e dare nuovi sbocchi alle opere già esistenti, al fine di raggiungere sempre più persone: anche in Giappone il suo impegno maggiore è rivolto alla stampa, oltretutto perché i giapponesi sono degli ottimi lettori. In Giappone, le particolari circostanze in cui è costretto a lavorare pongono il padre Kolbe di fronte ai problemi di ogni giorno, a difficoltà, dubbi, incertezze, sofferenze, umiliazioni, rimproveri, contestazioni, accuse. Gli scritti di questo periodo ci presentano un Kolbe sottoposto a stress psicologico e sempre sull’orlo del crollo. In altre parole rivelano soprattutto gli aspetti più umani del suo temperamento, quegli aspetti che lo avvicinano ad ognuno di noi, in quanto anch’egli partecipa di tutti i nostri limiti, ma insieme ce lo rivelano grandissimo, perché anche in queste situazioni sa essere fedele ai suoi principi e non si lascia travolgere dalle difficoltà. Il capitolo provinciale del 1936 richiama san Massimiliano in patria, come guardiano (superiore) di Niepokalanów.

San Massimiliano avrebbe voluto concimare la terra del Giappone con la polvere delle sue ossa, tuttavia accetta di buon animo la nuova obbedienza e intraprende il compito che gli è stato affidato dai confratelli con il consueto amore. Negli anni della sua assenza la città-convento si è ingrandita e si rende necessaria una riorganizzazione; anche i frati sono aumentati e i nuovi arrivati hanno bisogno di una formazione più solida. Di essi egli sarà soprattutto padre e formatore; di conseguenza il suo impegno prende due direzioni molto precise: riorganizzazione delle attività e formazione dei frati. Per poter far questo nel migliore dei modi egli ascolta i confratelli e visita gli ambienti di lavoro.

Il 1° settembre del 1939 la Germania dichiara guerra alla Polonia ed inizia l’avanzata delle truppe tedesche verso la capitale Varsavia. Il ministro della provincia religiosa dell’Immacolata, padre Maurizio Madzurek, dietro raccomandazione dell’ufficiale distrettuale di Sochaczew, dispone che i fratelli abbandonino Niepokalanów. Padre Kolbe, da parte sua, raccomanda ai fratelli di entrare nelle sezioni della Croce Rossa polacca, operante nelle loro città di origine. Dei circa 760 abitanti che animavano la città-convento, ne rimangono solo una quarantina, compreso padre Massimiliano, guardiano del convento, e il vicario padre Pio Bartosik. Il 19 settembre le truppe tedesche giungono in forza a Niepokalanów, pongono i sigilli alle macchine tipografiche e arrestano padre Kolbe e gli altri religiosi presenti. Furono lasciati liberi solo i fratelli Witold, Ciriaco e Timoteo, destinati all’assistenza dei feriti e qualche altro che si trovava nella casa di cura, con padre Antonio, nei pressi del convento. Durante l’assenza dei religiosi le abitazioni di Niepokalanów sono, scrive Kolbe, “svuotate dei vestiti e delle scarpe, delle varie suppellettili, delle macchine compositrici e piane”. Questa prima prigionia di padre Kolbe e dei confratelli dura ottanta giorni circa; vengono infatti liberati l’8 dicembre dello stesso anno, dopo aver vagato in tre diversi campi di concentramento (Lamsdorf dal 21 settembre al 24 ottobre, Amtitz dal 24 ottobre al 9 novembre, e Ostrzeszòw dal 9 novembre all’8 dicembre).

Di questi ottanta giorni di detenzione, negli scritti del Kolbe si parla solo di sfuggita e indirettamente. In qualche lettera viene ricordata assieme a tante altre notizie di cronaca del convento. Mai però alcun lamento o rammarico per l’ingiusto affronto subito con l’arresto e il peregrinare da un campo di concentramento all’altro, ma solo gratitudine all’Immacolata per la liberazione, avvenuta il giorno della sua festa, e per lo stesso comandante del secondo campo di concentramento, a cui fa giungere il proprio ringraziamento, mediante un biglietto alla mamma di lui: “Gentile signora, mentre ero internato nel campo di concentramento di Amtitz ebbi la fortuna di conoscere suo figlio. In quel luogo egli era comandante di compagnia e io dipendevo da lui insieme con alcune decine di religiosi. Egli destava la nostra meraviglia per l’alto livello della sua cultura e per un profondo senso di giustizia. Non so dove sia il suo attuale recapito, perciò, per suo tramite, gentile signora, intendo ringraziarlo cordialmente di tutto e fargli sapere che tutti noi, dopo tre settimane di permanenza a Schildberg [Ostrzeszòw], il 9 dicembre abbiamo felicemente raggiunto il nostro convento. L’Immacolata Vergine Maria lo ricompensi per ogni cosa”.

Nel frattempo (vale a dire durante il 1940) un po’ alla volta circa i tre quarti dei fratelli possono fare ritorno a Niepokalanów. Vengono riaperte le diverse officine, riassettati i locali del convento che si apre all’accoglienza dei profughi di guerra, tra i quali moltissimi ebrei. Ogni giorno, grazie ai prodotti dell’orto e delle stalle, vengono offerti tre pasti caldi ad ognuno dei 1.500 sfollati. L’infermeria e le diverse officine meccaniche ed artigiane sono poste a servizio dei nuovi abitanti del convento come pure dei contadini della zona. Padre Kolbe tenta di riprendere anche la stampa del Cavaliere dell’Immacolata, ma riesce a farne uscire solo un numero datato dicembre 1940-gennaio 1941. In questo stato di cose la preghiera diventa l’attività principale; viene infatti organizzata l’adorazione perpetua: notte e giorno i frati a gruppetti si alternano in preghiera davanti al Santissimo. Padre Kolbe non cede un istante allo scoraggiamento o alla rassegnazione, ma fiducioso nel Signore e abbandonato alla sua volontà, in una lettera ai fratelli dimoranti fuori Niepokalanów annota: “Lo scopo di Niepokalanów, come ben sappiamo, consiste nel diffondere la devozione e l’amore all’Immacolata e nell’attrarre a Lei le anime. Tempo addietro realizzavamo questo scopo prevalentemente con l’ausilio della stampa, mentre ora si rivolge una particolare attenzione alla preghiera, al lavoro manuale, alla produzione e all’azione di beneficenza”. È cambiata dunque l’attività, ma non lo scopo; intatte sono rimaste anche le caratteristiche dell’azione kolbiana che sono la povertà e la carità, come egli annota in un’altra lettera: “Anche in questi momenti – egli scrive – offriamo disinteressatamente, caritatevolmente il nostro lavoro a tutti coloro che lo chiedono e accettiamo le offerte da parte di tutti coloro che vogliono spontaneamente collaborare con noi”.

Dal punto di vista personale egli, da un lato, si immerge sempre di più nella preghiera e, dall’altro, infonde coraggio e fiducia a tutti. Inoltre, a partire da gennaio del 1941 va pensando cosa fare per portare conforto e assistenza spirituale ai deportati nei campi di concentramento nazisti. Mentre va rimuginando varie ipotesi, la mattina del 17 febbraio del 1941 le S.S. irrompono ancora una volta a Niepokalanów e padre Kolbe viene arrestato; dapprima è trattenuto per qualche mese nel carcere Pawiak di Varsavia, poi viene deportato nel campo di concentramento di Auschwitz, dove giunge il 18 maggio. Da qui scrive una lettera alla mamma, sconvolgente per la pace e la serenità che da essa emana: “Mia amata mamma, verso la fine di maggio sono giunto con un convoglio ferroviario nel campo di Awschwitz [Oswiecim]. Da me va tutto bene. Amata mamma, stai tranquilla per me e per la mia salute, perché il buon Dio c’è in ogni luogo e con grande amore pensa a tutti e a tutto”. Padre Kolbe è ormai completamente immerso nella mistica dell’amore. Egli si sente in intima e profonda comunione con Dio e di conseguenza il suo animo vive in una grande pace. Ogni sentimento umano, collocato all’interno dell’amore di Dio, vissuto ad un livello di grande intensità, viene ad approfondirsi. Ecco perché il formale “Carissima mamma” delle altre lettere qui diventa “Mia amata mamma”, che ripete anche nel contesto della lettera. Si trova ad Auschwitz, nel luogo in cui la violenza, la sopraffazione, l’odio trovano le espressioni più sadiche e diaboliche, eppure egli non ha niente da lamentare: “Da me va tutto bene”.

Il motivo è chiaro: egli è in comunione con Dio; si sente avvolto dall’amore di Dio: “Il buon Dio c’è in ogni luogo e con grande amore pensa a tutti e a tutto”. Inoltre egli ha la consapevolezza di trovarsi in quel luogo di orrore per una missione, come lascia intendere in una lettera di tre giorni prima alla comunità di Niepokalanów: quella di salvare delle anime; di essere luce in un luogo dove le tenebre sono fitte, di offrire una continua e suprema testimonianza d’amore, che renda credibile tutta l’opera apostolica svolta negli anni precedenti e l’annuncio di speranza e di amore evangelici che egli continua a svolgere anche lì ad Auschwitz. Frequentemente nei suoi scritti si trova l’affermazione secondo cui la sua missione e quella delle sue pubblicazioni consistono nella diffusione dell’amore cristiano. “Per questo ideale – scrive all’ufficiale distrettuale tedesco di Sochaczew – io desidero sempre lavorare, soffrire e magari offrire in sacrificio anche la vita”. Ecco perché di fronte ad un padre di famiglia che, condannato innocentemente a morire di fame e di sete in un buio sotterraneo, assieme ad altri nove sventurati, piange al pensiero dei figli e della moglie, per padre Kolbe è naturale uscire dalla fila e al comandante del campo che gli grida: “Che vuoi sporco prete polacco?” rispondere: “Voglio recarmi a morire al posto di quel padre di famiglia che piange”.

Con tale gesto padre Kolbe non solo intende restituire un padre di famiglia all’affetto dei suoi cari, ma anche offrire aiuto e conforto agli altri condannati perché muoiano con dignità umana e fede cristiana. Difatti, i sopravvissuti di Auschwitz raccontano che in altre simili esecuzioni, dal bunker della morte salivano pianti disperati, imprecazioni e bestemmie orribili, questa volta invece si udivano solo canti e preghiere. Nel programmare le iniziative apostoliche padre Kolbe pensava e progettava tutto in grande. Eppure ad Auschwitz, di fronte al pianto di uno sconosciuto compagno di prigionia, non pensò alle opere apostoliche intraprese ed ancora bisognose del suo apporto, ma unicamente a salvare da morte uno sconsolato padre di famiglia. Questo significa che la grandiosità delle sue opere non era esibizionismo o megalomania, ma espressione e riflesso del suo grande amore. Riflettendo sul gesto conclusivo e su tutte le scelte compiute da san Massimiliano durante la sua vita, mi sembra di poter concludere che egli, con il suo esempio ricorda a tutti il primato della persona umana e il dovere di ricercarne la piena realizzazione in tutte le sue dimensioni, a creare le condizioni per la sua stessa felicità, non solo per quella eterna, ma, in quanto possibile, anche per quella terrena; la realizzazione dell’uomo e la sua felicità infatti costituiscono una delle finalità della Milizia dell’Immacolata, alla cui causa egli consacrò l’intera sua vita.

Tutto questo però in un quadro di chiara trascendenza. Il mondo di Dio e il mondo dell’uomo, infatti, in lui, pur essendo ontologicamente distanti, non sono separati, ma si pongono in una forma di continuità ideale, collegati da due strade, una in discesa, grazie alla quale il mondo divino, la vita stessa della santissima Trinità, si traduce in somiglianze finite per mezzo della creazione, suggerite dall’amore; e un’altra in ascesa dal mondo delle creature; infatti, per una misteriosa legge di reazione, dalla terra parte tutto un movimento d’amore che sale verso Dio, in un cammino ascensionale che conduce l’uomo alla partecipazione della vita divina. Da questa situazione comunionale con Dio, di continuo scambio con Lui, in cui viene a trovarsi l’uomo, nasce la fiducia, l’abbandono, l’ottimismo kolbiano, naturale erede dell’ottimismo francescano. L’ateismo, al contrario, secondo padre Kolbe, negando Dio e chiudendo l’uomo nel cerchio del finito, finisce per negare e annullare anche l’uomo. Non offrendo, inoltre, alla sua esistenza un significato capace di appagare la sua sete di infinito, lo condanna al non-senso e alla infelicità. Ai noi cristiani poi, egli, apostolo infaticabile e insieme grande mistico, ricorda che contemplazione e apostolato sono un binomio inscindibile. Solo una forte esperienza di Dio e la chiara conoscenza della vocazione dell’uomo nella luce della visione cristiana del mondo può spingere all’apostolato fino al dono totale di sé, al sacrificio della stessa vita fisica. Figlio del suo tempo padre Kolbe dimostra fiducia e particolare interesse per la scienza e la tecnica e pone ogni sforzo per valorizzare ogni conquista umana ai fini della diffusione del regno di Dio. Il suo ottimismo nei confronti della scienza è tuttavia scevro da ogni forma di idolatria. Essa infatti è sempre subordinata alle esigenze dell’uomo e ai valori del regno di Dio. Infine, con l’evidente sottolineatura mariana della sua spiritualità, egli vuole indicare nella persona della Vergine Immacolata l’ideale dell’uomo nuovo. Maria, se da un lato è profondamente legata alle ordinarie circostanze della vita umana e intensamente impegnata nelle vicende quotidiane della nostra esistenza, dall’altro è la creatura che riflette gli “attributi divini nel modo più fedele possibile ad un essere creato”, e in cui più piena è la risposta d’accoglienza, d’amore e di riconoscenza verso il Creatore; per tale motivo Ella è l’archetipo e il modello a cui ispirare la nostra vita cristiana. L’amore all’Immacolata, che egli pratica ed insegna a noi, è tutto orientato all’imitazione.

Da qui l’impegno spirituale e apostolico: “L’Immacolata: ecco il nostro ideale: avvicinarci a Lei, renderci simili a Lei” nell’amore di Dio, nella disponibilità alla sua grazia, nella conquista di tutte le anime al Cristo, e nella fedeltà ai piccoli doveri della vita quotidiana. Questo messaggio diventa più chiaro alla luce del Vaticano Il, che ci propone la Vergine Maria, Madre di Gesù e a Lui associata nell’opera della salvezza, “come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti”. Alcuni aspetti del pensiero teologico-spirituale di padre Kolbe, che qui non è stato possibile accennare, possono risultare discutibili; fuori da ogni discussione, invece, è la coerenza con cui egli ha sempre cercato di vivere quanto ha insegnato agli altri, lasciando così ad ogni uomo consapevole della propria dignità ed in particolare ad ogni cristiano una lezione di coerenza. Negli appunti degli Esercizi spirituali in preparazione al sacerdozio scrive: “Sii uomo, sii cristiano, sii religioso”. Alla luce di questo proposito le scelte di tutta la sua vita vanno lette come gesti di coerenza, dall’apertura della missione giapponese fino al dono sacrificale della vita. Con la sua esistenza pienamente riuscita sotto l’aspetto umano, cristiano e francescano, viene a smentire chiunque vuole insinuare contraddizioni o contrasti insanabili fra le su citate dimensioni e ad affermare che esse, al contrario, si integrano e si aiutano a vicenda. Inoltre, qualora fosse stata necessaria ancora una prova, egli ha dimostrato inconfutabilmente che l’autentico amore per Dio non diminuisce, ma al contrario rende più solido ed eroico l’amore ai fratelli; che l’impegno religioso non porta a chiudersi nel privato, ma apre al coinvolgimento sociale. Molto opportunamente quindi ai due milioni di giovani convenuti a Roma per la XV Giornata mondiale della gioventù, fra i martiri del nostro secolo, è stato ricordato anche san Massimiliano Kolbe, martire di carità, patrono dei nostri difficili tempi.

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