Nebbia e freddo, giorni lunghi e amari, soprattutto tanto freddo e nebbia.
E così stamattina il vecchio Jakov chiama i suoi dodici figli e gli dice:
“Ragazzi… l’inverno sta arrivando… prendete il carro ed andate in cima alla collina a far su un po’ di legna”.
Quelli, obbedientissimi, attaccano il vecchio asino al carretto, ci salgono sopra e partono.
Arrivati a Dekov, ai piedi delle colline, uno dei più grandi dice: “Ehi, fratelli, c’ha che andiamo qui all’osteria a farci un goccio!”. Entusiasti iniziano a scendere dal carretto.
Ma il più piccolo, il Beppe, dice: “Fratelli… ma papà ha detto di andare a far su la legna… non possiamo perdere tempo qui…”.
“Zitto, somaro! – dice qualcuno, interpretando l’opinione comune – Stai qui e bada al tuo gemello asino!”. Ed andarono tutti all’osteria, lasciando il piccolo Beppe a custodire l’equino.
Dopo qualche ora tornano, un po’ allegri, e si rimettono in viaggio.
A metà della salita il povero somaro, vecchio e malandato, non ce la fa più a trascinar su il carretto, e si impianta.
I fratelli iniziano a spronarlo, insultarlo, bastonarlo… ma niente da fare.
Il piccolo Beppe osa dire una cosa ovvia: “Fratelli… magari se sciendiamo giù dal carro… il ciuco riesce ad andare su…”. Non l’avesse mai detto!
“Scendere? Ma ti sei bevuto il cervello?!? Anzi… - buttandolo giù – Buona idea! Vacci giù tu, e vai dietro a spingere il carro!”, disse uno dei fratelli maggiori, interpretando l’opinione di tutti.
E così il piccolo Beppe, tutto impolverato per la caduta, si mette dietro a spingere, e spallata dopo spallata il carro avanza un po’.
Arrivano intanto ad un prato, pieno di cespugli e di noccioli.
I fratelloni saltan giù dal carretto, ed iniziano a spaccar rametti con le mani e buttarli sul carro.
Il piccolo Beppe prova a dire: “Ma… fratelli… dobbiam andar su più in alto, nel bosco, a far su la legna un po’ più bella e grossa… con questi rametti non si scalda niente…”.
“Ma vuoi tapparti quella bocca, una volta tanta, e smetterla di rompere, asino?!? E datti da fare, invece di dire strupidate!”, dice uno dei fratelli, interpretando l’opinione pubblica.
Il piccolo Beppe allora chiude la bocca, e comincia non convinto a raccogliere rametti pure lui.
Il carro si riempie alla svelta, ed allora un fratello dice, dando voce alla collettività: “Ragazzi… sento un brontolio allo stomaco… che ne dite se ci facciamo uno spuntino?!”.
“Usti! – rispondono tutti in coro – Ma lo sai che sei un genio?”.
Il piccolo Beppe allora dice: “Ma… non abbiamo portato niente da magnare….”.
“Sicuro, somaro? Beh… allora facciamo fuori questo vecchio ciuco, e facciamolo arrosto!”.
Ed alcuni si mettono a macellare il povero vecchio asino, mentre altri attaccano fuoco al carretto, per cuocerlo.
Il piccolo Beppe, che era molto affezionato al testè defunto vecchio asino, oltre che propenso a mettere in pratica la volontà del padre, dice ai fratelli con l’acquolina in bocca: “Ma, fratelli… e adesso? Come facciamo a portare la legna a casa dal papi”?
“Ma taci, una buona volta, somaro!”, dice il più grande, dandogli una bastonata in testa.
La qual testa è piccolina e delicata, essendo Beppe solo un bambino.
E così il povero Beppe stramazza al suolo, privo di sensi. E lì resta, fermo ed immobile, come morto stecchito.
I mezzi ubriachi e famelici fratelli, dopo aver banchettato tranquillamente, si ricordano di lui, e dandogli di sfuggita un’occhiata, dicono: “Mi sa che è morto e stecchito… Cià, buttiamolo sotto la carcassa dell’asino ed i resti del carretto, e filiamocela!”.
Detto, fatto.
Arrivati a casa, a piedi, trafelati e tutti lerci, il papà Jakov li incontra nel cortile, ed un po’ commosso e turbato, presagendo il peggio, dice:
“Ragazzi?!? Cosa è successo? Dov’è il carro? Dov’è la legna? Dov’è l’asino? E… dov’è vostro fratello Peppe?!?”.
“Papà… che tragedia… stavamo tornando con il carro pieno di bellissima e grossissima legna da ardere… quando degli sporchi terroristi di stranieri puzzoni ci hanno assaltato ed hanno ammazzato l’asino e pure il piccolo Beppe, quegli sporchi sanguinari assassini, e poi ci hanno picchiati e bastonati… noi abbiamo provato a difendere Beppe, la legna e l’asino… ma erano più di cinquanta, alti tre metri ed invincibili ed assetati di sangue….”.
“Oddio, no! Oddio no! Il mio piccolo Beppe….”, sono le sole parole che escono dalla gola strozzata del povero Jakov. Che si getta a terra, stravolto dal pianto e dal dolore. E tutti gli undici fratelli si gettano a terra, stravolti dal dolore e dalla sofferenza per le tragiche perdite.
E così i giorni passano.
Ed il tempo un po’ cura questa insanabile ferita.
Ma il tempo si fa brutto: arriva l’inverno, nebbia, freddo, giorni lunghi e amari, neve e ghiaccio.
Tutta la famiglia, tappata in casa trema di freddo: niente legna, niente fuoco.
Ad un certo punto, si sente il rumore di un camion, che si ferma davanti alla porta, e qualcuno bussa e poi apre, e questo tizio, un omone gigante, un boscaiolo delle montagne, vede i dodici intirizziti avvolti nelle coperte e dice:
“Scusate, siete voi la famiglia del vecchio Jakov”?
Barbellando, quelli dicono di sì.
Allora il rude boscaiolo esce, e lo sente dire: “Bene, ragazzi, scaricate qui!”.
E, tra lo stupore di tutti nella casa, alcuni boscaioli cominciano a portare dentro centinaia di sacchi di pellets di faggio classe A1, il più migliore in commercio, e a montare una gigante caldaia a pellets. E nel giro di un’ora c’è un bel caldino primaverile. Al qual punto, il piccolo Beppe, sorridente e bel pimpante, entra dentro, e dice: “Ciao, pà! Non ti ho portato la legna… ma penso che vadan bene anche i pellets…”!
“Ma… Ma… - balbetta il vecchio Jakov – che diavolo succede? Tu eri morto… ed ora sei vivo!?! Figli miei! Un miracolo!!!”.
E si abbracciano. Mentre i fratelli iniziano a farsela sotto… il boscaiolo dice:
“Nessun miracolo, vecchio Jakov. Qualche giorno fa eravamo su nel bosco, a far la legna, e guardando giù abbiam visto questi disgraziati dei tuoi figli che ammazzavano l’asino e se lo mangiavano. Poi siamo andati giù e abbiam trovato il piccolo mezzo morto, che ci ha raccontato di come sono andate veramente le cose… lo abbiamo curato un po’, ed abbiam deciso di darvi un po’ dei nostri pellets per scaldarvi…”
Il povero Jakov si gira e guarda torvo i suoi undici figli maggiori: “Razza di vipere, disgraziati, bugiardi ed infami! Pussate via di qui ed andate giù nella caldaia a spalare pellets!”.
Quelli, con le orecchie basse come asini bastonati e pieni di rabbia verso quel moccioso traditore, e covando sentimenti omicidi verso il piccolo traditore, il padre punitore e pure contro il boscaiolo impiccione… scendono in cantina borbottando, e si mettono a spalare pellets.
(E speriamo che ci restino lì tutto l’inverno, magari pentendosi delle loro scellerate azioni, e tornando su dalla cantina un po’ più migliori… ma mica è detto, purtroppo).
Intanto Jakov dice: “Ma prego! Accomodatevi tutti e facciamo festa! Perché questo mio piccolo Peppe era morto, ed ora è qui vivo e vegeto!”.
E si siedono tutti a tavola e cominciano a mangiare e bere, al calduccio.
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