“Alleluia! E’ un Natale davvero Pasquale! - disse il Beppe alzandosi in piedi e parlando ai commensali, lui che di solito parlava poco, ma stavolta faceva gli straordinari - Grazie! Grazie mille! E’ stato meraviglioso! Mi sembra di sognare… Grazie! Mai e poi mai mi sarei aspettato una così calorosa accoglienza… per noi… sconosciuti. Grazie!”. E tutti applaudirono e brindarono, straboccanti di gioia.
Ma facciamo un passo indietro.
Quell’anno, indimenticabile, la notizia colse un po’ tutti impreparati, e cadde come un fulmine a ciel nuvoloso in tutte le case del mondo: “Quest’anno, a causa della Pandemia, a Natale ci sarà il locdaun mondiale: per cui tutti, in tutto il mondo, resteranno chiusi in casa”.
Apriti cielo!
Un Natale senza feste, festine, festoni!
Un Natale senza lumi, lumini e luminarie!
Un Natale senza cene, cenette, cenoni!
Un Natale senza pane, panetti e panettoni!
Un Natale senza mercati, mercatini, mercatoni!
Un Natale senza cinema, teatri e cinepanettoni!
Un Natale senza concerti, concertini, concertoni!
Un Natale senza sciate, sciatine, sciatone!
Un Natale senza regali, regalini, regaloni!
Apriti cielo! Il mondo andò in tilt!
Una comprensibile rabbia travolse, comprensibilmente, tutti i produttori di panettoni, di luminarie e di ghiottonerie varie, oltre a tutto il settore dei cinema, teatri, ristoranti, alberghi, concerti, luminarie e festeggiamenti vari. Ma, viste le ingenti sanzioni per i trasgressori… uno alla volta inghiottirono tutti questo boccone amaro, sperando almeno nel Capodanno…
Una meno comprensibile ribellione avvolse preti, chierici e monsignori, gli stessi che per anni avevano predicato ed inveito contro il Natale consumistico (predicato a quel piccolo gregge del 5% che andava in chiesa, mentre il restante 95% si beava col Natale consumistico…), i quali mandarono giù il boccone indigesto, e si preparavano a vivere la loro momentanea disoccupazione ben retribuita.
Una mesta rassegnazione scese su tutto il resto della gente normale, che non potendo farci niente, si chiuse in casa e cercò di farsi del mal comune un mezzo gaudio.
A Belene, un piccolo paesino sperduto sulle sponde del Danubio, il parroco diede questo avviso:
“Cari ragazzi… Come avete sentito, quest’anno a Natale faremo una bella esperienza Pasquale. Non quella Pasqua (quella di Gesù…), ma quell’altra Pasqua: quella di Mosè! Quindi: chiudetevi tutti in casa, tappatevi bene dentro, mentre fuori passa l’angelo distruttore del virus! E fate una cena frugale, mi raccomando! E, non scordatevi di appendere fuori dalla porta d’ingresso il cartello che vi darò alla fine della messa!”.
E fu così che i belenciani, senza batter ciglio e senza particolari bruciori di stomaco, fecero come il parroco aveva detto: ascoltarono gli avvisi parrocchiali, presero il cartello da appendere, lo appesero sul cancellino o sulla porta d’ingresso, si tapparono ognuno in casa sua, e trascorsero la Vigilia, il Natale ed in giorni successivi in casa, senza ammalarsi e senza farsi ricoverare.
In quella notte, mentre tutti erano tappati in casa, nel clima surreale di quel primo ed originale natalizio locdaun, con le strade deserte e senza luminarie, per sbaglio capitò a Belene una giovane coppia di profughi mediorientali. Approfittando del locdaun avevano attraversato la Turchia, la Grecia e tutta la Bulgaria, e ora cercavano una barca per passare il Danubio, e poi dalla Romania salire su su, fino alla terra promessa della Svezia.
Infreddoliti ed impauriti, si aggiravano per le strade deserte avvicinandosi di soppiatto alla riva del Danubio, quando alla donna vennero le doglie: era infatti incinta di nove mesi… quindi, il pargolo stava per venire alla luce, casualmente proprio a Belene e non in Svezia.
Che fare? Provarono a bussare a qualche porta… ma nessuno rispondeva. Provarono all’ospedale, ma la guardia disse che non c’era posto per loro, sani come pesci, solo per i malati. Non provarono alla polizia, per ovvi motivi: li avrebbero respinti subito. Provarono anche all’albergo… ma non c’era posto per loro nell’albergo, chiuso in assenza di turisti.
“Caro! Guarda… prova a bussare lì!”, disse una dolorante Myriam, indicando un cartello fissato su una porta.
Yussuf lesse il cartello: “Buon Natale, fratello e sorella! Se sei ancora per strada, e non hai un posto dove festeggiare: avanti! Bussa, e festeggia con noi!”, poi timidamente bussò.
“Buonasera! Prego… avanti! Avanti! Venga, anche lei, signora!”, disse il bambino che aprì la porta.
“Mamma! Papà! Abbiamo due ospiti!”, aggiunse.
“Che bello! Falli accomodare! Arriviamo!”.
E fu così che Yussuf e Myriam entrarono. Ci furono le normali presentazioni del caso e poi, vista l’imminente nascita del bambino di Myriam, ci fu un tafferuglio, per scaldare acqua, stender coperte, preparare forbici e tutto l’occorrente. Trambusto che sconvolse i piani di una tranquilla cenetta natalizia familiare, ma che cessò casualmente a mezzanotte, quando il vagito del piccolo Joshuà riempì la casa, mentre lacrime di gioia riempivano gli occhi di Myriam, di Yussef e di tutti i belenciani di quella famiglia.
E, visto che tutti erano stanchi morti, a parte il pargoletto che era vivo e pieno di musicale energia, andarono tutti a dormire, saltando pure la cena.
Ma il giorno dopo, cioè il giorno di Natale, che pranzo, ragazzi!
A parte le supergustosissime prelibatezze gastronomiche (solo una pizza di pane e qualche verdura…), ma la gioia, la gioia, ragazzi!
Alla fine del pranzo pasquale, Yussuf, alzandosi in piedi e parlando ai commensali, lui che di solito parlava poco, ma stavolta faceva gli straordinari, disse, con le lacrime agli occhi:
“Alleluia! E’ un Natale davvero Pasquale! Grazie! Grazie mille! E’ stato meraviglioso! Mi sembra di sognare… Grazie! Mai e poi mai mi sarei aspettato una così calorosa accoglienza… per noi… sconosciuti. Grazie!”.
E tutti applaudirono e brindarono, straboccanti di gioia.
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