Da che mondo è mondo, fin dall’alba dei tempi la regione di Belene è stata un vero e proprio paradiso terrestre: a parte il grande fiume, mica un torrentello, ma nientepopodimeno che il bel Danubio Blu… a parte le lussureggianti ben 15 (dico quindici, mica due o tre…) isole letteralmente ricoperte di boschi e di paludi e di canneti e di fiori e di ogni ben di Dio… a parte l’immensa pianura di fertilissima tera nera come il carbone senza un sassolino dentro… a parte tutto questo prodigio minerale, vegetale e pluviale, in questo giardino, da che mondo è mondo, hanno convissuto in pace e fraternità migliaia di esseri viventi: fin dall’alba dei tempi nelle acque ha nuotato centinaia di specie di pesci, nelle paludi han gracidato schiere di rane, nell’aria han volteggiato più di 500 (cinquecento…) specie di uccelli, dai maestosi pellicani agli umili colibrì, e sulla terra han pascolato cervi, cinghiali, lepri, bufali e decine di altri mammiferi, rettili, anfibi e compagnia bella.
Le uniche specie che mancavano, e per fortuna, altrimenti altro che paradiso!, erano le zanzare, i lupi e gli orsi. Sì, vabbè, c’era qualche serpentello… ma che paradiso sarebbe senza serpenti? E comunque, tutti i serpenti di Belene son senza denti e senza veleno, solo linque biforcute: parlano, parlano… ma non mordono.
Finora, per ben tre volte, bande di fetenti masnadieri portarono caos, morte e distruzione in questo paradiso. Poi per grazia di Dio se ne andarono, ma nulla fu più come prima.
E le cose andarono così.
Come tutte le sere, da che mondo è mondo, anche la sera di quell’otto settembre il sole tramonto, oppure per i più prosaici, il pianeta Terra compì la sua rotazione giornaliera, oscurando il rubicondo sole dietro l’orizzonte ovest. Quindi niente di nuovo dal fronte occidentale.
Il nuovo invece venne la mattina dopo, il nove settembre, dal fronte orientale.
L’oca Giuliva, una arzilla giovanotta che di solito si alzava prima di tutti, guardò ad est, aspettandosi di vedere il solito sole nascente, come era sempre successo dall’alba dei tempi.
Invece vide per prima quell’armata assetata di sangue.
Avanzavano a volo d’oca, cosa di cui lei s’intendeva bene, con le loro divise grigioverdi, con i fazzoletti rossi al collo, accompagnate da un ronzio fastidioso.
L’oca Giuliva perse immediatamente il suo solito mattutino giubilo, e con un groppo al pomo d’Adamo provò a gridare, ma le riuscì solo di starnazzare un confuso:
“Perbacco! Siam sott’attacco!!! Le za… le zan… le zanzibar stanno arrivando!”. E cominciò a svolazzare di qua e di là, risvegliando gli assonnati abitanti di Belene. Ma tutti quei paciocconi degli animali di Belene, che mai e poi mai avevano subito un attacco, e mai avevano visto una zanzara in vita loro, le risposero in coro: “Basta! Basta! Piantala lì, Giuliva, di starnazzare! E lasciaci dormire in pace!”.
Ovviamente l’oca Giuliva continuò a cercare di svegliare il salvabile, ma non ci fu niente da fare.
L’orda assetata di sangue delle purpuree zanzare sovietiche piombò inesorabile su tutta la pianura, le isole e le colline di Belene, e cominciò a fare quello per cui era venuta: iniziò a ciucciare il sangue dalle povere creature di Belene, dalle più piccole e succulente, alle più grandi. Nessuno ebbe scampo.
Per i quarantacinque anni successivi, questa piaga più che d’Egitto (quelle duravan solo un giorno…) afflisse tutti gli essere animati di Belene. In certi momenti, non li avresti più riconosciuti, tanto le fameliche zanzare li prosciugavano e deturpavano.
Conigli, gatti, cani coi volti tumefatti; mucche, vitelli e bufale esangui, che come zombie tentavano di pascolare; uccelli che si chiantavano contro gli alberi, tanto impazzivano per le dolorose punture; pesci scheletrici e diafani, senza più tropicali colori.
Finalmente, dopo quarantacinque anni… le armate invaditrici se ne andarono, lasciando però ferite e cicatrici dure da rimarginare.
Eterna memoria per le vittime, tiriamo avanti la carretta per i superstiti.
E la vita, come il grande fiume, tornò a scorrere più o meno tranquilla.
La seconda invasione fu quella dei lupi.
Branchi di famelici lupi grigi, con la bava alla bocca, scesero dai monti, furtivi e ululanti, affamati di tenere carni.
Siccome erano lupi, ma non erano scemi, si fermarono a Dekov, e si dissero l’un l’altro:
“Ragazzi, quegli esseri là di Belene saranno anche animali, ma non sono scemi: se ci avviciniamo sbavando ed ululando… si metteranno sull’attenti e ci prenderanno a calci nel deretano: siamo in inferiorità numerica, e mica possiamo prendere il toro per le corna! Suvvia, travestiamoci da pecore, e facciamo strage!”.
E fu così che persero il pelo, ma non il vizio, e travesti da pecore ed agnelli, all’alba si avvicinarono a Belene.
Ma l’oca Giuliva, che nel frattempo era diventata un’oca matura ed aveva messo su famiglia, e che si era svegliata come al solito prima dell’alba, li riconobbe dalla puzza inconfondibile di carne marcia, e allora perse immediatamente il suo solito mattutino giubilo, e con un groppo al pomo d’Adamo provò a gridare di nuovo, come la volta precedente, ma le riuscì solo di starnazzare un confuso:
“Perbacco! Siam sott’attacco!!! I lu… i lu… i lupi stanno arrivando!”.
E cominciò a svolazzare di qua e di là, risvegliando gli assonnati abitanti di Belene. Ma tutti quei paciocconi degli animali di Belene, che mai e poi mai avevano subito un attacco di lupi, e mai avevano visto un lupastro in vita loro, le risposero in coro: “Basta! Basta! Piantala lì, Giuliva, di starnazzare! E lasciaci dormire in pace!”.
Ovviamente l’oca Giuliva continuò a cercare di svegliare il salvabile, ma non ci fu niente da fare.
Il branco famelico di lupi invase Belene, ed iniziarono a far strage di agnelli e teneri cuccioli.
Tutte le bestie furono talmente terrorizzate, che restarono bloccate dal terrore, e non mossero un dito contro questi lupi travestiti da agnelli.
Dopo aver fatto colazione, il capobranco dei lupacci, travestito da pecora, disse:
“Ordunque, animali di Belene, state sereni: era necessario fare un po’ di colazione, sapete… il viaggio è stato lungo, ed i miei ragazzi erano un po’ affamati: grazie per l’accoglienza. D’ora in poi vigerà solo la forza della Legge, e non la legge della forza, per cui non ci saran più stragi e azzannamenti vari. State sereni, e lavoriamo insieme per il glorioso futuro e lo sviluppo di Belene! Avanti! Aiutateci a costruire l’energia per il futuro!”.
E tutti gli esseri belenciani trassero un sospiro di sollievo, pur conservando una fifa blu dentro di sé, e stando attentissimi a non far irritare i lupi.
E così le bestie offrirono se stesse a collaborare coi nuovi lupidi governanti.
Tagliarono alberi, spianarono terreni, fecero su molta molta, e costruirono una enorme costruzione, circondata da una megarecinzione con le torrette, e sulla rete misero cartelli con il divieto di fotografare.
Nella mente bacata dei lupi, questa costruzione orripilante e grigia, avrebbe dovuto essere una enorme fabbrica di produzione di agnelli. Infatti, perché perdere tempo a saccheggiare, assaltare, sbranare e fare le sanguisughe, sbavandosi tutti, quando è più civile ed evoluto prodursi legalmente la pappa in un’azienda di Carne DOP?.
Ma i sogni megalomani dei lupi crollarono presto, e dalla fabbrica di carne succulenta di vitellini non uscì mai nemmeno una polpetta.
In centro Europa ci furono violenti temporali, ed il fiume si ingrossò, e l’onda di piena travolse le sponde del Danubio come uno tsunami, distruggendo il cantiere malefico e portandosi al mare i lupi lì accampati, che così restarono a boccasiutta e pelo bagnato.
Finalmente, dopo anni di schiavitù e lavori forzati per quegli idioti di lupi, tornò il sole e la libertà, lasciando però ferite e cicatrici dure da rimarginare.
Eterna memoria per le vittime, tiriamo avanti la carretta per i superstiti.
E la vita, come il grande fiume, tornò a scorrere più o meno tranquilla.
La terza invasione fu quella degli orsi.
E, siccome non c’è il due senza il tre… ci fu anche una terza invasione.
Stavolta uscirono dalla caverne i cavernicoli orsi.
I quali, dopo aver dormito abbastanza e coosumato tutta la loro ciccia durante il lungo letargo, erano discretamente affamati e con l’acquolina in bocca.
Oltre a ciò, eran diventati così snelli che calzavano a pennello abiti firmati di Armani: camicia, giacca e cravatta, pantaloni con la riga e gemelli ai polsi, e ovviamente capelli impomatati.
E, visto che l’istoria è magistra vite, i signori orsi si dissero:
“Ragazzi, mica siamo luride zanzare o puzzoni lupi, noi siamo Orsi intelligenti! Orsù dunque, mandiamo i migliori di noi ad ammaliare quegli esseri palustri con il fanfo fino al ginocchio di Belene, ed una volta imbrogliati, riattiviamo la centrale delle bistecche, e pappiamo a volontà!”.
E fu così che l’orso più intelligente, cravattato ben vestito, arrivò a Belene.
Ma la nonna oca Giuliva lo vide, appena sceso all’alba dalla sua gip, e pur essendo ormai vecchia e bacucca, senza denti e con un piede nella fossa, riconobbe il famelico orso ammaestrato, e allora perse immediatamente il suo solito mattutino giubilo, e con un groppo al pomo d’Adamo provò a gridare di nuovo, come la volta precedente, ma le riuscì solo di starnazzare un confuso:
“Perbacco! Siam sott’attacco!!! Gli o… gli or… gli orsi stanno arrivando!”.
E cominciò a svolazzare di qua e di là, risvegliando gli assonnati abitanti di Belene. Ma tutti quei paciocconi degli animali di Belene, che mai e poi mai avevano subito un attacco di orsi, e mai avevano visto un plantigrado in vita loro, le risposero in coro: “Basta! Basta! Piantala lì, Giuliva, di starnazzare! E lasciaci dormire in pace!”.
L’oca giuliva ormai senza forze, sedette sulla sua panchina, ad osservare lo scempio che presto gli orsi avrebbero perpretato.
E quell’orso da circo cominciò a circuire gli ignari abitanti di Belene, promettendo loro ogni ben di Dio: “Care bestioline, io ed i miei compagni di merenda vi porteremo la prosperità! Sarete tutti ricchi e beati, avrete cibo a palate, pascoli in abbondanza! Vi costruiremo il paradiso in terra”.
E quegli animali, inebetiti da questo canto di sirene… si lasciarono abbindolare, e risposero:
“Oh, grazie! Venite, venite pure! Non vediamo l’ora di vedervi all’opera! Siete davvero dei grandi benefattori!”.
La povera oca Gliuliva tentò ancora di convincere i suoi compaesani animali a difendersi da quegli esseri delle caverne… ma essi non vollero ascoltarla, la accusarono di non essere patriottica e di non volere la prosperità di Belene, poi la bastonarono, le strapparono le penne dalle ali, le spaccarono il becco e la buttarono nel Danubio. E nessuno la vide più: ecco perché non ci sarà un quattro dopo il tre.
E così gli orsi scesero su Belene, riaprirono la fabbrica di carne e la ingrandirono, disboscando altro territorio, colando cemento a bizzeffe, costruendo una ferrovia ed un porto, laddove prima c’era l’erba. Abbatterono alberi e piantarono al loro posto tralicci mostruosi per fornire energia alla fabbrica. Si costruirono enormi caverne di cemento armato, al posto delle paludi, alte cinque piani.
E quindi imprigionarono tutti gli animali del circondario nella Fabbrica, chiudendoli in gabbie sigillate, e lì ancora sono. Il loro unico scopo è sfornare cuccioli, che appena svezzati vengono sbranati dagli orsi.
E fu così che gli orsi cavernicoli vivono felici e contenti, dopo aver distrutto quel paradiso naturale di Belene. Hanno la loro fabbrica, mangiano, bevono e fanno i loro sporchi affari.
Ogni anno vann in letargo, e l’anno dopo si risvegliano e si pappano i nuovi nati.
Ah, che triste storia!
Se avessero dato ascolto alla saggia oca Giuliva….
Ma, si sa, la storia non si fa con i se e con i ma…
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