25 novembre 2011

Chi trova la Bibbia... trova un tesoro

Oggi pomeriggio, andando per la prima volta a rovistare nel sottotetto della chiesa della Natività di Maria di Belene, tra vecchie tegole, assi di legno e qualche scheletro di ratti morti, ho trovato alcuni vecchi libri. Probabilmente furono nascosti lì al tempo del regime comunista, dato che tra di essi c'erano alcuni ritagli di giornale degli anni '60.
Non li ho guardati ancora tutti, ma tra di essi ho prelevato e ripulito alcuni volumi della Bibbia di mons. Antonio Martini, arcivescovo di Firenze, stampata a Roma nel 1784.
Si tratta del testo latino con accanto il testo italiano, corredati di note. Un lavoro molto notevole per il 1700.
Era dal 1471 che più nessuno traduceva in italiano la Bibbia, e questa monumentale opera fu approvata e sostenuta da papa Pio VI, sotto il cui pontificato (dal 1775 al 1799) i primi Missionari Passionisti vennero inviati in Bulgaria (1781).

Questa traduzione fu abolita però,insieme a tutte le altre tradizioni italiane, da papa Pio VII nel 1820: brutto segno di una Chiesa che faceva e disfava, che dava un colpo all'accelleratore e uno al freno... tra spinte di rinnovamento e ansie conservatrici e tradizionaliste (proprio come oggi, e come sempre).
Mi piace pensare che questi volumi (quasi probabilmente) siano stati portati qui sulle sponde del Denubio dai primi Passionisti italiani alla fine del 1700...


Consiglio poi alla lettura questo divertente, curioso e illuminante dialogo apparso su L'eco di Savonarola nel 1856: grazie a Dio c'è stato il Concilio Vaticano II!


Riporto infine qui alcuni passaggi della prefazione di mons. Martini al volume dedicato ai Salmi: segno di un'intelligenza realista e profetica, che grazie a Dio l'intera Chiesa (salvo alcuni immancabili bastian contrari), guidata dallo Spirito Santo, ha accolto e fatto suoi nella Costituzione Dogmatica "Dei Verbum" del Concilio Vaticano II:




Molto tempo prima, che io ponessi la mano al volgarizzamento e alla illustrazione degli altri libri santi del Vecchio Testamento, anzi prima ancora, che io pensassi di addossarmi sì fatta impresa, ebbi il pensiero di dare nella nostra lingua tradotto il libro dei salmi, e terminata appena la edizione del Nuovo Testamento formai la versione, che (seguendo l'ordine delle Scritture) esce adesso alla luce.
E in questa fatica io ebbi per mira la consolazione, e il profitto spirituale di tante persone dell'uno, e dell' altro sesso, le quali o per la condizione dello stato loro, o per solo impulso di pietà hanno continuamente in bocca questi divini cantici, e nissuna cognizione avendo della lingua, in cui si recitano e si cantano nella Chiesa, non sono perciò in istato nè di gustarne la celestiale soavità, nè di trarne tutto quel frutto, che per propria loro natura attissimi sono a produrre in ogni anima ben disposta.
Ma con particolare sentimento, e affezione di zelo portavami a questo lavoro il desiderio di aiutare, e sovvenire nel loro bisogno le Vergini a Dio consacrate, tenute secondo i Canoni della Chiesa alla pubblica orazione, la quale per una gran parte nella recitazione de' salmi consiste, de'quali un buon numero ogni giorno ripetonsi. Or nissuno, cred' io, negherà, che la intelligenza di questi salmi servirebbe assaissimo a nutrire, e accendere il loro fervore, e a rendere eziandio più facile, e dolce, ch'egli forse per molte non è, l'adempimento di questa loro gravissima obbligazione, nella quale non solo il proprio lor bene, ma il bene ancora di tutta quanta la Chiesa debbon esse proporsi.
[...] Nè ciò, ch' io dico intorno al vantaggio che a tali anime può recare l'intelligenza dei salmi, voglio io che alcuno si immagini, che sia detto, quasi io pensi, che o sconveniente, o inutile sia il salmeggiare per quelli i quali dei cantici stessi non intendono il senso.
Imperocché anche allora quando la lingua latina era lingua del popolo ed era nelle bocche di tutti, molte cose i semplici Fedeli recitavano e cantavano nei salmi, le quali o per la profondità della dottrina, o per la oscurità stessa della latina versionee, non potevan essi comprendere se dai Vescovi, e dai Sacerdoti non eran loro spiegate, e dichiarate; nè per tutto questo ad alcuno venne mai il pensiero di pronunziare, che astener si dovessero dal recitarle, e cantarle.
Imperocché, come dice s. Agostino Il popolo credente, se talor non intende, crede però essere buona cosa quello ch'ei canta; onde alle intenzioni della Chiesa loro Madre congiungendo la propria intenzione e colla fede, e coll'amore accompagnando quello, che tali persone in lingua ignota ripetono, non lasceranno di riportare il frutto della loro carità.
Ma oltre all' essere l'intelligenza di ciò, che si dice ottimo mezzo, ed ajuto a tener viva l'applicazione dello spirito, e 1'affetto del cuoresapientemente al suo solito notò s. Tommaso, altro essere il frutto del merito, altro il frutto della spirituale consolazione e refezione (com'ei 1'appella ), e che di questo secondo frutto non può godere chi non intende, dond'egli conclude, che generalmente parlando, "più guadagna chi prega e intendeche chi pregando colla lingua non sa intendere quello che dice".
Pareami adunque cosa di grande utilità e di edificazione pel comune del popolo, il presentargli questo quotidiano pascolo della pietà nel Comune linguaggio in tal guisa converso, e traslatato, che per quanto è possibile vi trovasse i sensi, e i concetti del gran Profeta, o sia dello Spirito del Signore esposti con semplicità, e schiettezza senza giunte, senza travisamenti, in una parola in quella stessa forma nella quale egli comparisce in quella latina versione, di cui si serve tutta la Cattolica Chiesa.

2 commenti:

  1. ciao Paolo sto facendo pubblicita'al tuo blog facci sapere quando torni al paesello che organizziamo una pizzata ! ciao cristina

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  2. Ciao, e grazie. Probabilmente faccio un salto a fine maggio (veniamo con 2 pulman per l'incontro mondiale delle Famiglie col Papa a Milano)... ma non penso che avrò tempo per la pizza. Sicuramente a luglio o agosto. Ciao

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