17 novembre 2011

Vita quotidiana di due Missionari Passionisti nella Bulgaria del 1783

Pubblico questa lettera inedita di p. Giacomo Sperandio cp, scritta nel 1783, perchè mi pare molto bella e commovente.
Bella, perchè ci racconta la quotidianità dei primi due Passionisti venuti in Bulgaria: il loro modo di vestire, di mangiare, di pregare; i problemi di comunicazione e quelli finanziari; il ricordo degli amici e dei benefattori.
Commovente, pensando a questi due italiani catapultati da Roma a Trenciovitza... e la Trenciovitza del 1700! Due poveri (nel senso letterale della parola) preti chiamati a condividere la fede e il vangelo con qualche centinaio di contadini bulgari cattolici, immersi in un mondo ortodosso (allora leggermente ostile, oggi certamente migliorato) sottomesso ad uno stato islamico... dove la gioia più grande veniva dal recitare il rosario e andare a visitare qualche malato.
Buona lettura di questi piccoli assaggi, per ora; probabilmente nel corso del 2012 (230° anniversario della venuta dei Passionisti in Bulgaria) verranno stampati tutti questi documenti degli inizi. Chi volesse prenotare una copia di questa pubblicazione... lo scriva nei commenti, che gliela metto da parte.


Al Reverendissimo Padre Padrone in Xristo Colendissimo
il Padre Giovanni Battista di San Vincenzo Ferreri
Preposito Generale de’ Passionisti
Roma nel Ritiro de’ SS. Giovanni e Paolo a monte Celio

Trancevizza 10 dicembre 1783
<Si è ricevuta al primo di febraro 1784>



Jesu Christi Passio


Reverendissimo Padre Padrone in Xristo Colendissimo 

     Noi di già altre volte abbiamo scritto alla Paternità Sua Reverendissima come viviamo in queste parti, ma o sia che non ci siamo spiegati abbastanza, o sia che le nostre lettere non siano costì arrivate; comunque sia, giacché Vostra Paternità Reverendissima ciò richiede in una sua scrittaci dal P. Giovanni Maria consultore segnata sotto li 9 d’agosto, colla presente gliene do un minuto ragguaglio; e in primo le dico che il nostro vestire consiste in questo. Ne’ piedi portiamo un pajo di calzette di lana che arrivano a mezza gamba; di poi un pajo di stivaletti di pelle gialla, quali anche arrivano a mezza gamba, di poi le pianelle gialle, e tanto li stivaletti quanto le pianelle, per essere di pelle, ci durano quattro giorni, e non sono a buon mercato.


    D’inverno però, quando si esce di casa, per lo più si portano i stivali grandi, a motivo del gran fango e delle gran nevi; di poi portiamo un pajo di calsoni, e questi sono talmente larghi e longhi che il panno bastarebbe a fare una veste anche ad una grande donna. Portiamo anche un anterì fatto [*]si a due parti, e questo arriva a mezza gamba, e si cinge con una fascia grande; di poi un giubè senza maniche, q[ua]le arriva al calcagno, e d’inverno è foderato di pelle o d’agnello o di lupo o di volpe. Per l’inverno ci vuole ancora un cosciù parimente foderato di pelle, e questo arriva fino a terra. I nostri panni sono tutti di color torchino.
    
    Per quando poi si viaggia ci vuole anche un jambagek di color bianco col suo cappuccio; in testa poi siamo tosati come li zoccolanti, avendo in mezzo la chierica; e in testa si porta: primo un beretto bianco, di poi uno rosso; e di poi un calpak, alto un buon palmo, ricoperto di pelle fina negra di agnello. Questi sono i vestimenti che si portano. Noi andiamo vestiti alla poverella e il panno è assai grossolano, e di altre pelli non ci serviamo che di queste di agnello, per essere queste le più vili; e pure quando ci dovessimo la prima volta vestire, ci vollero in tutto scudi 25 per ciascuno, oltre poi la biancaria!

    Il nostro letto in casa consiste d’un pagliacco con una semplice coperta di lana, con un cuscino parimente pieno di Paglia; quando poi si va fuori il letto è la terra, con questo che vi ci mettono una stuoia ed alle volte anche una coperta; altre volte poi ci mettono a dormire come sopra una craticola di pali, de’ quali chi è più alto, e chi è più basso, vi fanno vedere le stelle; e per lo più il nostro grato dormire è nelle stalle assieme con i giumenti; quando poi si dorme nelle case, tutta la notte si sente la musica, perché essendovi una stanza sola e quasi in tutte 10 o 12 ragazzi piccoli, chi grida che vole il pane, chi vuole succhiare, chi altro, in somma la notte non si puol mai dormire.

    In quanto poi a mangiar fuori, le dico che si ricerca lo stomaco de’ *basso*, primo perché il pane non è lievitato e poi non lo fanno cuocere; quando che principia a fare un pochettino di crosta, subito lo cavano fuori, onde si assicuri che è vera pasta; e questo ci succede anche qui a Transevizza, quanto abbiamo pregato queste buone donne a farlo cuocere bene, non è stato mai possibile, perché come esse dicono, non è buono se fa la crosta. Quando si ricerca buon stomaco, perché tutti devono pescare in un piatto, quale si mette in mezzo, e le forchette e cucchiari sono le cinque dita che ci ha dato la madre natura.

    In quanto poi agli esercizj odinarj che facciamo in casa nei giorni feriali, le dico: la mattina alzati facciamo orazione, diciamo la S. Messa, ringraziamento, officio, e l’altro tempo che ci resta, un poco si studia, un poco si legge, si scrive, e un poco si attende a farsi un poco di pranzo, quale è sempre irregolato, mentre se abbiamo la minestra non abbiamo pietanza, se vi è pietanza non vi è piattino, e ciò perché non si trova a comprare niente per essere distanti dalla città. Il giorno poi si studia, e verso le 23 ore si esce se vi sono infermi a trovarli, e se sono aggravati anche si va la mattina; ritornati a casa, si fa l’orazione, di poi si dice il rosario col popolo; di poi mangiamo un boccone, che per lo più consiste in un pajo di radici, con un poco di cascio di queste parti. Adesso poi che è inverno si empie la sera la casa di ragazzi, di giovani e di ammogliati, a’ quali si fa la dottrina, e si trattengono quelle tre ore. Questi sono i nostri officj ordinarj.

    L’anno passato qui il grano si vendeva a 3 scudi il rubbio, e quest’anno 2. Fino dalli 23 di luglio, che è terminato il tempo della nostra pensione, e a tale effetto il P. Francesco scrisse all’Eminentissimo Prefetto e alla Paternità Sua Reverendissima, ma ancora non abbiamo veduto niente. Ritrovandoci bisognosi di denaro, Monsignor Vescovo ci imprestò scudi 20, di poi ne abbiamo dovuti prendere in imprestitodal Signor Bratis altri scudi 30. Per quest’anno l’abbiamo rimediata così, ma un altr’anno non so se trovaremo chi ci faccia questa carità; onde se la Sagra Congregazione non ci manda l’Andata subito spirato il tempo, non sappiamo come ci fare, perché la pensione non è tanta che ci possa bastare un anno e mezzo o due anni.

    Vostra Paternità Reverendissima dice di aver inteso de’ rumori, e noi ci troviamo in mezzo, e si teme che sia imminente la tempesta, e in tal caso la Carta che ci ha aperto l’ingresso in queste parti ci sarebbe nociva, e saressimo costretti a cercare aria migliore, se ci riesce di farla franca, e sono più mesi che stiamo con questo batticuore.

    Ci raccomandi e ci faccia raccomandare al Signore. La preghiamo a salutarci i nostri Religiosi e l’Eminentissimo Pallotta, e poi Ghignardi, Fratini e Magiali, e domandandole la Paterna Benedizione, col baggio delle sagre mani ci protestiamo

Di Vostra Paternità Reverendissima
Umilissimi divotissimi servitori obbedientissimi

Francesco Maria del Divino Amore
Giacomo delle Santissime Piaghe

    Noi infrascritti attestiamo di aver celebrato per tutto quest’anno 1783 le messe per il Signor Serpieri e sua moglie, e per il Signor Antonio Maggiali; appuntino quando ci sono state ordinate. E queste messe seguitiamo a celebrarle sino a nuovo ordine.

1 commento:

  1. Bellissima e interessantissima; prenoto tutto il materiale e complimenti a otez Paolo lo scopritore (vero Indiana Jones degli archivi bulgari): Padre Tito Paolo Zecca di Moricone

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