Lo so, lo so…
Tutti voi sapete come è nato questo evento di fama mondiale,
cioè la festa
di CIAOCICCIA, con tutti i suoi risvolti sul piano culturale,
che han
provocato seri cambiamenti di portata epocale.
E perdonatemi
se ve la racconto di nuovo appena prima di Natale,
anche se
sappiamo bene che anzitutto ha un connotato pasquale:
ma, pasquale o
natale a parte, il giorno in cui nacque fu proprio fatale.
Ora, se hai un
po’ di tempo e di pazienza, e non mi ritieni banale,
mettiti comodo,
come quando in poltrona sfogli il quotidiano giornale.
Come tutti
sanno, esattamente vent’anni fa, un tondo quadruplo lustrale,
nasceva a
Belene, dopo lunga attesa, il Persina Parco Naturale,
la qual cosa non
è una minuscola faccenda locale e comunale,
né tantomeno
un qualcosina di meschino e provinciale
e non è mica una
quisquiglia di competenza solo regionale,
ma è, udite
udite, niente popò di meno che un Parco Nazionale.
E, lasciatemi
dire, può ben aspirare ad essere pure Patrimonio Mondiale!
Tanti auguri,
allora, al nostro territorio bello, grande, verde e celestiale!
E lunga vita,
ovviamente al nostro caro Parco Nazionale Naturale!
Ma forse non
tutti sapete che (la qual cosa è normale,
visto che non
tutti abitate qui e non lo scrivono sul giornale),
prima ancora
che qui nascesse il Persina Parco Naturale,
prima ancora
che qui iniziassero a costruirci dentro l’Atomica Centrale,
(che col
Parco ci sta come i cavoli a merenda, come il mare sul Tonale)
prima ancora
che qui sorgesse il Gulag, parto del regime criminale,
prima ancora che
qui costruissero le dighe, gli argini ed il canale,
prima ancora
che qui arrivasse la ferrovia con la stazione centrale,
prima ancora
che qui la Bulgaria governasse come Stato Nazionale,
prima ancora
che qui gli Ottomani arrivassero col bastone ed il pugnale,
prima ancora
che qui i Bulgari emigrassero dalla steppa orientale,
prima ancora
che qui la Legione I Italica occupasse il litorale,
prima ancora
che qui i Traci vivessero la loro quieta vita pastorale,
prima ancora
che qui Caino uccise Abele con la sua mano ferale,
prima ancora
che qui Adamo mangiò la mela del bene e del male…..
prima ancora
che qui Eva ebbe la sua origine intercostale,
prima ancora
che qui Adamo fece il suo primo ruttino neonatale…
cioè, all’incirca
nel quinto giorno della Creazione proverbiale,
qui la
situazione era molto, ma molto più naturale.
Lussureggiante
infatti a dismisura vegetava qui il Regno Vegetale,
per non
parlare poi della ricchezza intonsa del Regno Minerale,
e, ciliegina
sulla torta, la paradisiaca varietà del Regno Animale.
E vivevano
tutti felici e contenti, era proprio un equilibrio strutturale,
quello che oggi chiamiamo Ecosistema Naturale.
Una situazione paradisiaca, penserete subito voi. Invece no. Era solo un equilibrio provvisorio, creatosi dopo la crisi iniziale con l’arrivo in zona di qualche animale… In particolare creò subito problema la famiglia dei Leoni, che nella mente di quel buon vecchio del Creatore avrebbero dovuto pascolare con gli agnelli… ed invece quelli iniziarono ad avere qualche languorino di stomaco e, rinunciando alle mele ed ai fichi, si misero ad assaggiare cosciotti di agnello, di vitello ed affini, creando gran scompiglio nella pacifica popolazione di Belene e con gran strage dei poveri malcapitati.
Tutte le
famiglie degli altri animali allora (i Bovini, i Suini, i Caprini, i Canini, gli
Uccelli, i Pesci, gli Anfibi etc. etc.) si coalizzarono e scatenarono una
guerra senza quartiere a questi enormi mostri pelosi, con l’intento di
sterminarli per sempre. Ma quelli si difesero dai difensori, combattendo come
leoni.
E fu così, che
dopo la grande Guerra Civile del Regno Animale, scatenata dai sanguinari
appetiti di quei famelici felini, dopo anni di stallo, senza vincitori né vinti,
ma con molte vittime da entrambi le parti, si giunse all’Armistizio del
Solleone. E fu davvero un sollievone per tutti.
I Leoni, infatti,
provando qualche senso di colpa di fronte al dolore delle altre famiglie per la
perdita dei loro consanguinei, oltre ad aver lasciato sul campo molte carcasse
dei propri simili, proposero di ritirarsi sulla grande isola, promettendo di
non uscire mai più. A patto che…
A patto che,
ogni mese, gli altri abitanti portassero loro qualche bocconcino… un agnellino…
un vitellino… qualche pollo… qualche fagiano… insomma, in fondo non era un
sacrificio umano, e neppure disumano: la pace ed il quieto vivere, in cambio di
un po’ di fresca carne.
E tutte le
creature del Regno Animale, con sorpresa, ma mandando giù qualche rospo…
accettarono.
E fu così che
i Leoni si ritirano sull’isola, ed ogni mese, per tanti anni a seguire, gli
animali portavano loro la giusta e pattuita quantità di fresca carne animale. E
tutti vivevano felici e contenti.
Finchè…
Un freddo,
nebbioso ed uggioso giorno di febbraio, un martedì mattina Leone Leoni si
svegliò, tutto rinfreddolito ed intorpidito, accanto alla sua amata compagna
(non erano sposati né in comune, né in chiesa, ovviamente, quindi eran solo
compagni), la signora Leonessa Leoni, detta Nessi dagli amici, e le sussurrò in
un orecchio:
“Cara… sono un
po’ preoccupato…”.
“Cosa?!? Già a
quest’ora?!? Cosa succede?!?”, rispose lei, un po’ assonnata.
“Sono
preoccupato per i nostri ragazzi…”, soggiunse.
(Parentesi. La famiglia Leoni, come
tutte le famiglie che si rispettino,
era formata da 6 persone. Oltre papà Leone
e mamma Nessi, era composta
dal primogenito Leonìda, detto
Leo, bello, forte ed aperto ad ogni sfida.
e dal piccolo Leonello, detto Nello
mai uscito dal suo familiare orticello,
dalla beffarda Leonarda, detta Barda,
ogni ruggito, quasi spada o alabarda,
e dalla bella Leonella, detta Lella,
lunga, dolce e molto snella).
“Sono
preoccupato per i nostri ragazzi… Stanno crescendo… e… vorrei che fossero
migliori di noi… Vorrei che uscissero da questa Isola, che vedessero un po’ il
mondo, che fossero liberi, insomma…”
“Ma,
caro! Che dici? Non è possibile! Da che mondo è mondo, noi Leoni abitiamo su
quest’isola! Si è sempre fatto così! Questa è la nostra vita, la nostra tradizione…
E’ dall’alba dei tempi che funziona così! Non ci sono altre prospettive!”
“Ecco!
E’ proprio questo che intendevo! Ed ora sono preoccupato anche per te, cara la
mia Nessi! Vedi? Ma non vedi? Noi siamo stati fatti per scorazzare nelle
praterie, mica per star qui rinchiusi su un’isola, come allo zoo! Vedi? Dov’è il
tuo spirito di avventura?!?”.
“Ma,
caro! Non è possibile uscire di qui: la Legge lo proibisce! Ed in base alla
Legge dell’Armistizio, se usciamo sulla terraferma, scateneremo una guerra
mondiale, e ci saranno morti e feriti. Vuoi mettere a rischio la vita dei
nostri ragazzi? Cosa ci manca qui? Ci portan da mangiare tutti i mesi, c’è l’aria
gratis, abbiamo una bella casa, siamo tranquilli e sereni… cosa vuoi di più
dalla vita?”
Leone
smise di parlare, e contemplò il bellissimo viso della sua Nessi, rischiarato
dai primi raggi del sole. Poi aggiunse:
“Ci
sarebbe un modo… e non sarebbe così rischioso… potrei proporre ai ragazzi un
gioco…”.
“Dimmi
caro… se è ragionevole ed il gioco vale la candela…”
E fu così che Leone raccontò la sua
idea di gioco a Nessi.
Poco dopo, quando furono tutti intorno
al tavolo per la colazione, dopo la solita preghiera del mattino (a dir la
verità, un po’ insolita e distratta, perché i ragazzi, irrequieti ed affamati,
continuavano ad osservare gli insoliti piatti vuoti, mentre di solito eran
traboccanti di leccornie, tipo prosciutto, pancetta e crocchette di pollo
ruspante…), papà Leone, dopo un ruggitino per schiarirsi la voce, disse agli
anelanti di proteine ragazzi:
“Ragazzi!
Oggi è un giorno speciale! Vi propongo un grande gioco, un gioco madornale!”.
Invece del solito infantile entusiasmo
di fronte alla ludica proposta, Barda la beffarda sospirò: “Ma ci sei o ci fai?
E’ ora di colazione… mica di giochi!”.
Per fortuna (altrimenti la vita
sarebbe continuata al suo solito), Leonìda accettò la sfida, e le ribattè: “Ma
taci un po', sorella! Sentiamo cosa ci propone papà!”.
“Grazie,
Leo! Ascoltate, ragazzi: oltre il fiume, esiste una terra meravigliosa, piena
di posti meravigliosi, e di gente meravigliosa, molto diversa da noi. E per non
parlare dei cibi meravigliosi che ci sono… E’ una terra paradisiaca, dove
scorre latte e miele. Vi piacere andare a farvi un giretto, una sbirciatina…
solo fino a stasera?”.
La
curiosità infantile prese allora il sopravvento sulla fame, ed il piccolo Nello
si fece portavoce dei fratelli: “Va bene, papi. Però… perché hai detto che è un
grande gioco? Se è solo una gitarella… sarà solo un gioco da ragazzi….”.
“Eh,
no! E’ un giocone, con delle regole speciali: primo, fino al nostro ritorno, nessuno
deve assaggiare o mangiare carne, quindi… dite ciao alla ciccia”.
“Ma
come? E’ assurdo! Cosa mangeremo?!?”, sbottarono all’unisono.
“Non
preoccupatevi, ci sarà da mangiare… ma non carne. Allora, accettate questa regola?
Chi cede alla tentazione, e solo si azzarda a sgagnare la ciccia di qualche
animale… sarà eliminato”.
Quelli
acconsentirono, un po’ a malincuore. Ma si rianimarono sentendo la seconda
regola:
“La
seconda regola è: ci travestiremo tutti da ovini, con le pelli che abbiamo in
soffitta. Io da montone, la mamma da pecora, e voi da agnellini. Chi non viene
scoperto, vince. Se qualcuno viene riconosciuto come leone, perde. Ed il premio
finale… sarà un grandissimo banchetto a base di succulenta carne di agnello di
un anno, in quantità mai viste prime. Siete d’accordo?”.
Ovviamente
gridarono sì, e corsero in soffitta a prendere le pelli, e poi con l’aiuto di
mamma e papà si travestirono, si mascherarono e si truccarono da ovini… un po’
paciocconi, ma abbastanza simili, dai.
“Ecco…
allora… - aggiunse Nessi – non basta apparire come pecore, bisogna anche
muoversi come pecore, parlare belando come pecore, mangiare come pecore, etcetera!
Quindi… ora facciamo un po’ di lezione di vita ovina. Ovviamente… vietato
ruggire, grattarsi con le zampe dietro le orecchie e saltare sgli alberi!”.
E
per qualche ora si allenarono, a rendere il travestimento non solo
superficiale, ma abbastanza reale e credibile.
Quindi,
andarono sulla riva, ed utilizzando una zattera di tronchi, si diressero verso
l’altra sponda. Durante il viaggio Leone e Nessi ripassarono le istruzioni del
gioco e diedero le ultime delucidazioni e raccomandazioni: “Allora, siam d’accordo,
ragazzi! Agnellini nostri, siate gentili e cortesi con tutti, non cedete alle
tentazioni della carne, e tenete a cuccia il leone che è in voi! E vedrete che
banchetto a base di agnello, stasera!”.
Sbarcarono
a Belene, e cominciarono a girare per i campi ed i boschi. Erano così ben
travestiti, e si comportavano così bene come una tranquilla famigliola ovina a
passeggio, che nessuno li riconobbe come i terribili Leoni dell’Isola.
Lo
stupore dei piccoli agnelli-leoncelli era immenso: mai avevano immaginato di
vedere così tanti animali, così diversi e variopinti, mai avevano pensato che
il mondo fosse così bello e buono. Un gioco davvero stupendo.
Verso
sera, dopo aver praticamente quasi vinto il gioco, non avendo ceduto alle
tentazioni della carne e senza esser stati riconosciuti, si avviarono verso la
sponda del Danubio, per riprendere la loro zattera e tornare a casa, dove li
aspettava la succulenta e loculliana cena a base di agnello.
Ma,
quando ormai già erano in vista dell’agognato fiume, si imbatterono in una coppia
di pecore, cioè uno era un montone e l’altra una pecora, che a differenza di loro,
non erano bianche, ma nere, nere come il carbone. La qual cosa fermò un po’ l’acquolina
in bocca che i leonelli già avevano… visto che mai avevano incontrato una
pecora nera, e pensarono subito che eran neri perché eran sporchi…
Il
montone nero rivolse loro la parola: “Salve! Che fortuna… trovare finalmente
qualcuno di ovino come noi… Non è che avreste un posto per noi a casa vostra?!?
Mia moglie sta per partorire…”.
Nessi,
precedendo suo marito, e prevedendo cosa sarebbe successo se li avesse portati
a casa loro, vista la fame… disse:
“Beh,
sì, sarebbe fattibile, però… stiamo facendo dei lavori… è tutto sottosopra… potreste
chiedere qui in paese… c’è tanta gente così gentile ed accogliente…”
Il
montone nero, scuotendo il capo, disse: “Beh… Abbiamo già bussato a tutte le
porte, ma nessuno ci ha accolto. Dicono che non vogliono pecore nere tra di
loro, che non c’è posto per noi…”.
“Va
bene, allora. Ma aspettate che ci consultiamo coi ragazzi”, disse Leone.
Andando in disparte, papà Leone disse:
“Va bene, ragazzi. Come dicono… quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a
giocare! Che ne dite di continuare a giocare, e restare travestiti da pecore fino
a domani mattina? Che ne dite? Volete che in futuro tutti dicano: alla sera
leoni, alla mattina fifoni?”.
Ovviamente
acconsentirono, e quindi accolsero la coppia di pecore nere a casa loro. Verso
mezzanotte nacque pure un agnellino, ed era così bellino! E lo chiamarono
allora Lele. Fecero festa ed andarono tutti a letto a dormire, stanchi vivi, e
pienamente soddisfatti di quel martedì senza ciccia, dimenticandosi pure di
togliersi i vestiti da agnelli e pecore.
La
mattina dopo un clamore di voci e di urla li svegliò di soprassalto. Papà Leone
andò alla finestra, e vide che la casa era circondata da orde di animali
inferociti, che urlavano parole omicide cariche d’odio.
“Che
volete?” – chiese, affacciandosi alla finestra, dimenticandosi di essere ancora
vestito da pecora.
“Caprone
che non sei altro! – urlò qualcuno dalla folla –“Consegnaci quelle luride
pecore nere!”.
“Ma
neanche per sogno! Sono nostri ospiti! E poi, hanno appena avuto un agnellino…”.
“Un
agnellino?!? Ci mancava pure questo! Vedete? – urlò uno degli esagitati
animali, uno stupido tacchino spelacchiato – “Vengono qui ad insozzare la
nostra terra, e poi prolificano, si prendono tutto, e poi ci cacceranno!”.
Leone
e Leonessa tentarono di dialogare con quegli animali, ma non ci fu ragione che
capissero. Di fronte alla loro resistenza ed al loro rifiuto di consegnare le pecore
nere, gli assalitori passarono dalle parole ai fatti, ed iniziarono ad
incendiare la casa dei Leoni.
I
piccoli leoncelli, spaventati, dissero allora: “Papà, Mamma… perché non andiamo
fuori a sbranarli tutti?!? Noi leoni siamo più forti!”.
“No,
ragazzi! Abbiamo promesso di giocare alle pecore finchè abbiamo questi ospiti,
e abbiamo detto addio alla ciccia. Quindi… non ci resta che continuare a
giocare fino alla fine, costi quel che costi!”.
Tentarono
allora di resistere dentro la casa, ma ad un certo punto, ricoperti di cenere e
tutti anneriti dal fuoco, dovettero abbandonare la loro dimora. Riuscirono a
sgattaiolare dal retro, e con fatica raggiunsero il Danubio, e con ancora
maggior fatica raggiunsero la sponda romena.
Era
una terra desolata, e vagarono tutti e nove per quaranta giorni e quaranta
notti, tutti sporchi e coperti di cenere.
Per
non spaventare la coppia di pecore nere col loro agnellino, i Leoni decisero di
continuare a tenersi i vestiti da agnelli, e di comportarsi come cortesi e
belanti ovini per tutti quei giorni.
Il
quarantesimo giorno, dopo questo lungo calvario, stremati, affamati,
sconsolati, si accasciarono tutti su una collinetta spoglia, pronti a morire.
Stavano
tutti per emettere il loro ultimo respiro, quando l’agnellino Lele aprì la
bocca per la prima volta, e disse queste sette parole:
“Cari
leoni, grazie! Prendete, mangiatemi, vivete, gioite! ”, e detto questo, spirò.
I
Leoni, dopo l’iniziale sbigottimento e le rimostranze del caso… esclamarono
insieme: “Alleluia! Finalmente un po’ di carne!”, e fecero come l’agnellino
aveva detto loro: lo presero e se lo mangiarono.
E
fu allora che successe il miracolo: mangiavano, mangiavano, mangiavano… e la
carne non finiva mai. Mangiarono a sazietà, recuperarono le forze, e ne avanzò anche
per i giorni, i mesi e gli anni successivi. E non ebbero più bisogno di
mangiare altro.
Sappiamo
solo che da quell’anno in poi, ogni anno, in un martedì di febbraio i Leoni rigiocavano
il gioco di CIAOCICCIA, travestendosi di nuovo, e poi il giorno dopo si mettono
della cenere in testa, in ricordo dell’incendio della loro casa sull’isola di
Belene, e per quaranta giorni non mangiano più carne. Però, al quarantesimo… secondo
la tradizione, si fanno una bella scorpacciata di agnello. E questa bella
tradizione la insegnarono anche alle altre bestie.
E
da qui in poi abbiam perso le tracce della famiglia Leoni, ma si dice che
vissero felici e contenti, fino alla fine die loro giorni. Come penso che la
tradizione di giocare a CIAOCICCIA durerà fino alla fine dei nostri giorni.
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