Lettera del sig. E. Borė, sacerdote della missione di Costantinopoli,
data li 10 agosto 1859
e diretta ai Presidenti e Membri dei due Consigli di Parigi e Lione.
SIGNORI!
Rompo il silenzio, che i pensieri in cui ci tenne la nostra missione prolungarono troppo, per darvi alcuni cenni circa una piccola cattolicità del Danubio, la quale io visitai mosso particolarmente dalla speranza di essere utile a due buoni missionari, i parroci di Belene e di Tultcha, col trarre quindi materia ed argomento ad eccitare la carità vostra a pro delle loro povere chiese.
RELAZIONE intorno le cattolicità bulgare del Danubio.
La nazione turca, che osmanli od ottomana si nomina, inviluppò, e nelle sue conquiste nei continenti d'Europa d'Asia e d'Africa ridusse sotto la sua dominazione, forse trenta nazioni di razze pur sempre distinte assai.
Tutte, l'una dopo l'altra cedettero o piegaronsi sotto la mano del vincitore, ma senza lasciarsi assorbire da lui, anzi, in ciascuna di queste razze lo spirito di nazionalità sembra ai tempi nostri rinascere con nuovo vigore, secondo che l'addottrinamento manda in dileguo la densa ignoranza dei secoli trascorsi e ridesta la quasi estinta memoria della gloria e dell'indipendenza antica.
Il regno, ch'essa fondò nella Mesia verso l'anno 679 e si mantenne sotto tre diverse forme politiche durante poco meno di sette secoli, prova bastantemente la sua forza originaria d'organizzazione e di resistenza.
L'errore dello scisma bizantino, col penetrare in quella società poco dopo la di lei conversione al cristianesimo, ne compresse sventuratamente l'impulso, la staccò dalle grandi nazioni cattoliche dell'Occidente, la privò dei benefici della loro civiltà e del loro aiuto nei giorni del pericolo, e trascinolla nella rovina generale degli altri popoli cristiani ch'eransi disgiunti dall'unità religiosa.
Le fortunate qualità dei Bulgari, quali sono la semplicità e la pazienza, si rivolsero allora contr'essi, non servendo più che a ritenerli nei pregiudizi religiosi, di che non sono al tutto affrancati ed abbandonandoli all'autorità abusiva del clero di Bisanzio.
Il tempo essendo loro mancato per formare un clero paesano sufficiente e ragguardevole, sono sempre rimasti in balia del Patriarca, dei vescovi e dei preti della Chiesa di Costantinopoli, che ad un tempo tolsero loro il doppio beneficio del loro rito proprio, detto di San Metodio e di San Cirillo, e dell'insegnamento nelle scuole della loro lingua nazionale.
Gli sforzi ed i sacrifici d'ogni maniera, che di presente fa la nazione per formare nel suo seno un chiericato paesano e per ordinare le scuole, danno altamente indizio di volere irrevocabilmente uscire della via battuta ed entrare in nuovo cammino.
Possa il buon senso naturale di questo popolo preservarli dagli agguati d'ogni specie che lor sono tesi per fermare quel movimento generoso. Possano meritare la continuazione dell'aiuto di Dio e mandare prontamente ad effetto le nostre più care speranze. La nazione bulgara conserva nel suo seno, come tutte le comunioni separate dell'Oriente, un picciol nucleo di cattolici, che è nel medesimo tempo un monumento dell'ortodossia primitiva ed una morsa per la riedificazione futura dell'unità.
Questi deboli avanzi sono dispersi in due luoghi principali, il primo nęi dintorni di Filippopoli, ove formano una piccola diocesi confidata all'illuminato zelo di Mons. Canova, il secondo sulle rive del Danubio è soggetto all'amministrazione non meno meritevole di Mons. Parsi, vescovo latino della Valachia.
Di questa tenue greggia terremo ora discorso.
Noi venivamo dalla Servia per la rapida e maestosa via del Danubio, la quale diviene ampissima alla svolta di Nicopoli e nelle vicinanze di Svishtov. Questa città sorgeva pittorescamente sulla destra riva, ripida tanto che fa singolarissimo contrasto con le basse pianure della Valachia che si svolgono dall'altra parte del fiume sin dove può giungere la vista. Le strade irregolari e taciturne erano abbandonate a branchi di cani infingardi, poco graziosi verso il forestiere e quivi incaricati come nelle altre città turche della cura importante delle strade.
Senz'essi la via pubblica non sarebbe mai purgata delle immondizie che ognuno, liberamente e senza uno scrupolo al mondo, ci versa ed ammonta l'incivilimento musulmano, operando a rovescio del nostro, così in questa come in molte altre cose.
Però egli non ha riguardo se non al bene privato e l'interno della famiglia, mantenuta almeno da esso libera, inaccessibile, inviolabile, mentre che di fuori l'interesse della comunità è generalmente negletto od anche non esiste. Invano, a cagion d'esempio, și cercherebbe un luogo di diporto o di riunione. I cammini sono ancora da fondarsi e mancavi la sicurezza; i ponti e gli alberghi, i quali anticamente fabbricò qualche bascià opulento, cadono in rovina perchè non mai restaurati.
I primi saggi di sistema amministrativo fatti in questi ultimi anni a Costantinopoli non si sono ancora estesi oltre il recinto di quella, e più t'allontani dal centro più la provincia porge aspetto tristo e dolente.
La mia prima visita, per verità un po' interessata, fu al governatore o mudir, le cui funzioni e la dignità corrispondono a quelle d'un nostro viceprefetto. Trovai in lui un uomo di Costantinopoli, e mi vi aspettava la centralizzazione, essendo qua portata vieppiù innanzi che in Francia nel sistema amministrativo. L'uomo di Costantinopoli ordinariamente si distingue pel linguaggio più corretto e senza accento, per le maniere più urbane e per un vestire più all'europea; si attribuisce tanta superiorità sulle genti della provincia che le riguarda, quasi come se fossero barbare e che a lui toccasse di civilizzarle.
Sgraziatamente la sua azione di civiltà si limita troppo spesso a spremere da loro la più gran somma possibile di denaro, e siccome quivi non trovasi che di passaggio ed esposto ai colpi di cento competitori, non ha campo di conoscere i veri interessi della località, nè di darsene cura, e quindi non intenderà ad altro che a trarne profitto.
Mehemed Effendi era il nome del mudir; mi ricevė, dapprima alquanto gentilmente, nel suo palazzo, casa di legno mezzo in rovina ed assai poco degna d'essere la residenza del rappresentante dell'autorità suprema. Le occupazioni della giornata erano forse state molte ed ardue, poichè in vista pareva stanco e pensieroso, sicchè parecchie mie richieste interessanti circa la sua città non ottennero che risposte vaghe od un Bilmen, vale a dire un "Non so", sconfortante per me e poco onorevole per la sua capacità amministrativa, la quale io giudicai anche meglio quando il pregai di dare gli ordini suoi perchè io potessi procurarmi due cavalli, di cui io aveva bisogno pel giorno seguente.
Ma gridò: "Qui i cavalli sono rari ed è difficile trovarne"!
"Pazienza, signor mudir", risposi io, "ma io non chieggo un servizio gratuito: le cavalcature saranno pagate secondo la tariffa della posta", che a quanto pare non esiste ancora in questo paese.
Come a ciascuna delle mie ragioni, egli faceva sempre maggiori obiezioni, e vedendo io ch'ei non voleva turbare il suo kef, cioè il suo far niente, me ne andai compiangendolo d'avere un paese di tanto difficile amministrazione, quanto nei miei numerosi viaggi non ne aveva ancora per buona sorte trovato niun'altra che fosse, così come la sua, sprovvista di cavalli.
Mi rivolsi al buon Bulgaro a cui io era stato raccomandato e di cui io era ospite. Ebbe in breve trovato le due cavalcature, e l'indomani all'alba io era sulla via di Belene, villaggio cattolico il più vicino, cioè non più di quattro ore lontano, tra vaste praterie che il fiume inonda l'inverno e la primavera.
Eravamo alla fine di settembre, e numerosi branchi di vacche e di porci erravano in quei pascoli da folti nuvoli di brina coperti, il che in questa stagione rende la navigazione del Danubio lenta e talvolta pericolosissima.
Alcun sentiero non era segnato sull'erba, e nelle tenebre della nebbia bisognava aver cura di camminare verso maestro per non ismarrirsi. Di tempo in tempo il vento scacciava le nuvole, ma tosto dopo ricomponevansi più dense e più umide e il cielo non rasserenavasi compiutamente se non verso le nove.
Già l occhio scopriva da lontano, tra un boschetto di salici, le umide case del villaggio ed i graziosi saluti de paesani andanti al loro lavoro, ed il rispetto che mostravano al nostro abito ecclesiastico facevano agevolmente discernere i cattolici dagli altri bulgari non uniti e dai musulmani.
Il villaggio si compone di duecento cinquanta case o poco più, trenta delle quali sono e rimangono scismatiche, con quell'ostinazione che non è altro se non il castigo d'una lunga resistenza alla grazia.
Ogni casa è circondata da una siepe che la rende isolata e difesa, ed ha per guardiani gli enormi cani che accompagnano la greggia.
Il Danubio scorre a pochi passi di là, la riva è talmente piatta che al minimo ribocco inonda il villaggio ed entra nelle case.
Niuna cosa è più semplice dell'interno di queste, composto di due camere, una ove si raccoglie la famiglia, l'altra per alloggiare i forestieri; i mobili consistono in una stuoia di giunco, coperta nelle case più agiate d'un tappeto rozzo, e sulla quale lavorano, mangiano, orano, si coricano a vicenda.
Il vestire comune e uniforme degli uomini e delle donne in questa stagione è formato d'una tela bianca, che dà loro un aspetto di semplicità e di politezza, e durante l'inverno, che è lungo e rigido, si contentano di aggiungervi la pelliccia che traggono dalla pelle delle pecore.
Alcuni giovinetti della scuola, accorsi tutto giulivi ad incontrarmi, m'introdussero nel presbiterio ove stanno i venerabili Padri amministratori e protettori del villaggio: sono religiosi della Congregazione dei Passionisti, fondata a Roma nel secolo trascorso, con tanto frutto e tante benedizioni, e gloriosamente impiegata pure di fuori alla difesa ed alla propagazione della fede.
Mi ricordai allora che, essendo ancora nel mondo, io aveva visitato la loro Casa madre vicino al Coliseo, e che vi aveva respirato soave odore di tutte le virtù cristiane.
I suoi devoti figli rinnovellavano senza saperlo quella prima impressione, per la vita povera e devota che menano in questa parte oscura e quasi perduta del campo della Chiesa.
Se la vera sorte del missionario è d'evangelizzare i poveri, certamente l'hanno incontrata, perciocchè tutta la greggia è senza eccezione composta di quanto può trovarsi di più semplice e di meno fortunato nella classe dei lavoratori e dei pastori.
La tomba di p. Eugenio Valente, a Tranciovitsa. |
Il reverendo padre Eugenio, al quale insieme con un altro confratello è data la cura spirituale di questa piccola greggia, mi accolse nella sua umile stanza con apertissima cordialità.
Dolce possanza dell'unità del ministero apostolico! ll missionario che incontra un altro missionario in queste solitudini dell'infedeltà e dello scisma, quand'anche appartenga ad un altra Comunità e sia di nazione diversa, sente che si stringe al petto un vero fratello, e nelle effusioni del cuore in cui manifestano le gioie e le pene reciproche, ugualmente che i timori ed i desideri, si forma fra essi come un santo legame d'interessi e di opere.
Però io fui subito informato dello stato religioso, morale e politico della parrocchia. Il mattino, molto prima dell'alba, io vedeva tutto il popolo andare alla chiesa accanto al presbiterio, farvi in comune la preghiera con la meditazione, poi udire la santa messa e quindi, come pieni di novella forza, correre alle aspre fatiche della giornata.
La sera io li trovava ai piedi dei medesimi altari, recitando il rosario, indi ascoltando il sermone che cotidianamente ed invariabilmente è loro fatto ed altre orazioni vocali, che sono la preparazione al riposo ben meritato della notte.
Ivi, non spiriti forti nè ragionatori, non pretensioni ad una fatale indipendenza, ma un profondo ossequio agli avvertimenti del pastore ed un unione tenera delle famiglie.
Io mi credeva trasportato per incanto ai secoli della primitiva Chiesa od oltre i mari in qualche piccola colonia del Paraguai!
Belene è veramente un'oasi fiorente nel vasto deserto dell'ignoranza e della superstizione. Io vorrei che colui il quale non ha ancora concepito bene la superiorità del cattolicismo sulle comunioni separate, venisse a paragonare lo stato di questo villaggio con quello degli altri cristiani, pure che gli sono d'intorno, e che facesse la statistica comparata della felicità e della moralità loro.
Il risultamento dei suoi giudizi sconcerterebbe molto le teorie degli economisti, che non misurano i progressi d'una società se non collo sviluppo del suo lusso o della sua industria.
Ma ecco, questa felicità essere turbata da un avvenimento che immerge nell'afflizione tutta la comunità; la chiesa, umile edificio di terra come sono tutte le case del villaggio, è stata rovesciata da una di quelle inondazioni straordinarie di cui abbiamo parlato.
Il padre Eugenio, ad impedire che tale disgrazia si rinnovi, ha proposto che si riedifichi con pietre la casa di Dio.
Tutto il comune ha accolto con sentimenti di gioia il progetto e gli uomini, le donne ed i fanciulli hanno a gara concorso a questo lavoro andando a cercare lontano i materiali necessari alla fabbricazione, ma tutti sono poveri e le prime spese hanno prontamente consunto tutte le facoltà.
Il padre Eugenio contava con ragione sulla liberalità del Governo austriaco, che protegge direttamente questa missione, ma la guerra che ruppe poc'anzi in Italia gli ha tolto questo soccorso e frattanto la comune non ha più luogo ove adunarsi, ed è costretta d'assistere a cielo scoperto al santo Sacrificio ed esporsi così a tutte le intemperie delle stagioni. S'intende qual dura privazione imponga l'interrompimento forzato dei pii esercizi della sera e del mattino.
Perciò il padre Eugenio è stato ultimamente inviato a Costantinopoli, per ivi implorare la carità dei cattolici.
Siccome le circostanze presenti non sono propizie al commercio, scampo comune e quasi unico ai fedeli della metropoli, i quali inoltre vengono da tutte le parti dell'impero stimolati a concorrere a simili opere, l'aspettazione del padre Eugenio è stata crudelmente delusa e ci ha sommamente inteneriti col racconto degl'inciampi che incontra e degli obblighi gravi che ha già dovuto contrarre.
Allora, desiderando noi porgergli aiuto, abbiamo avuto dirò l'ispirazione di rivolgerci ai Consigli di Lione e di Parigi, e di presentar loro questa specie di supplica veridica e premurosa, non meno che disinteressata per parte nostra.
Ci fu d'avviso che la carità universale ed indefessa della pia Società sarebbe commossa dello spettacolo di tutto questo popolo, indeterminatamente spoglio del solo bene che apprezza e gusta, cioè di pregare e servire pubblicamente Iddio.
A questo dolore si aggiunge il rammarico d'intendere gli oltraggianti sarcasmi degli eretici e dei musulmani, i quali alla vista dei fondamenti appena usciti di terra rimproverano ai cattolici d'avere cominciato un edificio senza poterlo finire.
Possano dunque i due Consigli di Francia confermare in certa guisa la fortunata pace conchiusa con l'Austria, concedendo ad una di queste missioni il soccorso che le necessità della guerra hanno momentaneamente torto da lei.
Se la voce nostra sarà ascoltata, ne saremmo lietissimi, per avere altresì potuto dimostrare ai Reverendi Padri Passionisti lo zelo d'una salda e riconoscente amicizia.
Tre altri villaggi (Lajeni, Trentsovitza ed Oreche), i quali contano ciascuno da cinque in settecento anime, compongono con Belene tutta la piccola cattolicità di questo paese danubiano.
Ma come queste duemila anime hanno potuto salvarsi sole dal flagello dello scisma?
Fu questa la prima domanda ch'io feci, con una curiosità tanto più bramosa di udirne la risposta quanto la fede cattolica è ognora respinta dal fanatismo ignorante dei villaggi circonvicini, quantunque abbiano comunità d'origine e di linguaggio.
O altitudo! O consigli impenetrabili di Dio il quale sceglie i suoi e sa preservarli dalla contagione dell'errore!
Quando il sultano Bajazet o Baieczid I guadagnò sul re d'Ungheria Sigismondo la celebre battaglia di Nicopoli, pagò caramente quella vittoria, contrastata dal fiore della nobiltà francese che seguiva Filippo d Artois e Giovanni detto Senza Paura, duca di Borgogna.
La politica musulmana doveva naturalmente diffidarsi del cattolicismo, il quale era sempre pei Turchi la religione dei Franchi o dei Francesi.
I missionari e sacerdoti latini furono dunque cacciati da tutti i villaggi che erano cattolici. Lo scisma greco profittò di tale occasione per introdurvisi e gittarvi le sue radici; la persecuzione durò più di sessant'anni, ed i quattro soli villaggi preallegati rimasero saldi nella loro fede.
Gli scismatici sanno per certo che queste genti sono cattoliche, ma il nemico d'ogni bene, sempre fecondo in ritrovamenti che portano il male, ha quivi fatto dare (come dalla parte di Filippopoli) il soprannome di Paoliciani, ed ostentasi di non riconoscerli che sotto questo nome assurdo.
Qual relazione v'ha dunque fra essi e la setta d'origine manichea che la società del X e XI secolo infestò colle sue dottrine di sovversione ed immoralità?
Vediamo per esempio che quei primi socialisti, secondati dal califfo musulmano, avevano fondato nel monte Argeo in Cappadocia una specie di città falanstero chiamata Tefrica, ossia distinzione, rifugio di tutti gli uomini traviati dell'impero.
Benché l'imperatrice Teodora ne facesse sterminare più di cento mila, continuarono lungo tempo a turbare e disertare le provincie dell'Asia e in quelle dell'Europa; la Bulgaria fu specialmente insieme con la Bosnia il teatro dei loro eccessi.
Alcuni vogliono riportare l'etimologia di questo nome ad un certo vescovo Paolo, che venuto circa sessant'anni dopo il sultano Bajazet, sarebbe stato il conservatore od il restauratore della fede in questi villaggi.
Ma allora come intendere l'estensione di questo soprannome fin nella diocesi diversa e molto lontana di Filippopoli?
Lo scisma è più malizioso ed ha perfidamente compreso i veri ortodossi sotto un nome che la tenace ed odiosa setta de Manichei aveva con ragione reso esecrabile.
Riseppi con mio giubilo che Monsignor Angelo Parsi, vescovo di Valachia residente in Bucharest, era venuto a visitare questa parte bulgara della sua diocesi e che era a Trentsovitza per la benedizione della nuova chiesa.
Desideroso di rivederlo e di riverirlo, partii il giorno seguente verso mezzodì, scortato da una guida bulgara cattolica, e montata come me sopra un piccolo cavallo lesto.
Il cielo era senza nubi ed il sole vivo ancora inondava la pianura e le montagne di quel dolce lume serbato a bei giorni d'autunno.
Da prima calcammo le fresche erbe d'immensa prateria, ornata qua e là di vigne, donde uscivano i saluti de vendemmiatori ed i lieti augurii di prospero viaggio. Compresi meglio la carità di questo augurio allorchè entrammo in una gola solitaria e lontani da ogni abitazione cavalcammo per monti e per valli senza incontrar quasi mai anima vivente; durante sette leghe che facemmo, d'un tratto di luogo in luogo apparivano soltanto alcune vestigia di coltura e in lontananza due o tre villaggi ed alcune greggie erranti, senza pastore: avresti detto che tutta la natura era in lutto e piena di terrore.
E per verità la sicurezza non regna per quelle campagne, e non sì tosto giunti a Sistov, udimmo il racconto dei ladronecci d'un certo Djelil Agha, capo palese e ricettatore impunito fin da dodici anni d'una masnada di ladri. Tre settimane avanti costui era entrato in Slonire, villaggio vicino a Ternovo, e come il cristiano padrone della casa erasene fuggito senza poter pagare i quattrocento franchi della taglia richiestigli, il musulmano aveva ucciso sua nuora. Si sospetta molto ch'egli sia l'autore della strage notturna d'una famiglia di quattro persone nel villaggio di Lajeni. Due mesi erano trascorsi, e la polizia mostrava d'avere accettato il fatto compiuto.
Devo per altro aggiungere, in sua discolpa, che tempo dopo uno dei seguaci di quello, per nome Tomir Silow, divenuto per le sue atrocità il terrore del paese, è stato arrestato e giustiziato, espiazione seguita più tardi dal supplizio di quel medesimo Djelil Agha, che veniva armato a passeggiare per Sistov, quasi ad insulto del governo e dei suoi sergenti.
Vuolsi por mente che questi masnadieri di professione sono per lo più musulmani e trovano troppo spesso indegno accordo, nella pusillanimità o venalità, nei guardiani delle leggi della loro medesima religione. Come gli zapti, ovvero gendarmi, sono pure musulmani, i malfattori se ne ridono tutte le volte che scelgono fra cristiani le vittime loro.
Mi fu a questo proposito citato ad esempio il mudir o viceprefetto della piccola città di Gabrovo nel distretto di Ternova, quale assassino palese di parecchi cristiani.
Pur finalmente un commissario imperiale, Nedjib Effendi, aveva ardito arrestarlo e condurlo a Costantinopoli. Ma mi si chiederà: "Non vi sono giudici e tribunali in Turchia per condannare tali misfatti?".
Sì, e il ben conosciuto volere di Sua Maestà il sultano e dei suoi ministri è che si renda giustizia a ciascuno, di qualunque razza e religione sia.
Solamente il Governo centrale è di fuori, specialmente in certe provincie lontane, mancante d'impiegati degni e capaci di eseguire i comandi suoi.
Spetta all'azione civilizzatrice dell'Occidente di supplire alla sua e di aiutarlo nelle riforme che non si sono ancora potute mandare ad effetto.
Così le grandi potenze cristiane, mentre fortificheranno il governo ottomano, miglioreranno la sorte dei cristiani facendoli nello Stato salire al grado che loro è dovuto, e daranno compimento ai benefici che la guerra d'Oriente portò.
Peccato che l'hatti humaioum, ovvero rescritto imperiale concesso da Sua Maestà il Sultano nel 1856, egualmente che il programma della rigenerata società novella, rimanga sempre qual lettera morta e non abbia per anche destato fra i raia se non isperanze o rammarichi.
Il testimonio dei cristiani doveva essere al pari di quello de musulmani ammesso davanti i tribunali: la promessa è formale, non eseguita.
Il traffico degli schiavi, abolito da un atto imperiale non meno solenne ed esprimente di quello che sia l'hatti humaioum, si continua presso a poco come prima con l'Egitto e la Circassia; solamente vi adoperano alcune precauzioni e finzioni legali.
Perchè il Governo possa ed ardisca effettuar francamente le sue buone intenzioni, ha bisogno d'essere sostenuto dalle potenze amiche, e così vincerà le ultime resistenze del fanatismo.
Adempia dunque l'Occidente l'opera cominciata della sua pacifica crociata.
Cosi meditando m'accostava a Trentsovitza, posta all'estrema parte d'una valle cui traversa l'Aluta, le cui acque spesso traboccate formano qua e là paludi piene di uccelli acquatici.
Gli ultimi crepuscoli della sera ci bastarono a guidarci in quel passo difficile, e giungemmo felicemente alla porta del presbiterio; i canti e le orazioni nella chiesa poc'anzi fabbricata con gli aiuti della vostra pia Società ed ornata ancora degli addobbi per la festa della sua dedicazione, m'avvertirono ch'io troverei Monsignor Parsi ed i missionari degni confratelli di lui.
In fatti i Reverendi Padri Passionisti sono dovunque costanti nell'eccellente pratica dell'esercizio della sera, composto come dicemmo d'un sermone, della recita del rosario, del canto di alcuni cantici e dell'orazione.
Il vescovo stesso volgeva la paterna sua esortazione in dialetto bulgaro del paese all'adunanza dei buoni contadini raccolti e inginocchiati a suoi piedi.
Qualche lacrima mi scese dagli occhi e presi parte della letizia apostolica di quei religiosi, gustando, lontano dall'Italia, una pace e una contentezza che almeno non turbano le voci minaccianti nè i deplorabili eccessi delle passioni politiche.
Sua Eccellenza ha l'onore d'avere la medesima patria e la città natale di Sua Santità Pio IX, di cui fa ricordare in modo straordinario l'augusta persona per l'età, la statura ed i felici delineamenti della fisonomia.
M'accolse con la solita bontà sua e quasi tutto il tempo del nostro breve colloquio fu impiegato nel racconto de numerosi bisogni della sua ampia diocesi.
Monsignore abita d'ordinario a Bucharest, città principale della Valachia, la quale contiene gran numero di cattolici tedeschi, italiani. francesi, russi e parecchi membri d'altre nazioni, le cui cure domandano, per parte del pastore che li guida, altrettanta prudenza e zelo, o non meno sapienza che pietà.
Il clero paesano è ancora da formarsi e Mons, Parsi per supplirvi ha bisogno di ricevere di fuori santi cooperatori ed altri aiuti, cui rende ancor più opportuni la nuova organizzazione dei principati moldo-valacchi.
Il giorno appresso io ripigliava il cammino di Belene, avvicinandomi un poco a Nicopoli, le cui bianche torri spiccano dal fondo azzurro dell'orizzonte.
Dicesi che nel 1826 croci luminose brillarono sopra la mezza luna che d'ordinario sta in cima di quella specie di campanili musulmani.
I cristiani testimoni di quel segno ne trassero felici augurii, che gli avvenimenti non hanno poscia cessato di verificare per l'ascendente ognor più manifesto del cristianesimo sull'islamismo.
Il tempo mancavami per passare per i due altri villaggi di Lajeni e d'Oreche, ch'io sapeva essere in uno stato non meno consolante ed onorevole pel cattolicismo.
Affrettato di tornare a Costantinopoli, continuai la strada sul Danubio per l'espresso dei piroscafi austriaci.
In quel tragitto interessante, su due punti principali si fissò la mia attenzione di missionario: da prima Galatz, cui un commercio sempre più fiorente dilata e sviluppa maravigliosamente. I cattolici vi hanno una chiesa nuova, convenevole per verità, ma con un solo sacerdote e come i parrocchiani sono sparsi sovra ampissimo spazio; l'istruzione religiosa de fanciulli ne patisce.
L'altra città, d'accrescimento ancor più straordinario, è Tultcha, la quale essendo appena un villaggio venti anni fa, conta oggi più di trenta mila cristiani.
Un sacerdote bulgaro cattolico per nome Giorgio Karadja ha per così dire formato questa nuova cristianità, al bene della quale si è consacrato.
La povertà della sua greggia, non avendo per anche concesso di fabbricare una chiesa, implora a tal fine la carità dei cattolici dell'Occidente.
L'elemosina che riceverà per adempiere al suo pio divisamento, contribuirà senza dubbio alla conversione ed alla salute di molte anime, cui più non soddisfa la fede delle chiese date dallo scisma ad un clero ignorante e simoniaco.
(Annali della propagazione della fede, 1860)
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