2 agosto 2020

La favolosa favoletta di Enrichetta, la vecchietta ranocchietta che invece di star lì a farsi la ceretta con la pinzetta, imparò in fretta ad andare in bicicletta, e filò via come una ragazzetta dalla scatoletta ristretta della sua paludetta benedetta.

“Aiuto! Aiuto!”, mi sembra di sentire. 

Me ne sto qui da mezz’oretta a mollo nella mia piscinetta, galleggiando a morto nel silenzio tombale della canicola augustana, interrotto solo dalla brezza e dal fruscio delle fresche frasche. 

“Aiuto! Aiuto!”, di nuovo mi par di sentire, come un gracchiante gracidio lontano. Non c’è in giro un cane… chi vuoi che abbai? Forse qualche formica? 

“Aiuto! Aiuto”, stavolta il vento mi porta questa vocetta un po’ più distinta. 

Mi alzo in piedi nella piscina, e mi guardo in giro. 

“Boh! Io non vedo nessuno”, mi dico, tra me e me. Ritorno a distendermi come un morto, assaporandomi la solitudine del luogo e la totale ignavia del momento. 
L’acqua, appena smossa della calda brezza, mi culla come un neonato nell’amniotico liquido. 

Che goduria! Lontano dal mondo, con le sue seccature, ed immerso nelle fresche acque. 

Mi lascio cullare, e cullare, cullare… e mi addormento, come un bimbo svezzato in braccio a sua mamma. E faccio un sogno (che ci vuoi fare? Io, quando non c’ho niente da fare e dormo e non piglio pesci… sogno!). 

La vita nelle paludi di Bèlene scorreva tranquilla. Sempre le solite cose, sempre il solito fango, un eterno ripetersi di botanici ed ittici eventi. 

Tra i tanti, nelle paludi di Belene viveva una modesta colonia di rane, che da secoli facevano quello che fanno tutte le rane in tutte le paludi del mondo: un giretto di qua, un girino di là; un girone di campionato di su, un giretto di vite di giù; qualcuna faceva la giramondo, a qualcun’altra gli giravano spesso ed andava su di giri; a volte si raggiravano nelle tenbre, altre volte non ne vedevi una in giro; esultavano al giro di Taglia, e qualcuna debordava di taglia al girovita. Insomma, gira e rigira, ogni rana che c’era in giro, o faceva un girino o faceva un giretto oppure una giravolta. Niente di che. 

Finchè, dopo secoli di entusiasmante ripetitività, la Enrichetta, una rana assaai vecchietta, un giorno si imbattè, nella palude ovviamente, in una vecchia bicicletta, abbandonata lì, mezzosepolta nel fango, chissà da quanto tempo. Ed era proprio una bicicletta vecchia: sai, di quelle con una ruota gigante davanti ed un ruotino dietro. 

Quell’incontro le cambiò la vita: finalmente il Grande Rospo, il dio di tutti gli stagni, aveva mandato un segno! 

Ed Enrichetta, volgendo lo sguardo al cielò, esclamò: “Grazie, Grande Rospo! Fin da piccola ho sognato un mezzo per poter uscire da questa palude, e girare il mondo, libera e bella! Grazie! Anche se potevi svegliarti un po’ prima, neh! Che con tutta questa umidità mi è venuta l’artrite reumatoide… Comunque, grazie, neh! Ho voluto la bicicletta, mò pedalo!”. 

E balzando con nuova arzillosa baldanza energetica giovanile sul sedile della vecchia bici, Enrichetta afferrò il manubrio e provò a pedalare, ma… le ruote di quel velocipede eran inpantanate nel fango paludoso, e non volevano saperne di girare. 

La poveretta ranocchietta, la vecchietta Enrichetta, ci provò in tutti i modi. Ma nulla da fare: la fangosità accalappiante di quella palude teneva prigionieri i possenti cerchioni. 

E allora Enrichetta fece quello che fanno tutte le persone normali quando han bisogno di qualcosa e da sole mica ci riescono ad uscire dal problema: chiese aiuto. 

“Aiuto! Aiuto!”, cominciò a gracidare. 

Ma, visto che la vita non è un film… al primo grido di aiuto non rispose nessuno. 

“Aiuto! Aiuto!”, continuò a gracidare Enrichetta. Prima o poi qualcuno avrebbe sentito, o no? Bussate, e vi sarà aperto. 

“Aiuto! Aiuto!”, gracidò per l’ennesima volta. 

Qualche foglia di ninfea vicina finalmente iniziò a scuotersi, ed apparve la faccia con gli occhioni di Svetlana, la rana Malsana, che disse: “Eh! Chi è che fa tutto questo caos? Taci, vecchietta! Mi svegli tutti i girini!”. 

“Grazie al cielo! Dammi una mano, Svetlana Malsana, ho bisogno di estrarre dal fango questa bicicletta…”, implorò Enrichetta, con lo sguardo radioso di speranza. Tra le rane, infatti, la solidarietà è proverbiale. 

“Ma sei tutta suonata? Io sporcarmi le zampe con questo fango schifoso? Suvvia! Che grilli ti son saltati in testa? Da che mondo è mondo non si è mai vista una ranocchietta andare in bicicletta!”, la liquidò in fretta Svetlana, rivoltandosi e tornando a dormire dai suoi girini. 

Disperata, Enrichetta continuò a gracidare: “Aiuto! Aiuto!”, girandosi nella direzione opposta e più sottovoce, per non disturbare Svetlana la Malsana ed i suoi cucciolotto. 

Dopo qualche ora, finalmente passò lì vicino Rosco il Foscolo, un rospo che non faceva il poeta, ma il volontario della Croce Rossa (chi vuoi che ci sia in giro di notte? I poeti?). 

“Oh, salve signora Enrichetta! Ha bisogno di aiuto”?, le chiese gentilmente. 

“Grazie al Grande Rospo, sei tu, Rosco! Capiti a fagiuolo! Mi potresti dare una mano ad estrarre questa bici dal fango, così vado a farmi un giro? E’ una vita che aspetto questo momento….”. 

“Ma sei tutta suonata? Cosa son questi capricci? Noi aiutiamo le persone in difficoltà, mica togliamo bici dal fango! Non ho tempo da sprecare per queste fangose quisquiglie. Ciao! Vado di fretta: tutto il mondo attende il mio aiuto! Sapessi quante persone soffrono…!”. E se ne saltellò via. 

Ormai in preda alla disperazione, alla delusione, alla commiserazione, all’autodistruzione, alla frustrazione…. Enrichetta, con un sempre più flebile gracidio, continuò ad invocare: “Aiuto! Aiuto!”. 

Le ore passarono nella più totale solitudine, e fu sera e fu mattina. 

Verso le otto, un gruppo di raganelle bambine passò lì vicino andando a scuola, e la mezzo assonnata e disperata Enrichetta ebbe un sussulto di vitalità: 

“Aiuto! Aiuto! Aiutatemi, ragazze”! 

Le raganelle si fermarono, e visto che erano nell’età della stupidera, si misero a ridere, e scanzonate a canzonare la vecchietta poveretta: “Eilà, nonnetta! Sei scappata dallo spizio?”. 

“Oh, care ragazze… non potreste darmi una zampetta per toglier dal fango questa bicicletta?!?”. 

“Fango? Bicicletta? Ma sei tutta suonata?!? Ma va’ a farti la ceretta con la pinzetta, nonnetta coi baffi!”, e se ne andarono ridendo e scherzando. 

Ormai Enrichetta era alla frutta. Aveva toccato il fondo. Ma, ostinata ed imperterrita, continuò tutta mattina a gracidare aiuto, sempre più spossata, esausta, oppressa, derelitta, svuotata. 

Finchè nel caldo, assolato, afoso pomeriggio il suo quasi ormai silenzioso grido d’aiuto giunse alle orecchie di Luciano il Belenciano, che se ne stava spaparanzato nella sua azzurra diletta piscinetta sulle rive del bel Danubio blu. 

Luciano si affacciò dal bordo della piscinetta, e disse a quella ranocchietta vecchietta: “Eh! Cos’è tutto questo chiasso? Non si può nemmeno rilassarsi un po’ alla domenica pomeriggio…”! 

“Scusa, Luciano… ma ho bisogno di aiuto….”, e gli spiegò della bicicletta, dei suoi sogni di viaggio, del fango della palude e del disinteresse di tutte le altre rane. 

Luciano ascoltò, e poi, commosso, le disse: 

“Vorrei tanto aiutarti, Enrichetta poveretta… ma se entro nella palude, m’impantano, e se poi ci son le sabbie mobili… pluf! Verrò inghiottito vivo…”. 

“No problem, Luciano! Puoi aiutarmi lo stesso…” 

“E come? Tra me e te c’è un abisso…” 

“Ce l’hai un fon a batterie?”, chiese Ernichetta la ranocchietta. 

“Cosa? Che diavoleria è un fon?”, rispose perplesso Luciano il Belenciano. 

“Un fon… quel coso che manda fuori quella cosa calda che asciuga i capelli…!”. 

“Ah! Un asciugacapelli!” 

“Beh…. Vistoc che noi non abbiamo capelli… lo chiamiamo fon. Comunque, sì, proprio quel coso lì!”. 

Luciano il Belenciano rispose di sì, e corse in casa a prenderlo, e dal bordo della palude lo lanciò ad Enrichetta. 

La ranocchietta vecchietta lo afferrò al volo, ed in men che non si dica iniziò a soffiare la calda aria intorno alla bicicletta. Il fango si seccò e si sbriciolò ritornando polvere secca, e così Enrichetta liberò la bicicletta. 

Poi sistemo il fon sul parafando anteriore, in modo che l’aria calda asciugasse il fango davanti alla ruota, e montata in sella, disse, prima di schizzar via: 

“Grazie, Luciano il Belenciano! Arrivederci a presto!”. 

E schizzò via, pedalando con energia, mentre il fon asciugava la via davanti alle ruote. E da allora Enrichetta, la ranocchietta vecchietta, che invece di star lì a farsi la ceretta con la pinzetta, imparà in fretta ad andare in bicicletta, se ne gira il mondo come una spavalda ragazzetta, pedalando senza fretta sulla sua amata bicicletta.

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