11 agosto 2020

L’uovo, la gallina e il sesso degli angeli

Una mastodontica pozzanghera atomica di Belene
Una mastodontica pozzanghera atomica di Belene
La città di Belene è famosa, tra le tante cose, per le buche delle sue strade. Ce ne sono di tutti i colori e di tutte le misure, ma nessuno al mondo sa ancora quante siano. Quei pochi che per hobby iniziarono a contarle, sono nel frattempo invecchiati e morti, senza poter concludere la loro missione. 

Ce ne sono di tutti i tipi: da quelle a forma di tana di coniglio a quelle di cratere lunare, da quelle frastagliate a quelle con la circonferenza perfetta. Ci sono le buche scoppiagomma e quelle sussultanti, alcune son profonde altre son gioconde. Ci son pure quelle a ciambella, con l’asfalto a forma di atollo corallino, poi ci son quelle traditrici chiamate sabbie mobili: una sottile crostina sopra, con sotto voragini nascoste, ed appena ci metti il piede o la ruota… patatrack! Vai giù come un pesce lesso. 

Ci sarebbero poi quelle a forma sinuosa, che come serpenti serpeggiano a destra e a manca, quelle recidive, che riempiono e poi si riformano. 

Insomma, se le collegassero con dei canali, faremmo concorrenza a Venezia. Ma Belene Venezia non è, e solo Dupkigrad, cioè la Città delle Buche. 

Un giorno, dopo un discreto temporale, baba Tonta e baba Storna, audendo augelli far festa, si misero in testa oltre al loro fazzoletto anche l’idea di uscire a far due passi e raccoglier un po’ di lumache. 
Dovete sapere, visto che non siete di Belene, che baba Tonta abitava al numero civico 1 di via Gruviera, mentre baba Storna abitava esattamente dalla parte opposta della strada, all’ultimo numero civico, cioè il numero 32. 

Casualmente uscirono entrambe contemporaneamente, col loro bastone e con il loro cesto per le lumache, e si diressero verso il centro di via Gruviera, raccogliendo gli incauti gasteropodi polmonati che erano usciti dai loro nascondigli dopo il diluvio precedente. 

E fu così che casualmente arrivarono al centro della strada, dove come al solito la solita enorme buca larga dieci metri si era riempita di acqua piovana, lasciando solo un piccolo sentierino di dieci centimetri sul lato pari per eventuali pedoni. 

Le due nonne, soffermate sull’umide sponde, volti i guardi al semivuoto cestino, tutte assorte nel lor roseo destino, certe in cuore che oltre la cortina d’acqua l’erba del vicino è migliore e ci fosse abbondanza dell’agognata chiocciolina, giuraron: non sia mai che quest’acqua mi faccia barriera, io proseguo la caccia! 

E contemporanemente imboccarono l’angusto passaggio, stando bene attente a non sbilanciarsi e cadere dentro quel famelico cratere ed inabissarsi in esso. 

Quando giunsero a metà del sentierucolo, alzarono gli occhi dalle sudate lumache e si videro: 

“Oh, ciao Tonta! Che ci fai in giro?”, disse la baba Storna. 

“Ciao, Storna, vado a lumache… e tu?”, rispose la baba Tonta. 

“Anch’io! Ma purtroppo da questa parte ne ho trovate poche. Dalla tua parte di sicuro ne troverò a bizzeffe!”, disse la Storna. 

“Sapessi! Anch’io di qua ne ho trovate pochissime. Ma son certa al cento per cento che dalla tua parte ne trovero a camionate!”, disse di rimando la baba Tonta. 

“Beh, allora, Tonta… lasciami passare, così possiam continuare ognuna per la nostra strada a cercar su le lumache”, disse la Storna. 

“Eh! Perché io? Torna indietro tu, e lascia passare me!”, disse la Tonta. 

“Ma figurati se torno indietro! Alla mia età! Ho 89 anni io, mica sono una giovinetta di 88 come te! Chi si volta, è perduto!”, disse la Storna. 

“Senti, Storna: torna un po’ indietro, così passo io”, disse di nuovo la Tonta, che mai avrebbe fatto dietrofront. 

“Neanche per sogno! Ecco, ha piovuto, governo ladro, e per colpa del governo siamo in questo stallo! Non si può né andare avanti né indietro! Da sessant’anni ho chiesto a tutti i 27 sindaci che abbiamo avuto di asfaltarci giù questa strada, e niente! Governo ladro!”, cominciò a blaterare la baba Storna. 

“Parole sante, baba la mia Tonta! Governo ladro! Non solo ci danno 97 euro di pensione, ma ci lasciano pure qui in mezzo a questi crateri! Coi soldi che rubano, potremmo riempire tutte le buche!”, disse la baba Storna, appoggiandosi al suo bastone. 

Anche la baba Tonta si appoggiò al suo bastone, un po’ stanca, e continuò a parlare, senza ovviamente indietreggiare di un millimetro: “Senti, Storna… ti ricordi quando eravamo piccole e venivamo a giocare qui, in questa pozzanghera?”. 

“Eccome, Tonta mia! CI mettevamo le barchette di carta e le foglie, e poi soffiavamo nei tubi per vedere chi le mandava più lontano…” 

“Sì, è vero. Ti ricordi, Storna, quella volta che il postino ci passò dentro in bicicletta, in questa pozzanghera, e scomparì per sempre alla vista?”. 

“E come no? Han dragato, dragato e dragato… e neppure i sommozzatori l’han più trovato! E poi pretendono che la posta arrivi puntuale! Come si fa, se i postini scompaiono nelle buche!”. 

E continuarono così, per ore e ore, tra ricordi e accuse al governo ladro. Nessuna volle tornare indietro per far passar l’altra (Ah! Il benedetto orgoglio!), e così, talmente prese dal loro dialogo tra sordi, non si accorsero che nel frattempo la pozzanghera si era prosciugata e le lumache se ne erano uscite tutte dai cestini e tornate alle loro seconde case portandosi in groppa la prima casa. 

E continuarono per tutto il giorno e tutta la notte, e pure il giorno dopo ed i giorni successivi, finchè morirono di fame e d’inedia. 

Quando le trovarono lì morte e stecchite, i vicini dissero: “Che bisogno c’è di portarle al cimitero. Guardate qui che bella buca: è già bell’e pronta!”. 

E fu così che baba Storna e baba Tonta furono sepolte nella buca in mezzo alla loro via Gruviera. 

E così contribuirono a riempire una buca, che da allora scomparve per sempre.

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