5 agosto 2020

Apriti cielo! Dalle caucasiche steppe in visita a Belene arriva Stalin Giuseppe!

La notizia fece subito il giro del mondo socialista, arrivando come un’onda di tsunami pure nei più lontani suoi satelliti, che ruotavano nell’universo comunista.

Fra una settimana… Stalin Giuseppe visiterà a Belene il Cantiere della Centrale Atomica.

Siamo nel 1900 e fischia, e probabilmente questa notizia non ci fa né freddo, né caldo, né tiepido.

Ma allora… apriti cielo! Stalin viene a Belene?!? Prova ad immaginare: una cosa più eclatante della Madonna che appare a Lurd… una cosa più straorbitante che vincere alla lotteria Italia 600 milioni di euri… una cosa più stratosferica che avere a cena in casa Salvini e Greta Tunberg! Una cosa dell’altro mondo!

La gioia collettiva, l’entusiasmo collettivo, i collettivi collettivi furono travolgenti.

Brigate di radiosi operai, volontari e raggianti, furono subito ingaggiate per costruire la pista del nuovo aeroporto. Volontariamente dall’Isola giunsero migliai di volontari, lasciando le loro baracche, dove volontariamente si erano ritirati come novelli Robinson Crusue, per sfuggire dai miasmi del capitalismo e dal fetore dell’aristocrazia cittadina e piccolo borghese, i quali volontariamente si misero a costruire una nuova ferrovia, una nuova stazione, un nuovo albergo intorno al nuovo bagno che avrebbe utilizzato il Baffone durante la sua mezz’ora di onorata presenza, un nuovo porto sul Danubio, una nuova centrale idroeletrica per illuminare i nuovi lampioni che venivano posti nelle rinnovate vie della città, etc. ect.

Praticamente, in cinque giorni (uno in meno del droghifero Dio borghese dei cristiani, ovviamente) fecero nuove tutte le cose vecchie e pure tante nuove cose.

La collettività progressista del laborioso e progressivo popolo socialista di Belene riuscì in cinque giorni a realizzare il paradiso in terra, almeno nei suoi confini, pronto ad accogliere la presenza dell’onnipotente ed altissimo ed unico ed invincibile ed ineguagliabile Stalin Giuseppe, il seminarista delle georgiane steppe, che nella sua grande sapienza aveva abolito ogni culto, pure il culto della sua personalità e del suo nome (facendo una piccola eccezione per il cognome…).

E fu così che nella radiosa e progressiva alba del settimo giorno, prima ancora del sole nascente, all’orizzonte sorse il rubicondo astro di Stalin Giuseppe.

Preceduto da una folta ed impressionante schiera di Mig, scoreggianti fumo rosso, il rosseggiante elicottero Mimi 24 Hind di Stalin emerse da oltre la linea dell’orizzonte, diventando sempre più grosso.

Le masse proletarie di Belene, che già dalle ultime ore del tramonto precedente erano schierate in attesa della sua venuta, emisero un sospiro di goduria progressista, scorgendo l’elicottero ingorssarsi e farsi sempre più vicino.

E quando ormai la sua ombra quasi si stendeva come una carezza sull’enorme e straboccante e festanete folla agitante bandierine rosse, gli occhi dei belenciani contemplarono affrascati sulle fiancate della fusoliera dell’Hind staliniano i loro amati simboli della Stella a Cinque Punte e della Falce e Martello. Apriti cielo! Ad una sola voce, ad un solo sospiro, all’unisono, iniziò a levarsi il coro trisagio: “Stalin! Stalin! Stalin! Stalin Giuseppe è l’onore dell’universo progressista! I cieli e la terra e pure le gallerie delle miniere sottoterra sono pieni della gloria radiosa del tuo baffuto volto! Salvatore del mondo dalle grinfie capitaliste imperialiste massoniche e vaticane! Stalin! Stalin! Stalin!”, e così di seguito, per oltre un’ora, senza scemare, senza steccare.

E il rosso come il fuoco elicottero si posò sul nuovo e raggiante asfalto del nuovo aeroporto di Belene, e il piede sinistro di Stalin, e poi quello destro si posarono delicatamente, come la prima delicata rugiada del nuovo anno, sulla nostra belenciana terra.

Lui è qui! Lui è qui! Non posso crederci… era questa la collettiva emozione di ogni cuore dei cittadini accorsi. Beati i nostri occhi che lo vedono! O Stalin nostro! Nostro salvatore dalla peste fascista! Nostro redentore dai tentacoli pluto giudaici massonici! Le ginocchia di tutti andarono in pappa, e prostrati adoraranono il volto del rubicondo baffone, che da vecchio volpone qual’era alzò il suo benedicente braccio destro in saluto del festante popolo socialista di Belene.

E quindi si diresse camminando (ma ad alcuni parve che volasse almeno un metro sopra il suolo…) nel cantiere della Centrale Atomica.

Dove ovviamente i volontari erano all’opera, 32 ore su 24, senza soste e senza ferie, per realizzare quella rodigiosa opera che avrebbe dato energia, slancio ed impulso alla propagazione della luce rivoluzionaria nell’universo.

Stalin si fermò davanti al primo operaio che incontrò, un cittadino esemplare che stava facendo su il cemento col suo scintillante badile cubano.

“Compagno Lavoratore, che stai facendo”?, gli chiese Stalin.

“Compagno Stalin, sto facendo su la molta!”, rispose quello raggiante, senza smettere di girare la pala.

“Complimenti Compagno che fai la molta! Il Socialismo ha molto bisogno di idioti come tu, che fanno quello che si deve per il radioso progresso del nuovo mondo operaio, senza chiedersi perché, per come, per quanto! Il Socialismo è in debito infinito con te, povero pistola: ti meriti un premio! Come ti chiami?”, gli disse serio Stali, consapevole della solennità di quel simbolico momento.

“Delaurà Stakamai Stakanò, compagno Stalin!”, esclamò quello, raggiante.

“Compagno Stakamai Stakanò Delaurà, eccoti una medaglietta di latta cinese da dieci centesimi, l’ambito dalle masse Premi di Produttività Stakanovista! Ecco, te lo appunto sul tuo impavido petto socialista!”, e appuntadoglielo, sorrise per le foto, e proseguì, lasciando l’eroe del lavoro al suo lavoro.

Stalin si fermò davanti al secondo operaio che incontrò, un cittadino esemplare che stava facendo su il cemento col suo scintillante badile cubano.

“Compagno Lavoratore, che stai facendo”?, gli chiese Stalin.

Quello, fermandosi dal lavoro ed appoggiandosi al badile della collettività, disse: “Compagno Stalin, sto lavorando per prendere il mio equo stipendio socialista, per poter poi accquistare nei negozi socialista i beni socialisti di prima necessità per nutrire la famiglia e la prole! Da buon proletario, ho donato allo Stato ben 10 figli… e quindi lavoro per sfamare queste bocche, e grazie a Lenin, Marrx ed Engels, lo Stato mi ricompensa con questo radioso stipendio, esattamente quello che serve per mangiare qualcosina di socialista ogni giorno”.

“Complimenti, compagno lavoratore! Meno male che chiaccheroni come te ce ne son pochi. Cerca di estirpare questo vizio borghese della famiglia, e non preoccuparti: lo Stato ha sempre cura dei propri figli! Come ti chiami? Lo Stato è in debito con te!”

“Beh, di solito non mi chiamo… ma gli altri mi chiamano Zaek Predatelov Litsemerov (in italiano significa più o meno; il coniglio che pur di sopravvivere manda giù il rospo e si adegua al regime)”.

“Compagno Zaek Litsemerov, eccoti una moneta d’oro, solo placcata fuori, neh! Mica pernserai ad una di quelle borghesi ed imperialistiche monete tutte d’oro! Vale ben 37 centesimi di rublo: la tua laboriosità è ricompensata con questo Premio Iternazionale Socialista per gli Araldi Entusiasti del Libero Lavoro Collettivo”, e appuntadoglielo, sorrise per le foto, e proseguì, lasciando l’eroe del lavoro al suo lavoro.

Stalin si fermò davanti al secondo operaio che incontrò, un cittadino esemplare che stava facendo su il cemento col suo scintillante badile cubano, ma un po’ distratto, visto che mentre girava il badile, guardava estasiato a destra e sinistra, ops… guardava solo a sinistra, ed il cemento si spandeva da tutte le parti, e addirittura aveva sporcato per ben tre centimetri la passatoia rossa ricamata con falci e martelli su cui l’Altissimo baffuto stava camminando.

“Compagno Lavoratore, che stai facendo”?, gli chiese Stalin.

“Oh, compagno Stalin! Sto partecipando alla costruzione del nuovo mondo progressista e socialista!”.

Stalin rimase senza parole di fronte a cotanto ardire, e senza neppure degnarlo di un ulteriore sguardo, passò oltre, dicendo al suo primo segretario:

“Prendete questo essere pernicioso, e speditelo in Siberia… vediamo… sì, 25 anni dovrebbero bastare!”.

Quello, basito, fece per protestare, e disse alla schiena del baffuto: “Ma.. compagno Stalin! Che ho fatto? Che ho detto? Non ho mica bestemmiato…. Ho detto la verità!”.

Stalin si voltò, e fissatolo… lo odiò: “Appunto! Primo: queste stronzate le dico solo io, e quelli a cui io lo concedo. A parte che questa verità è la più grande balla del secolo: il comunismo non porta a nessun progresso, anzi, accellera la degenerazione di tutto. Secondo: la verità socialista… ti renderà schiavo. Quindi, vattene in Siberia a spaccare le pietre, piccolo reazionario intellettuale borghese! Quante volte devo dirvelo che voi non dovete pensare, ma solo eseguire e mettere in pratica la mia parola? Via… abbiam già perso troppo tempo con questo rifiuto antimaterialista”.

E Stalin Giuseppe, la volpe venuta dalle steppe, tornò sul suo elicottero e se ne partì, con un baffo arricciato, da Belene.

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