30 luglio 2020

E col goal di Vitello Novello Toretto, i Big Bulls di Bèlene vincon lo scudetto!

Tutto il mondo degli appassionati di calcio conosceva molto bene la squadra di calcio di Belene.

Si chiamava i Tori Giganti, all’inglese Big Bulls (da non confondere con i Cicago Bulls, i quali giocano con le mani, e non coi piedi come i nostri) (e neppure pensare che bevessero come scemi solo Red Bull… erano infatti tutti astemi).

La squadra di calcio di Bèlene era famosa in tutto il mondo degli appassionati di calcio, ma non per il suo virile nome. Era famosa perché durante l’intera era di esistenza del gioco del calcio… non aveva mai vinto uno scudetto, neppure un torneuccio di provincia, nemmeno una coppettina di gelato dell’oratorio. Ma non solo.

La sua famosità, unica nel suo genere, e neppur eguagliata in nessun altro sport, era che non aveva mai vinto neppure una partita, proprio mai, dalla sua origine e per i 200 anni successivi. Solo pareggi, e molte sconfitte, e mai, proprio mai, neppure una vittoriuccia.

“Che schiappe!”, penserete voi.

Al contrario: i giocatori dei Big Bulls erano possenti, dei tori scatenati, con un’impressionante statura e postura. Avevano la preparazione atletica più migliore del mondo, anni e anni di allenamenti, sotto la pioggia, la neve, la grandine, nel fango, sui sassi, forgiati dal torrido estivo caldo e dei gelidi gelati inverni, bruniti e temprati come l’acciaio inossidabile dagli stormi delle temili zanzare draculiane danubiane. E poi, erano pieni di orgoglio e di motivazione: sapevano di essere i più migliori, e ci credevano, con una fede incrollabile.

“E allora come mai non vincevano mai?”, direte voi.

Eh… non vincevano mai per via… cioè, non era colpa loro, beh, un pochino sì, visto che erano ciecamente ubbidienti… non vincevano mai per via degli allenatori.

Infatti ogni allenatore che allenava i Tori Giganti si era messo in testa questo dogma, che a dire il vero ha pure una sua logica, e cioè: “Il gioco in difesa, senza alcun offesa, è la miglior resa”.

E così, di allenatore in allenatore, tutta la squadra aveva sempre giocato a catenaccio in difesa.

Nei Tori Giganti infatti uno faceva il portiere, e gli altri dieci i difensori. Per volontà degli allenatori infatti non erano mai esistiti mediani, centrocampisti e attaccanti. E questi benedetti allenatori avevano allenato tutti i giocatori solo per fare i difensori.

La loro filosofia, cioè di questi sapientoni degli allenatori, consolidatasi nel corso dei decenni, era questa: “Ragazzi, il calcio ha una prospettiva trinitaria, cioè ci son tre possibilità: o si vince, o si pareggia, o si perde. Secondo noi son troppe, quindi eliminiamo la vittoria, che è la più ardua e rischiosa, e ci restano solo due più semplici varianti: pareggiare o perdere. Andare in attacco è molto rischioso… si coprono le retrovie, e possono partire in contropiede. Meglio stare uniti nella nostra area, e costruire un muro insormontabile. Avanti! Custodite e difendete la nostra porta e la nostra area. Difendere! E difenderemo!”.

E così, da decenni, i Tori Giganti, ubbidendo pedissequamente e senza mai contestazioni e applicando alla lettera la filosofia dei propri superlativi allenatori, avevano giocato sempre e soltanto in difesa, e mai nessuno di loro aveva osato varcare la linea del centrocampo: chi la sorpassava… era morto! Sacrilegio! Offesa alla tradizione! Tradimento! Vergogna!

Un anno, particolarmente fortunato, i Tori Giganti erano riusciti a pareggiare tutte le partite e farle finire zero a zero, senza prendere neppure un goal. Un successo atomico! Arrivarono così per la prima volta alla finalissima per lo scudetto della Serie A, dove li aspettava per la sfida finale le temutissime Zebre Bianconere della Juventus Senectutis, che praticamente da 86 anni vincevano sempre loro, eliminando tutti quegli animali degli avversari.

Ovviamente, nelle finali, il pareggio non è previsto: o si perde, o si vince.

L’allenatore dei Tori del momento, il rinomato Otello “Cortello” Tagliabue, famoso per aver concepito la miglior arma difensiva impenetrabile del mondo calcistico, prima di scendere in campo, arringò di nuovo i suoi Tori Giganti negli spogliatoi:

“Allora, ragazzi! La sfida finale è arrivata! Fate vedere al mondo chi sono i Tori Giganti di Belene! Ergete di nuovo il muro d’acciaio insfondabile! E lasciate che quelle miserabili zebre bianconere si spezzino le corna contro i possenti bastioni della nostra indomabile squadra! Uniti e forti! Battetevi con onore e dignità, come vi ho insegnato! E poi, visto che non possiamo vincere, e viso che non si può neppure pareggiare, al 90° fate un autogol: parcere victos, debellare superbos! E con questo gesto mostreremo al mondo chi veramente siamo: i generosi Tori Giganti di Belene, che si sacrificano per lasciar vincere gli altri”.

E così fu.

Giocarono per 89 minuti, ergendo una barriera difensiva insormontabile.

Le povere zebre bianconere si spezzarono tutti i denti dalla rabbia, non riuscendo ad andare in rete neppure una volta. L’onda furiosa bianconera continuò per 89 minuti ad abbattersi su quella granitica scogliera, senza scalfirla per nulla. Finchè…

Finchè un attaccante Juventino, svirgolando un po’, calciò con tutta la sua rabbia e frustrazione un ultimo tiro, ed il veloce pallone, deviato da un colpo di tosse di vento improvviso, finì fragorosamente sulle b…e di uno dei Tori Giganti (son cose che succedono nel calcio…), il quale espettorando ogni molecola di ossigeno dai polmoni… crollò a terra.

L’arbitro fischiò la pausa, e mentre portavan fuori dal campo in barella il malcapitato, Otello “Cortello” Tagliabue fece una scelta che passò alla storia e cambiò per sempre il corso della storia.

Pensò fra sé: “Ma sì, manca solo un minuto… facciamolo giocare pure lui… così avrà il suo minuto di gloria… in fondo, cosa può mai combinare di male in un minutino?”.

E così Otello “Cortello” Tagliabue fece il cambio col ferito, e fece entrare in campo il giovane Vitello Novello Toretto, che da anni sedeva in panchina, troppo giovane per giocare, e veniva usato come tuttofare da tutti, e preso pure un po’ in giro per il suo caso clinico e poliedrico di infantilismo cronico.

“Ehi Vitello, smetti di fare il bambino e ritorna uomo! Entra in campo! Vai!”, gli disse.

Vitello Novello Toretto, che da una vita sognava di scendere in campo, partì come un razzo, e si posizionò nella propria metà campo.

Gli occhi di tutti, nello stadio e davanti ai televisori, eran puntati su di lui.

L’arbitro fischiò, e l’ultima nota del fischietto no si era ancora allontanata di un millimetro dal fischietto che Vitello Novello Toretto si fiondò sul pallone e puntò decisamente sulla porta avversaria, infischiandosene degli insegnamenti dell’allenatore e della secolare tradizione difensiva.

Vitello Novello Toretto passò la linea mediana ed entrò nella metà campo avversaria.

Gli spettatori eran sbigottiti di questa azione inimmaginabile.

I Tori Giganti eran furiosi per questo sacrilegio ed offesa alla tradizione.

L’allenatore Tagliabue iniziò ad avere un colpo apoplettico.

Le zebre Juventine, dopo un attimo di blocco totale, iniziarono a convergere su questo pazzo.

Vitello Novello Toretto avanzò e dribblò uno, due, tre, quattro zebre.

Tutto lo stadio emise un gemito e tutti si alzarono in piedi.

L’arbitro guardò l’orologio, vide che erano 89 minuti e 50 secondi, e si mise il fischietto in bocca.

Vitello Novello Toretto come un veneziano portoghese avanzava.

Le zebre si facevano sotto e cadevano come birilli.

Tutti i compagni di Vitello Novello Toretto stavano impappinati sulla riga di centrocampo.

Vitello Novello Toretto arrivò all’area nemica, facendo un pallonetto all’ultimo difensore.

Vitello Novello Toretto era ora solo davanti al portiere.

L’orologio dell’arbitro segnava 89 minuti e 58 secondi.

L’arbitro si mise l’orolo… ops, il fischietto in bocca.

Il portiere delle Zebre, possente, si preparò al tiro.

Vitello Novello Toretto tirò indietro la gamba e…

L’universo tirò il fiato…

Vitello Novello Toretto tirò il pallone…

89 minuti e 59 secondi…

Il pallone arrivò giusto giusto sulla pancia del portiere, che lo avvolse con le mani.

Tutto l’universo gemette, come una partoriente: “Noooooooooooo……”

Anche il portiere gemette e…. dalla violenza cinetica del pallone fu scagliato contro la rete, sfondandola ed uscendo dall’altra parte.

Ed allora tutto l’universo, come dopo il parto del big bang, esplose nell’atavico grido:

GGGGGGGGGGGGGGGGGG

OOOOOOOOOOOOOOOO

AAAAAAAAAAAAAA

LLLLLLLLLLLLL

!!!!!!!!!!!!!!!!!

E l’arbitro, puntualissimo, fischiò al 90° minuto la fine dellla partita, e ci fu al fine del mondo.

Tutto lo stadio invase il campo per festeggiare la vittoria dei Tori Giganti ed portare in giro Vitello Novello Toretto con lo Scudetto.

Ma prima che le folle festanti giungessero sul terreno di gioco, Vitello Novello Toretto era stato circondato dai suoi compagni.

“Ciao ragazzi!”, disse loro Vitello Novello Toretto, “Piaciuto il goal? Facciamo festa?”

“Facciamo festa?!?!”, grugnirono all’unisono i Tori con la bava rabbiosa alla bocca. “ Ma che festa d’Egitto! Noi ti facciamo le feste a te, disgraziato, maledetto! Ma come ti sei permesso? Ma chi ti credi di essere? In un minuto hai distrutto le nostre tradizioni! Sei finito, ragazzo!”.

E detto questo lo assalirono, lo pestarono, lo incornarono, lo maciullarono lì sul posto, lo conciarono per le feste.

Quando la folla dei tifosi arrivò al centrocampo, e riuscì con fatica ad allontanare quei tori furiosi infuriati, Vitello Novello Toretto era ormai esangue e messo assai male.

“Ho… sete…”, disse con un flebile sussurro.

Gli diedero un po di gatorade con una spugnetta sulle labbra tumide.

Poi, con un sussurro, disse: “Ho fatto… un bel… goal… neh? La partita…. è… finita. Il mio… dovere… compiuto.”. Ed espellendo l’ultimo respiro, detto questo spirò.

E fu così che con questo goal di Vitello Novello Toretto i Red Bulls di Belene vinsero il loro primo ed ultimo scudetto.

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