C’era una volta a
Belene un albero di mele, chiamato melo, che non era né magico, né mitico, né poi
tanto diverso dagli altri meli del mondo.
“E allora?”, direte
voi miei piccoli lettori.
Eh! Allora fatto
sta che questo melo era un albero speciale…
“E come fa ad
essere speciale, se non è né mitico, né magico, né diverso da tutti gli altri”?,
aggiungerete voi, lettori miei piccoli.
Beh, è un melo
speciale perché è un melo TRINITARIO. Alt! Non pensare subito a qualcosa di divino,
né: sì, anche quello là di Adamo ed Eva era un melo trinitario… ma non è mica
quello!
Questo melo di
Belene era trinitario perché faceva le mele ogni trentatrè anni, e non ne
faceva due o tre, ma solo tre. Cioè: ogni trentatrè anni fioriva e faceva tre
fiori, che poi (se le api non erano in sciopero) diventavano tre mele. E queste
tre mele si chiamavano sempre Melinda, Melonda e Melunda. Perché lo
stesso ramo dava sempre lo stesso fiore che poi si trasformava nelle stesse
mele, più o meno, neh! Qualche anno di siccità erano un po’ più piccole,
qualche anno di piovosità un po’ più cicciotte, qualche anno di ventosità un po’
più storte… ma tutto sommato le proporioni eran sempre quelle.
La Melinda,
tutta bella e tutta linda, cresceva sul ramo più alto, più grosso, più bello.
La Melonda,
quella tonda, ma proprio tonda (una sfera perfetta, senza le schiacciature ai
poli), che portava i capelli come un’onda, cresceva sul ramo di mezzo.
E la
Melunda, tutta unta e bisunta, cresceva sul ramo più
basso, vicino a terra.
Come al solito, la Melinda tutta linda e bene
in tinta, era la più chiaccherona, ed attaccava sempre bottone: “Ah, sorelle,
guardate, ammirate, rimirate! Anche stavolta come vedete, Madre Natura mi ha
fatto così bella, con tutte le curve al posto giusto, e che colorito, ragazze!
Guardate qui: giallino, rosino, rossino, purpureino… Sono uno schianto! La mela
più bella del mondo! Oh, come ci godo… le mie caratteristiche organolettiche son
quelle di una mela distintiva, dall’aspetto attraente, che al morso risulta
fresca e croccante come appena colta…Sono frizzante come l’aria che mi rinfresca…
Oh! Che spettacolo! Sicuramente anche quest’anno faranno con me tanti film, e
mi prenderanno di certo come testimonial della Appol!”, e via di seguito.
La
Melonda, furibonda e schifata da tanta arroganza e
pienezza di sé della sua sorella maggiore e superiore, dalla sua mediocre
posizione, così arzigogolava tra se e se: “Grazie, Signore, che non sono
superba come quella là sopra, anche sé… potevi farmi un poì più bella, né! Sono
un po’ sovrappeso e pienotta… speriam che qualcuno si prenda almeno una cotta
per me! Ma comunque, grazie, Signore dei Pomi e delle Mele, che non mi hai
fatto come quella schifezza lì sotto, tutta unta e bisunta, che neanche a
bollirla in un litro di acido muriatico diventerà una buona mela cotta!”
La Melunda, come al solito,
se ne stava zitta, provando a tapparsi le orecchie per non sentire le scemenze
delle sue sorelle maggiori. E piangeva. E le sue non erano lacrime di
coccodrillo, ma genuine e zuccherine lacrime di mela. Che colpa ne aveva lei?
Mica aveva scelto lei di nascere sul ramo più basso, dove riceveva gli sprzuzzi
di fango, dove i famelici insetti gli rovinavano la pelle, dove i rami più alti
le rubavano il sole, dove a forza di sballottare contro il tronco si deformava
tutta… E piangeva. Mai nessuno l’avrebbe colta. Mai avrebbe gustato il bacio salato
delle labbra di qualche principe…
E come sempre, passo la primavera,
passò l’estate ed arrivò l’autunno. E come ad ogni autunno i belenciani
iniziaron la raccolta delle mele. E come sempre prima raccolsero la Melinda,
e mentre lei gongolava, i belenciani si sprecavano in complimenti: “Ma come è
bella! Perfetta! Ma guardate che colore! E sapeste che sapore! Che mirabolante
odore! Ma tu, Melinda nostra, così linda e così tinta, sei la Dea delle Mele!
Come te non c’è nessuna! Vieni, meluccia mia bella e caruccia, vieni! Sarai tu
la regina sulle nostre tavole!”. E la nostra Melinda del melo trinitario finì
sulla tavola del Re, dove ci rimase una settimana e poi venne buttata in pasto
ai porci (nel frattempo infatti le mosche ci avevano scaricato le uova sopra,
ed i pargoletti cagnotti di mosca si eran scatenati, e tutta la bellezza di
Melinda era andata a farsi friggere con le patatine fritte).
Dopo una settimana tornarono a
raccogliere anche la Melonda, che più o meno fece la stessa fine: la
metà mezza marcia fu buttata ai porci, la metà mezza buona fu usata quella
racchia bionda della moglie del re per farsi una maschera, pensando che mezza
maschera di mela al giorno le togliesse le rughe di torno… ma tolta la
maschera, tolto l’inganno: brutta era, e brutta era ancora. Per cui i resti
della maschera di polpa di mela Melonda, come una fionda finiron nella gronda
profonda.
E la Melunda, quella tutta
storta e tutta unta? Beh, come al solito nessuno andò a raccoglierla. Chi
volete che perda tempo per uno scherzo della natura? Mica son così scemi i
belenciani per sprecar tempo e forze a raccoglier mele unte e bisunte!
E così restò lì, appesa sul ramo più
basso, e passò l’autunno, ed arrivò l’inverno. Nebbia e freddo, giorni lunghi e
amari, mentre lei moriva e si rinsecchiva, ogni giorno di più. Finchè…
Finchè un giorno un poveraccio,
vestito con uno straccio, strascicandosi nella neve e nel ghiaccio, si riparò
all’addiaccio sotto il melo trinitario, e…
E, stremato ed ormai morto di fame
al 99%, raccogliendo le forze rimaste alzò gli occhi al cielo, e… e la vide!
Mica la Madonna., neh! Vide la Melunda, tutta unta ed ormai smunta. Ed i suoi occhi
(quelli del poveraccio, neh! Le mele mica hanno gli occhi!), i suoi occhi
brillarono, allungò la mano, e la colse.
Melunda, pur tutta fredda ed assai
smunta, sentendo quelle artritiche ed artiche dita sfiorarla e vedendo quei
pallidi sforlgoranti occhi ammirarla, fu attraversata tutta da un fremito, come
una palla di fuoco che esplode da dentro, e quando poi quello lì le disse, fissandola:
“Ti amo, bellissima! Tu sei la mia vita, il mio respiro, gioia per i miei occhi!
Tu sei la mia salvezza, tu sei calore in questo freddo, colore in questo
grigiore, e pure cura per il mio raffreddore!”, la Melunda andò completamente in
brodo di giuggiole!
Ed il povero affamato e congelato
viandante le diede un piccolo morsicotto, e…
Ed istantaneamente
la morsicchiata Melinda si trasformo nella più bella principessa che il mondo avesse
mai visto, ed il pezzente puzzolente riprese forma e forza, ed era nientepopòdimeno
che il principe Williams La Guyot di Santamaria, il Kaizer del regno di Peri.
E Willy le disse: “Oh, Melonda mia,
la cui bellezza mi circonda com’un’onda… Vuoi accogliermi come tuo sposo, per
sempre?”
E la Melonda gli disse: “Oh,
Guglielmino mio, il cui profumino mi riempie il cuoricino come un mare di
gelsomino… Ma certo che ti accolgo come mio sposo! Ci mancherebbe altro!”.
E fu così che mentre la Melinda e la
Melonda marcivano in pasto ai maiali, la Melunda col suo bel principino di Peri
vivono felici e contenti. E nel frattempo han riempito coi loro teneri
figliocci tutte le terre di peri e di meli trinitari.
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